Infinity and Beyond (∂ + m) ψ = 0

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    Capitolo 12

    “Ma siete sicure che tutte ste cose sono necessarie?” Disse Miriam per l’ennesima volta.
    “Miriam sarà la sesta volta che ti diciamo di sì. Sono necessarie, piantala ora” le rispose Mary infastidita da quella domanda.
    “E stai ferma, altrimenti non riesco a metterti l’eyeliner” la sgridò Antonella.
    “Uffa, quanto ci vuole ancora per finire? È tutto il pomeriggio che mi torturate!” continuò a lamentarsi.
    “Sei uno stress Miriam, ho finito, ora puoi andare” le rispose Antonella spazientita da tutte quelle lamentele.
    “Finalmente!” esclamò, e come una molla scattò in piedi, andò dritta in camera sua e senza pensarci due volte si buttò sul letto.
    Iniziò a fissare il vestito che aveva di fronte, “è davvero bello” pensò sorridente.
    “Miriam, dai vestiti” le disse Antonella entrando in camera e quando la vide sul letto aggiunse “sei senza speranze, Miri-chan”.

    Lei le fece una smorfia e alzandosi inciampò cadendo sulle ginocchia. Antonella scoppiò a ridere, “sei davvero senza speranze” le ripeté fra una risata e l’altro.
    Si alzò, prese il cuscino e glielo lanciò addosso, “Urusai signora MatsuJun” le disse ridendo.
    “Baka!” Le rispose lanciandole il cuscino.
    “Ragazze ancora così siete?! Basta giocare, altrimenti faremo tardi!” le rimproverò Mary entrando nella loro stanza.
    “Woh! Sei bellissima” le dissero in coro.
    “Grazie” rispose lei arrossendo, “ora però datevi una mossa”.

    Entrambe indossarono i loro vestiti; Antonella si diede un ultima sistemata ai capelli e voltandosi verso Miriam le chiese “allora come sto?” ma il suo entusiasmo calò appena la vide.
    “MA SEI DIVENTATA PAZZA!” iniziò a urlare.
    “Che c’è? Che ho fatto ora?” chiese spaesata.
    “Mary vieni subito, abbiamo un emergenza!” La chiamò Antonella.
    “Che c’è? Che succede?”
    Senza dire nulla indicò Miriam, Mary la guardò per un attimo “Miriam levati quell’obbrobrio di scarpe” le ordinò.
    “Perché? Qual è il problema?”
    “Miriam, sono converse, ecco qual è il problema!” le disse Antonella sconvolta dal suo mancato senso per l’estetica.
    “Ma io non ho altre scarpe, e poi queste sono comode” cercò di spiegare.
    “No, no, no, non puoi rovinare quel vestito abbinando queste scarpe orrende” continuò a rimproverarla e voltandosi verso Mary aggiunse “va a prendere le tue scarpe, vediamo se riusciamo a trovare qualcosa da abbinare”.
    “Anto sono le 21.00” disse lei guardando l’orologio.
    “Allora facciamo così, tu scendi e avvisali che stiamo arrivando, altrimenti penseranno che gli abbiamo dato buca. Io sistemo questo problema”.
    “D’accordo!” disse lei.

    Lentamente usci dalla suite, percorse il corridoio ed entrò nell’ascensore.
    Sho continuava a guardare l’orologio, era impaziente.
    “Calmati!” gli disse Ohno “vedrai che fra poco arrivano”.
    “Si!” gli rispose lui ansioso e voltandosi verso le scale la vide. Fu completamente rapito da quella visione, il vestito che le aveva comprato le stava benissimo.

    Mary indossava un abito lungo rosso in voile stile impero. Il corpetto drappeggiato era a mono spalla e le fasciava il seno alla perfezione, la gonna era svasata con uno spacco laterale fino a metà coscia, messo in evidenza ogni volta che camminava. Ai piedi portava un paio di sandali alti con una lavorazione particolare, che partiva dal tallone e saliva fino alla caviglia, creando una sorta di rampicanti decorati con brillantini argento. Ai capelli aveva creato delle onde leggere, sul lato sinistro aveva sistemato un ferrettino anch’esso in argento, mettendo così in risalto sia l’orecchino, che le arrivava fino a metà collo, sia il trucco sfumato degli occhi. Al braccio destro invece aveva un bracciale rigido cosparso di brillantini.
    “Sei bellissima!” le disse Sho avvicinandosi e prendendole la mano.
    “Grazie!” rispose lei arrossendo.
    “Sho non l’avrei mai detto, ma hai gusto in fatto di vestiti” lo prese in giro Nino avvicinandosi, seguito dagli altri.
    Mary li guardò un pò spaesata.
    “Mary-chan, i vestiti li hanno comprati Sho, Jun e Masaki, quando noi siamo andati all’acquario” le disse Ohno notando la sua espressione.
    “Ecco perché eravate così strani!” disse sorpresa.
    “Ti piace?” le chiese Sho in imbarazzo.
    “L’adoro, è stupendo!” gli disse dandogli un bacio sulla guancia, lasciandolo sorpreso.
    “Dove sono Antonella e Miriam?” intervenne Jun, interrompendo quel momento.
    “Stanno arrivando, non erano ancora pronte”. E notando la sua espressione ansiosa aggiunse “un paio di minuti e arrivano, c’è stato un piccolo problema con le scarpe”.
    “Cioè?” Gli chiese Sho, ma la conversazione fu interrotta da Nino, che diede una gomitata a Jun “ma sei cretino!” disse massaggiandosi lo stomaco. Nino senza dire una parola gli indicò le scale.

    Jun la vide scendere estasiato, il vestito lungo la fasciava mettendo in risalto il suo fisico minuto.
    Era di un’intensa tonalità di blu scuro. Il corpetto con scollatura all’americana sul davanti e trasparenze sulla schiena, era messo in risalto da una lavorazione in pizzo. I capelli a boccoli le ricadevano morbidi sulla spalla sinistra. Indossava un paio di sandali bianchi con tacco e cinturino alla caviglia decorato con brillanti a contrasto. Gli occhi erano messi in risalto da uno smokey eyes blu.

    Jun le andò incontro sulle scale, la prese per mano e l’aiutò a scendere gli ultimi scalini.
    “Allora Ohno-san, che ne pensi del vestito che ho comprato alla tua fan numero uno?” disse Jun sorridendo.
    “Penso che le sta benissimo” disse lui e avvicinandosi a lei, le disse sotto voce “sei bellissima”.
    “Arigatou” rispose arrossendo e voltandosi verso Jun gli chiese “perché? me l’hai comprato tu?”
    “Anto stamattina dopo la colazione” iniziò a spiegarle Mary, “loro tre” indicando Jun, Sho e Masaki “sono andati a comprare i nostri vestiti per stasera”.

    Antonella si voltò verso Jun “grazie, nessuno mi ha mai fatto un regalo così bello” gli disse guardandolo negli occhi.
    Jun le mise un braccio sulle spalle, la strinse a se e le diede un bacio sulle tempie, facendola rabbrividire. “Allora, le faccio effetto” pensò notando la sua reazione.

    “Ehm, Anto, dov’è Miriam?” le chiese Masaki impaziente.
    “Stava trovando il coraggio di uscire dall’ascensore” disse lei ridendo, “si imbarazza troppo, questa sarà la prima volta in 24 anni, che si veste da femmina”.
    “Vado a prenderla io, con la forza” disse Nino con uno ghigno malefico incamminandosi verso le scale.
    Masaki correndo lo superò “lascia, vado io!”

    Velocemente sali le scale, girò verso sinistra in direzione degli ascensori e la trovò accovacciata in un angolo.
    Le si avvicinò e si accovacciò anche lui, “Miriam daijoubu?”
    Lei sentendo la sua voce sobbalzò, alzò lo sguardo per un attimo e poi lo riabbassò “daijoubu, ora scendo, mi serve solo un attimo”.
    “Danny-chan sta bene?” Le chiese con la speranza di farla sorride.
    Lei abbozzò un mezzo sorriso “si sta bene, l’ho messo a letto prima di venire”.
    “Brava mamma” le disse scompigliandole i capelli.
    “Aiba-chan, che fai!? Così me li rovini!” disse con un finto tono scioccato.
    “Saresti bella lo stesso” le rispose, prendendole il viso tra le mani, lei gli sorrise “andiamo, ci staranno aspettando” disse alzandosi.

    Masaki concordò con un cenno della testa, le si avvicinò e la prese per mano, insieme attraversarono l’ala sinistra della balconata e dopo aver fatto un respiro profondo scesero le scale.
    Gli altri li guardarono sbalorditi, erano perfetti insieme.
    Il vestito che le aveva scelto Masaki, sembrava che le era stato cucito addosso. Miriam indossava un vestitino corto fin sopra il ginocchio bianco in pizzo con scollatura sulla schiena e con maniche trasparenti in pizzo a tre quarti. Il corpetto con scollo a barca le metteva in risalto le linee del collo e del viso. La gonna svasata a pieghe era caratterizzata da tasche laterali; abbinato a un paio di decolté spuntate con plateau anch’esse bianche. Il trucco non troppo forte, metteva in risalto il taglio degli occhi leggermente a mandorla.
    "Perché mi guardate così?” Chiese Miriam in imbarazzo appena scesero le scale.
    “Aiba-chan ora ho capito che intendeva la signora del negozio” gli disse Nino “questo non è per niente adatto a una serata di gala”.
    “Però è adatto alla nostra Miri-chan, ne Minna?!” disse Ohno ridendo.
    “Non ci sto capendo niente” disse lei confusa.
    “Niente Miriam, tranquilla, il nostro Aiba-chan stamattina stava per denudare un manichino per avere quel vestito” gli spiegò Jun.
    “L’hai scelto tu?” gli chiese in imbarazzo.
    “Sì, spero che ti piace”.
    “È bellissimo!” rispose sorridendo.
    “Addosso a te è ancora più bello” le disse passandogli un braccio intorno alla vita.

    Miriam rimase un pò sorpresa da quel gesto e da quelle parole, finora Masaki non le aveva mai detto niente di simile.

    “Credo sia arrivato il momento di andare” disse Jun guardando l’orologio.

    Gli altri concordarono con un cenno della testa e insieme uscirono dall’hotel. Attraversarono un ponticello in legno, e dopo aver seguito il percorso obbligatorio, arrivarono nel prato adiacente alla sala ristorante.
    Il prato per l’occasione era stato decorato con lanterne bianche e candele profumate. Al centro avevano allestito un padiglione in legno laccato lucido, decorato con minuscole lucine bianche, al centro del quale vi era una pista da ballo, mentre sul lato destro, una mini orchestra con quartetto d’archi accompagnava il pianoforte.

    I tavoli rotondi, posizionati intorno al padiglione, formavano una specie di spirale. Come centrotavola avevano sistemato un ampolla in vetro, riempita fino a metà d’acqua, all’interno della quale, avevano adagiato delle candele a forma di fiori, sparpagliati sul tavolo vi erano petali di rose rosse, a contrasto con le tovaglie e i copri sedia bianchi.
    Dopo aver consegnato i biglietti all’entrata, passarono sotto un arco d’edera e fresia bianca, entrando così nel prato.

    “WOH!” Esclamò Miriam con voce un pò troppo alta.
    “Miriam!” La chiamarono in coro, notando che tutti si erano girati a fissarli.
    “Scusate! Mi è venuto spontaneo” disse in imbarazzo.
    “Facciamo una foto?” propose Nino indicando un fotografo a destra dell’arco.
    “Kazu lo sai che non possiamo” gli ricordò Ohno.
    “Al diavolo il vecchio!” gli rispose andando verso il fotografo.
    “KAZU, MA CHE FAI?!” Gli urlò seguendolo.
    “Che scemi!” disse Sho sorridendo “ti va di fare una foto insieme?” chiese a Mary.
    “Ehm non è un problema per voi?”
    “Credo che una foto del genere non crei problemi” intervenne Jun, avviandosi mano nella mano con Antonella, seguiti da Mary e Sho.
    “Miriam andiamo!” le disse Masaki, e insieme raggiunsero gli altri.

    Fecero prima una foto di gruppo, poi si divisero in coppia.
    Dopo aver fatto le foto, presero posto al tavolo più in disparte.

    “Ahah certo che siete ovunque!” disse Antonella, sedendosi e indicando le cinque candele all’interno dell’ampolla, ognuna di un colore diverso dall’altra: blu, rossa, verde, gialla e viola; appena le videro scoppiarono a ridere.
    “Siete una persecuzione” aggiunse Mary sorridendo.

    Le luci dei faretti che circondavano il prato si abbassarono, la musica partì e i camerieri uscirono dando inizio alla cena.
    Il menù prevedeva: due primi, uno di pesce e l’altro di carne, il secondo a scelta, contorno e per finire torta millefoglie con crema chantilly e crema alla nocciola.
    Durante la cena parlarono poco, un pò per l’imbarazzo, un pò per la fame. A rompere il silenzio fu Jun, “di preciso in Italia dove state?” chiese voltandosi verso Antonella.
    “Oh, ehm, è un piccolo paesino della Calabria, si trova nella provincia di Cosenza. Si affaccia sul mare ed è molto tranquillo come paese, è adatto per chi si vuole rilassare” gli spiegò.
    “Quindi siete vicine al mare?” Chiese Ohno incuriosito.
    “Si esatto” rispose Miriam “casa mia è praticamente a 300m”.
    “Bene, abbiamo deciso la prossima meta per una vacanza” disse Nino, mentre si versava del vino.
    “Ci ospitate, vero?” chiese Sho allegro.
    Miriam che stava bevendo, quasi si strozzò, Anto e Mary lo guardarono sconcertate.
    “Che c’è? che ho detto di male?” chiese confuso.
    “Sho non puoi dare queste notizie in questo modo” gli disse Nino dandogli uno schiaffo in testa “le mandi di nuovo in shock”.
    “Pa-pa-parli sul serio?” chiese Miriam incredula.
    “Ma sì, perché no. Se il vecchio ci concede altre ferie, sarebbe una buona idea”. Rispose Masaki, “non vi crea problemi, vero?”
    “Ma che scherzi, ma quali problemi” disse Antonella entusiasta, “solo fatecelo sapere prima, magari togliamo un pò di cose vostre, soprattutto Miriam” aggiunse indicandola.
    “Sai, alcune cose è meglio se non le dici!” le disse arrossendo come un peperone.
    “Mary-chan tutto okay?” Le chiese Sho.
    “Si scusa Sho, è che adoro questa canzone” disse con sguardo sognante. L’orchestra suonava “Kissing You” arrangiata al pianoforte e al violino.
    Sho si alzò, “ti va di ballare?” le chiese porgendole la mano e incrociando il suo sguardo con quello di Mary; lei gli sorrise, si alzò e mano nella mano si avviarono sotto il padiglione, unendosi alle altre coppie.
    Dopo qualche minuto si unirono anche Antonella e Jun; ballavano lentamente, seguendo il ritmo della musica.
    Miriam le osservava con sguardo triste, era contenta per le sue amiche, le vedeva sorridere come non avevano mai fatto, ma provava un pò d’invidia nei loro confronti, anche lei avrebbe voluto ballare come loro, guardandosi negli occhi con il proprio partner e volteggiando sulla pista.

    Distogliendo lo sguardo, iniziò a giocare con un petalo rosso; se lo passava fra le dita lisciandolo.
    “Di nuovo quell’espressione triste” pensò Masaki, mentre l’osservava. “Miriam ti va di ballare?” le chiese distogliendola dai suoi pensieri.
    “Oh, ehm, ballare, io!? Non credo sia una buona idea” rispose.
    “Perché?” le chiese Ohno incuriosito.
    “Semplice, io cado da ferma, se ballo sarei praticamente sempre a terra” rispose con un velo di tristezza e abbassando lo sguardò ricominciò a giocare con il petalo.
    “Vieni!” le disse Masaki prendendole la mano con cui teneva il petalo.
    Lei, senza dire una parola si alzò e lo seguì sotto il padiglione, Masaki si mise la sua mano intorno alla vita, poi a sua volta fece passare il braccio intorno alla vita di Miriam avvicinandola a se; con l’altra mano le alzò il viso in modo da poterla guardare negli occhi.
    La musica cambiò, ora l’orchestra suonava una composizione di Alan Silvestri.

    “Non farmi cadere” gli disse arrossendo.
    “Non potrei mai farti cadere” le rispose e lentamente iniziò a muoversi, facendosi trascinare da quella melodia così dolce.

    Miriam si abbandonò a lui. Intorno a loro non c’era più niente, erano completamente circondati dalla musica, Masaki si perse nei suoi occhi, sembrava esserci un mondo nascosto dietro quello sguardo.
    Continuarono a muoversi lentamente, senza neanche rendersi conto che la musica era cambiata, facendosi più ritmata, Distogliendo gli occhi da Miriam, si rese conto del cambio e lentamente si allontanò, “ti va di andare a fare una passeggiata?”
    Lei rispose con un cenno della testa; mano nella mano uscirono dal prato.

    Ohno e Nino li osservavano dal tavolo, “perciò Miri-chan…” iniziò Ohno.
    “Già” rispose Nino, “però non lo sa nessuno a parte me e te, perciò acqua in bocca”.
    “Uhm, okay tranquillo, però che strano, ma sei sicuro che non sia una cazzata?”
    “Sì, basta guardarla per capirlo” gli rispose.
    “Beh in effetti, e che ha intenzione di fare?”
    “Ovviamente vuole trovare una soluzione, ma onestamente non sa da dove iniziare, e neanche io”.
    “Uhm capisco, senti Kazu, ti va di ritornare in camera?” gli chiese Ohno.
    “E me lo chiedi?!” disse lui alzandosi e prendendolo per mano rientrarono in hotel.

    Andarono dritti nella loro camera.

    Finalmente avevano l’occasione di poter passare un pò di tempo da soli, da quando erano arrivati erano successe così tante cose, avevano conosciuto le ragazze ed erano sempre state con loro, perciò avevano frenato i loro istinti, ora però erano soli, e potevano sfogare liberamente le loro voglie.

    Miriam e Masaki lentamente uscirono dal prato, passarono sotto l’arco, attraversarono il ponticello e senza rendersene conto si ritrovarono nel giardino tropicale vicino la piscina.

    “È così rilassante questo posto” disse Masaki per rompere il ghiaccio. Miriam gli rispose con un cenno della testa.
    “Ti piace il verde, la natura?” le chiese.
    Lei rispose di nuovo con un cenno della testa.
    “Che succede? Non dirmi che siamo ritornati alle risposte secche” pensò, e voltandosi verso di lei la vide che cercava di riscaldarsi il braccio con la mano libera.
    “Hai freddo?” le chiese mettendosi davanti a lei.
    “Un pò” rispose, era chiaramente una balla, stava letteralmente tremando per il freddo.
    Masaki si tolse la giacca e gliela mise sulle spalle; la vide sciogliersi sotto il suo calore. “Meglio?” gli chiese.
    “Molto” rispose lei sorridente, “ehm ti va se ci sediamo?” Disse indicando un amaca nascosta da alcune piante.
    “Certo” le rispose. Mano nella mano si avviarono verso l’amaca.
    Lei si tolse le scarpe e si sdraiò sulla schiena.
    “Miriam che significa il tatuaggio?” le chiese Masaki sdraiandosi anche lui.
    “Quale? Ne ho due”. Rispose, mentre guardava le stelle con sguardo perso.
    “Quello sul collo” le disse fissandola.
    “Uhm, è il segno dell’infinito con una frase incastrata nel mezzo, I’ll never walk alone, significa Non camminerò mai da sola e in basso sulla linea che compone l’infinito c’è scritto family.
    “E l’atro invece? Dove ce l’hai?” Chiese incuriosito.
    “L’altro è sul costato” gli disse toccandosi la parte sinistra del torace. “Ha un doppio significato, è un cuore fatto metà normale e metà di stelline, all’interno c’è una M".
    “La M sta per Miriam?”
    “No, entrambi i miei genitori hanno il nome che inizia per M.
    “E l’altro significato?”

    “Aiba-chan ci credi nel destino?” gli chiese ignorando la domanda e continuando a guardare le stelle.
    Lui la guardò senza rispondere.
    “Può essere così crudele delle volte” aggiunse allungando una mano verso il cielo come se stesse per prendere qualcosa, “è in grado di portarti via le cose più importanti, e tu non puoi farci niente, devi solo accettare e soccombere al suo volere”.
    Masaki l’ascoltava, ipnotizzato, lui conosceva bene quella situazione che Miriam aveva appena descritto.
    Entrambi si girarono, lei sul fianco destro, mentre lui su quello sinistro, la guardava rannicchiarsi sempre di più, le mise una mano sulla vita e l’avvicinò a se per abbracciarla.
    Riusciva a sentire il profumo dei suoi capelli, profumavano di ciliegia.
    “Miriam, posso farti una domanda?”
    “Si” rispose stringendosi nel suo abbraccio.
    “Come si dice in italiano daisuki?”
    “Uhm, credo che cambi in base ai contesti, può significare: mi piace oppure mi sono innamorato. Perché?”

    Masaki gli spostò una ciocca di capelli, che le copriva gli occhi, le mise una mano sul viso e le disse “mi sono innamorato!” e senza aggiungere altro l’abbraccio più forte.
    “Aiba-chan, tu, cioè io…” iniziò, confusa da quelle parole.
    Ma Masaki la bloccò, “Non mi importa che tu vivi dall’altra parte del mondo. Al diavolo anche le restrizioni della Johnny’s. Non puoi capire l’effetto che mi fai quando mi sei vicina”.
    Lei alzò lo sguardo su di lui, chiuse gli occhi e per qualche minuto rimase in silenzio, Masaki la guardava con sguardo interrogativo “dorme?” pensò.

    Ancora con gli occhi chiusi gli disse “Aiba-chan, credo che sia scontato dire che mi piaci” e sorridendo aggiunse “ovviamente sei il mio ichiban. Okay sei imbranato, maldestro, a volte dici cose che secondo me neanche tu capisci, ma sei anche dolce, gentile, premuroso, pensi sempre agli altri, prima di pensare a te stesso. Sei un vulcano d’energia, con te riesco sempre a trovare il sorriso”.

    Riaprì gli occhi e si poggiò con la testa sul suo petto, riusciva a sentire i battiti del suo cuore, erano velocissimi. “Arigatou Masaki!”

    “Per cosa?” le chiese sorridendo un pò in imbarazzo, era la prima volta che lo chiamava per nome.
    “Per tutte l’emozioni che mi hai regalato in questi anni, per il vestito, per la serata, per essere così come sei!”
    Masaki non riuscì a rispondere a quelle parole, le prese il viso tra le mani, chiuse gli occhi, lentamente si avvicinò e la baciò.

    Quando si staccarono avevano entrambi il fiatone.

    Lei si rannicchiò sul suo petto, lui la strinse forte a se, accarezzandole i capelli, rimasero in quella posizione finché non si addormentarono, stretti uno nell’altro.

    “Jun ci sediamo un attimo per favore?” gli chiese Antonella, era stanchissima.
    Lui le rispose con un cenno della testa e insieme si avviarono verso il tavolo.
    “Ehm, Jun?”
    “Dimmi” le rispose sedendosi di fianco a lei.
    “Grazie mille per il vestito, è davvero bello”.
    “Sono contento che ti piaccia, non è stato facile scegliere. Ti sta davvero bene, sei bellissima” le disse sistemandole una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
    Lei gli sorrise, e lui subito le accarezzo il viso, facendola arrossire.

    Antonella lo fissava intensamente, era rapita da quello sguardo penetrante. Jun era completamente diverso da come se lo immaginava, pensava fosse una persona fredda e distaccata, invece era dolce, gentile e sempre disponibile. Quando stavano insieme percepiva un senso di calore, la faceva sentire al sicuro, protetta.
    Era completamente attratta da lui, si sentiva incapace di respingere quell’attrazione.

    “Ehi ragazzi, dove sono gli altri?” gli chiese Sho, avvicinandosi al tavolo.
    “Non lo so, non c’erano quando siamo arrivati” gli rispose Antonella, distogliendo lo sguardo da Jun.
    “Forse sono andati a dormire” proseguì lui.
    “Capisco, beh, che ne dite se ritorniamo anche noi?” disse guardando l’orologio, e rivolgendosi a Jun aggiunse “domani dobbiamo svegliarci presto”.

    Lui gli rispose con un cenno della testa e alzandosi disse “venite anche voi o volete rimanere un altro pò?”
    “Veniamo anche noi, siamo un pò stanche” rispose Mary.

    Silenziosamente si diressero al loro piano, Jun e Sho le accompagnarono alla loro suite, le diedero la buonanotte e spintonandosi ritornarono nella loro stanza.
    Senza fare rumore Jun sbirciò nella camera di Ohno e Nino per controllare se c’erano e li vide che dormivano insieme, Nino aveva la testa poggiata sul petto nudo di Ohno, “stanno dormendo” bisbigliò rivolgendosi a Sho.
    “Allora buona notte Jun” gli disse avviandosi nella sua camera; entrando notò subito l’assenza di Masaki, “sarà da qualche parte con Miri-Chan” pensò, e senza dare troppo peso alla cosa iniziò a spogliarsi, si mise il pigiama e si infilò nel letto.

    Si rigirava incapace di prendere sonno, pensava a Mary.
    Prese il telefono, voleva mandarle un messaggio. “Dormirà sicuramente” pensò mentre scriveva.

    Ehi, dormi?

    No, non ci riesco.

    Nemmeno io. Ti va di venire con me in un posto?

    Si, dove?

    Ci vediamo davanti l'ascensore fra 10 minuti.

    Mary scese velocemente dal letto, senza far rumore andò nella stanza delle amiche, “bene, stanno dormendo!”.
    Uscì dalla suite, socchiuse la porta e raggiunge Sho, che la stava aspettando all’ascensore.
    “Sho!” lo chiamò sottovoce.
    Lui si girò e vedendola rimase a bocca aperta.
    Aveva un babydoll verde acqua e un cardigan leggero sulle spalle. “Dove andiamo?” gli chiese, ma lui non rispose, “Sho, ci sei?”
    “Sì, sì, scusa. Mi ero…” disse continuando a guardarla con una faccia da ebete. Mary arrossì, “scusa per l’abbigliamento, ma ero a letto, e…”
    “Tranquilla, non c’è nessun problema” rispose muovendo le mani freneticamente.
    “Vado a cambiarmi”.
    “NO!” esclamò, “sei perfetta così!” disse prendendole la mano, “ti fidi di me?” le chiese dirigendosi verso le scale antincendio.
    “In teoria, ma dove stiamo andando?”
    “Vedrai” le disse facendola voltare e coprendole gli occhi con il suo foulard, che aveva trovato attaccato alla maniglia della porta di Jun.

    Lentamente l’aiutò a salire le scale; una volta arrivati, la posizionò e si mise dietro di lei, con mani tremanti, slegò il foulard, “guarda” le sussurrò nell’orecchio.
    Lei aprendo gli occhi, si ritrovò tutta Malta ai suoi piedi.
    La vista era mozzafiato, le luci dei palazzi creavano uno spettacolo di colori indescrivibile, “subarashii!” disse voltandosi verso di lui, “tu non guardi?” gli chiese notando che la fissava intensamente.
    “Preferisco quello che ho davanti gli occhi” le rispose prendendole il viso tra le mani, “questo è il panorama che mi toglie il fiato!”
    Mary arrossì a quelle parole; Sho senza pensarci tanto, si avvicinò, dandole un bacio dolce sulle labbra, distaccandosi subito per vedere la sua reazione, lei era completamente rapita, gli mise le braccia intorno al collo, si alzò sulle punte e lo baciò intensamente.
    Sho ricambiò il bacio, mettendole le mani intorno alla vita avvicinandola a se. Si staccarono dopo un paio di minuti, continuando a guardarsi negli occhi. “Hai freddo?” le chiese, notando che stava tremando.
    “No, non è per il freddo”.
    Lui le sorrise, l’abbracciò da dietro e continuarono ad osservare il panorama.
    “Andiamo?” chiese rompendo il silenzio e facendola sobbalzare. Lei annuì con un cenno della testa e si avviarono nelle camere.
    Si salutarono con una bacio davanti la stanza 11.
    Mary entrò, era incredula, rimase sulla soglia per qualche minuto, ripensando a quel bacio e sfiorandosi le labbra.
    A riportarla alla realtà fu un rumore sordo dietro la sua schiena. “Sho!” esclamò dopo aver aperto la porta.
    “Eetoo…” disse passandosi una mano fra i capelli e guardandosi i piedi “potrei dormire da voi?”
    “Eh? cosa!?”
    “Non fraintendere. È che mi sono chiuso fuori”.
    “Oh, okay, accomodati. Però c’è un problema, il divano è piccolo e l’unico posto disponibile sarebbe nel mio letto”.
    Sho arrossì “no, tranquilla, va bene il divano” disse sempre più imbarazzato, entrò e senza aggiungere altro andò a sdraiarsi sul divano.

    Mary notò subito che stava scomodo, lo prese per mano e lo condusse nella camera, “dai, muoviti!” gli disse.
    In imbarazzo la seguì; si sdraiarono ai lati opposti del letto, lasciando un ampio spazio tra di loro.
    Mary si addormentò all’istante, Sho invece non riusciva a dormire, era agitato e averla vicino non era di aiuto; lei lentamente si rotolò nel letto e si avvicinò a lui, “e ora che faccio?” pensò mentre la fissava, dormiva serenamente con la testa poggiata sul suo petto.
    Le scostò i capelli dal viso e dopo qualche minuto riuscì ad addormentarsi.


    Capitolo 13
    Mary stava dormendo serenamente fra le braccia di Sho, fin quando sentì bussare ripetutamente alla porta, guardò l’orologio, che lui portava al polso, erano le 7.00 “ma chi è a quest’ora?” pensò mentre si alzava per andare ad aprire.
    “Sto arrivando!” esclamò per far smettere quel fastidiosissimo “toc, toc”.
    Aprì la porta, era Jun. “Oh, ehm Jun, che ci fai qui? È successo qualcosa?” disse in imbarazzo mentre cercava di capire se da lì si vedeva Sho che dormiva nel suo letto.
    “Scusami non volevo svegliarti, Antonella c’è?”
    “Sì, credo che stia dormendo, perché?”
    “Ti dispiace se vai a svegliarla, devo dirle una cosa, è importante”
    “Sì, vado subito” disse, mentre si avviava nella stanza, ma Jun la bloccò “anzi, la sveglio io” le disse.

    Mary lo lasciò entrare e lo vide andar dritto nella stanza; aprì lentamente la porta ed entrò.

    Senza far rumore si inginocchiò davanti al letto, dolcemente, con il dito tracciò il contorno delle sue labbra facendole il solletico, lei si passò una mano sul viso, e si girò dall'altro lato.
    Jun si alzò, si sdraiò di fianco a lei, le spostò i capelli e le diede un bacio sul collo, lei sobbalzando lo fece cadere e si tirò il lenzuolo fino alle orecchie, rannicchiandosi.
    Decise di cambiare metodo, così non funzionava; spostò il lenzuolo e si infilò lentamente nel letto, iniziò a farle i grattini lungo il braccio, stava iniziando a sorridere “bene si sta svegliando" pensò passandogli le dita sulla schiena.

    Il suo corpo reagiva al suo tocco, le stavano venendo i brividi; Jun la guardò sorridendo.
    Lentamente iniziò a svegliarsi voltandosi verso di lui, quando aprì gli occhi, si ritrovò il suo viso di fronte. “Miriam credo ci sia Junnosuke nel mio letto” disse ancora intontita di sonno, “o forse sto ancora sognando”.
    Jun si mise a ridere sentendo quelle parole, “buongiorno principessa”.
    Sentendo la sua voce sobbalzò sedendosi sul letto, “Jun! Che ci fai qui?” disse in imbarazzo arrossendo.
    “Oggi hai da fare?” le chiese sedendosi anche lui.
    “Credo di no, perché?”
    “Bene; allora oggi io e te ce ne andiamo da qualche parte insieme”. E senza darle spiegazioni, uscì dalla stanza. “Giorno Sho” disse uscendo non rendendosi conto che lui si trovava nella suite delle ragazze, ma appena chiuse la porta, realizzò quello che aveva visto, bussò di nuovo e ad aprirlo fu proprio lui.
    “Hai dimenticato qualcosa?” gli disse cercando di fargli credere che era nella suite degli Arashi, ma Jun afferrò la porta e indicando il numero e la scritta incise sopra disse “che cavolo ci fai qui, in pigiama!?” aggiunse indicandolo.
    “Beh, vedi ieri è successo che…” iniziò a spiegargli, era nel panico.
    Mary sentendolo, uscì dalla stanza, “colpa mia, ieri mi sono sentita male e per non svegliare le ragazze ho pensato di chiamare Sho”.
    “Vabbè va, diciamo che vi credo. Ci vediamo sotto per la colazione”. Disse facendogli l’occhiolino prima di chiudere la porta.

    Antonella ancora incredula, uscì dalla stanza “MARY! MARY! MARY! ERA UN SOGNO OPPURE JUN È APPENA USCITO DALLA MIA STANZA?” e notando Sho aggiunse “certo che voi Arashi siate mattinieri, invece di dormire fino a tardi e recuperare il sonno perso”.
    Sho si passò una mano nei capelli in imbarazzo, “beh, sarà l’abitudine” salutò Mary dandole un bacio a stampo e si fiondò verso l’uscita.
    Una volta fuori, fece un respiro profondo e di corsa raggiunse la suite 16.
    Antonella si voltò verso Mary con uno sguardo interrogativo, “sbaglio o ti ha baciato?”
    “Beh vedi, ieri sono successe un pò di cose?”.
    “Bene, siediti sul divano, vado a svegliare Miriam. Qui vogliamo i dettagli” disse andando verso la sua stanza. “MIRIAM! MIRIAM! SVEGLIA CI SONO SVILUPPI INTERESSANTI” urlò avvicinandosi al letto e tirando le lenzuola, si rese subito conto che al suo posto c’era Danny.
    “Dov’è?”.

    Si precipitò nel salotto, “C’È DANNY NEL LETTO!”.
    Mary la guardò con sguardo vuoto “in che senso c’è Danny nel letto?”
    “Miriam non c’è!” disse con tono deciso.
    “Come non c’è?”
    “Mary piantala di pensare a Sho e vedi di svegliarti. Al posto di Miriam c’è il minions!”
    Mary incredula si precipitò nella stanza constatando con i suoi occhi quello che le aveva detto Antonella.
    Ritornò in salotto la prese dal braccio e la trascinò nel corridoio.
    Bussò forte alla porta della suite dei ragazzi fin quando Nino l’aprì, “giorno ragazze. Siete energiche stamattina!” disse sarcastico.

    Mary non gli rispose, lo spostò con la mano ed entrò come una furia nella stanza urlando “MIRIAM VIENI FUORI, IMMEDIATAMENTE!”
    “Mary-chan stai bene?” le chiese Sho avvicinandosi.
    “Miriam ti ho detto di venire fuori!” ripeté lei, ignorando completamente la domanda di Sho.
    Tutti la guardavano sbalorditi, non l’avevano mai vista così furiosa.

    Ohno entrò nella stanza di Masaki e Sho e notò che anche lui non c’era, “Mary-chan qui Miriam non c’è” le disse e guardando Sho di traverso aggiunse: “e non c’è neanche Aiba-chan”.
    “Forse saranno andati a fare colazione” disse Sho cercando di creare un alibi per coprire l’amico.
    “Colazione, alle 7.30? Miriam?! Non credo proprio” esclamò Mary guardando l’orologio appeso alla parete del soggiorno.
    “Magari avevano fame” continuò.
    “Bene, allora andiamo a controllare” disse lei continuando a spingere Antonella.
    “Mary non vorrei interrompere i tuoi piani di distruzione, ma hai intenzione di scendere così al buffet? Io non ho nulla in contrario, ma sai, credo che per qualcuno sia un problema” disse Nino seguendola.
    “Che problema c’è nel mio abbigliamento?” disse con tono acido.
    “Ehm, Mary siamo in pigiama” le sussurro Antonella in un orecchio.

    Lei finalmente si rese conto di com’era vestita e di dove si trovava, “oh, ehm scusate!” disse in imbarazzo, velocemente uscì e andò dritta nella sua stanza “che figura!” pensò chiudendosi la porta dietro le spalle.
    “Non fateci caso” disse Antonella, “quando si arrabbia non capisce più niente e agisce senza pensare”.
    “Tranquilla” le disse Ohno.
    “Beh, allora vado a cambiarmi anche io, ci vediamo dopo. Ja ne!”
    Rimasti soli, Jun, Nino e Ohno si voltarono verso Sho con sguardo minaccioso, “che vi prende raga?” disse lui nel panico.
    “Dov’è Masaki?” gli chiese Ohno.
    “Dove hai passato la notte?” intervenne Nino.
    “Che cosa hai fatto stanotte?” proseguì Jun.

    Tutti e tre si avvicinarono a lui circondandolo, “va bene, ora ve lo dico, ma state calmi” disse, “non lo so dov’è Masaki, ieri non c’era quando siamo rientrati, ho pensato che fosse da qualche parte con Miriam” gli spiegò.
    “E non ti è venuto in mente di dircelo?” gli chiese Ohno.
    “No. E poi che male c’è se stanno un pò insieme, in fin dei conti si piacciono”.
    “E tu invece, signor Sakurai dove sei stato?” chiese Nino.

    Sho velocemente gli raccontò quello che era successo la sera prima, ovviamente tenne per se alcuni particolari.
    “E come ci sei finito nella suite delle ragazze?” Intervenne Jun.
    “Oh… beh, quello è successo perché ho dimenticato di socchiudere la porta, perciò, ecco… mi sono chiuso fuori”.
    “Baka!” gli dissero tutti e tre in coro scoppiando a ridere.
    “Andiamo a vestirci” disse Ohno riprendendosi, “e speriamo che quell’idiota sia nella sala ristorante”.
    Dopo essersi vestiti andarono dritti verso l’ascensore, dove trovarono le ragazze.
    “Scusate per prima” disse Mary entrando.
    “Tranquilla” la rassicurò Sho.
    Jun schiacciò il pulsante, le porte si chiusero e scesero nella hall.

    Masaki ancora addormentato cercava di cambiare posizione, gli si era addormentato il braccio e in più si sentiva un peso addosso.
    Impossibilitato nel muoversi aprì gli occhi, “dove sono?” pensò guardandosi intorno, non si ricordava di essere ritornato in camera.
    Abbassò lo sguardo e vide Miriam che gli dormiva sul petto. “Miriam?!” La chiamò passandogli una mano fra i capelli, ma lei non si svegliò, anzi si strinse di più a lui. “Miriam?!” La richiamò, ma questa volta un pò più forte. Lei aprì gli occhi, si guardò intorno per un secondo e girandosi sul fianco, si rimise a dormire. “Miriam svegliati!” le disse dandole prima un bacio dietro l’orecchio e poi sulla guancia.
    Lentamente aprì gli occhi e si girò mettendosi di fronte a Masaki.
    “Ohayou!” le disse spostandole il ciuffo che le copriva il viso.
    “Ohayou Masaki! rispose sorridendo.
    “Dormito bene?” le chiese.
    “Benissimo e tu?”
    Masaki non fece in tempo a rispondere, il giardiniere dell’hotel si avvicinò a loro “che diavolo ci fate voi due qua?” gli disse con tono minaccioso.
    “Oh, ehm, ci scusi” rispose Miriam in imbarazzo, “ehm, ci siamo addormentati. Ma ora ce ne andiamo subito” aggiunse mettendosi le scarpe e alzandosi.
    Masaki, rimase sdraiato ad osservarla e dopo qualche secondo si alzò.
    Per un attimo il suo sguardo fu attratto da una cosa piccola e rossa poggiata sull’amaca, la raccolse, era il petalo con cui giocava Miriam la sera prima, se lo mise in tasca e sentendosi osservato alzò lo sguardo, il giardiniere lo stava fissando. “Sorry!” Disse in imbarazzo e superandolo si avvicinò a Miriam.

    “Gioventù bruciata” pensò iniziando ad annaffiare le piante.

    “Miriam tutto okay?” Le chiese notando la sua espressione preoccupata.
    “Si tutto okay, e solo che…” iniziò bloccandosi subito dopo.
    “Che?” Le chiese con tono insistente.
    “Uhm, niente, ho fame”.
    “Baka!” Le disse scompigliandole i capelli, “non c’è bisogno di fare quella faccia” e, prendendole la mano si avviò verso il ristorante.

    “Non ce la farò mai a dirglielo” pensò, mentre Masaki le metteva un vassoio in mano.

    Presero la loro colazione e andarono a sedersi in fondo alla sala.
    “Ehm, Aiba-chan” iniziò lei.
    Masaki” le disse interrompendola.
    “Si giusto. Masaki, io…” questa volta però fu interrotta da Mary che si avvicinò a loro furiosa, seguita dagli altri.
    “DOVE SEI STATA?” urlò sedendosi vicino a lei.
    “Uhm, noi, cioè io, ecco” disse nel panico, aveva completamente dimenticato le amiche.
    “Ci siamo addormentati in giardino” spiegò Masaki in imbarazzo.
    “E che ci facevate nel giardino?” chiese Nino per prenderlo in giro.
    “Ehm, questi non sono affari tuoi Kazu” gli rispose lui arrossendo.
    “Dai, ora basta!” Disse Sho sedendosi di fianco a Mary, “li abbiamo trovati, l’importante è questo” e senza aggiungere altro diede un morso al suo cornetto.

    “Anto, appena finiamo di fare colazione, inventa una scusa per andartene e aspettami nella hall” le disse Jun sottovoce.
    Lei rispose con un cenno della testa.
    “Allora Miri-chan, che vuoi fare per il tuo compleanno?” le chiese Nino.
    “Niente ovviamente”.
    “Ma dai, ma perché?” Le chiese Ohno incredulo.
    “Come ho già detto, anzi come ha già detto Mary a me non piace festeggiare i compleanni”.
    “Sarai l’unica persona sulla faccia della terra a cui non piace” le rispose Sho.
    “Non m’importa” rispose lei acida e, con un pò troppa forza tirò l’involucro che copriva il contenitore monodose della nutella, tirando una manata a Masaki, “Itai!” esclamò massaggiandosi lo sterno.
    “Ragazzi io vado un attimo in camera” disse Antonella appena vide che anche Jun aveva finito di mangiare.
    “Tutto okay?” le chiese lui.
    “Sì, ho dimenticato il cellulare” disse alzandosi.

    Uscì dal ristorante, velocemente salì nella stanza prese la borse e ritornò nella hall, dove le aveva chiesto di aspettare.
    “Ma il telefono l’ha dimenticato nella suite o in Italia?” chiese Nino notando il suo ritardo.
    “Vado a controllare” disse Jun alzandosi.
    Una volta uscito raggiunse Antonella, che l’aspettava seduta ai divanetti, “andiamo?” le chiese avvicinandosi.
    “Sì, ma come mai tutto questo mistero?”
    “Mi sembra ovvio” rispose lui sorridente, “non voglio che gli altri ci seguano”.
    Lei gli sorrise e dopo essere usciti dall’hotel, Jun chiamò un taxi, salirono e lui consegnò all’autista un bigliettino con un indirizzo.
    “Dove andiamo?”.
    “Sorpresa!” le disse, passandole un braccio sulla spalla.

    Passarono più di 10 minuti, ma di Anto e Jun non c’era traccia.
    “Ho un brutto presentimento” disse Nino alzandosi.
    “Cioè?” Gli chiese Mary.
    “Quanto scommettiamo che quei due se la sono svignata senza dirci niente?” le rispose.
    “No, non credo” disse lei “Antonella non è il tipo”.
    “Jun si però. E se non mi credi ti mostrerò le prove” disse, facendogli segno di seguirlo. Tutti e cinque si alzarono e lo seguirono al 20° piano.

    Nino poggiò il dito sulla piastrina digitale, NINOMIYA KAZUNARI ACCESSO ESEGUITO.

    “Che figo sto coso! Pensò che lo metterò anche a casa mia” disse entrando e andando dritto nel soggiorno trovò il blocco da disegno di Ohno aperto sul tavolo, lo prese e voltandosi disse “visto? che ti dicevo!”

    “Ve l’ho fatta!
    Divertitevi senza di noi: p
    Jun”


    “Ma che motivo avevano per uscire di nascosto?” chiese Mary confusa.
    “Semplice! Sapeva che l’avremmo seguito” rispose Masaki, mentre si sedeva sul divano.
    Sho appena sentì quelle parole sgranò gli occhi “non dirmi che…” disse voltandosi verso di lui.
    “Si esatto Sho-chan” gli rispose Nino ridendo, “vi abbiamo seguito, è stato molto divertente”.

    Mary era in imbarazzo, non avrebbe mai immaginato una cosa del genere, ovviamente sapeva che gli Arashi erano soliti farsi scherzi fra di loro, e se non ricordava male aveva letto qualcosa sui pedinamenti, ma non si sarebbe mai immaginata che ci sarebbe finita lei di mezzo.
    “Dai Mary-chan non fare quella faccia” le disse Nino sedendosi sulla poltrona “il pedinamento non batte la scena di stamattina”, continuò a prenderla in giro.
    “Idiota” gli disse Sho dandogli uno schiaffo sulla testa.
    “Giù le mani da Kazu” gli disse Ohno sedendosi in braccio a lui, guardando Sho con un finto sguardo minaccioso.
    “Che scemi che siete!” disse sedendosi sul divano, e notando che le ragazze erano rimaste in piedi, aggiunse “perché state in piedi? Sedetevi!”
    Mary prese posto di fianco a lui, Miriam invece rimase ferma immobile vicino al tavolo, aveva lo sguardo perso nel vuoto, non aveva ascoltato neanche una parola.

    “Miriam stai pensando a cosa vuoi fare per il tuo compleanno?” le chiese Masaki avvicinandosi e riportandola alla realtà.
    “Ti potremmo regalare un Danny più grande di quello che hai” le disse Nino sarcastico.
    “Oppure un’intera famiglia di Danny!” proseguì Ohno.
    “Raga forse è meglio se chiudiamo qua il discorso” disse Mary notando l’espressione dell’amica, era infuriata.
    “Ma dai Mary, è impossibile che non le piace festeggiare” le disse Sho.
    “Si infatti, è impossibile, non ci credo, anzi, mi rifiuto di crederci” aggiunse Nino.
    “Che cosa non capite della frase NON VOGLIO FESTEGGIARE!” rispose e infuriata andò dritta verso la porta, l’aprì e uscì sbattendola.
    “Ma che le prende?” chiese Masaki voltandosi verso Mary incredulo.
    “Che reazione esagerata” disse Nino con tono offeso, “la volevamo prendere un pò in giro”.
    “Vi do un consiglio ragazzi” intervenne Mary, “con Miriam potete scherzare su qualsiasi cosa, ma su questa è meglio non scherzare, non si sa mai come possa reagire”.
    “Ma perché lo odia così tanto?” Le chiese Masaki ritornando al suo posto.

    Mary prese il telefono dalla tasca, lo sbloccò e andò alla galleria.

    Senza dire una parola iniziò a scorrere le foto, tutti e quattro la guardavano in attesa di una risposta.
    Dopo un paio di minuti, poggiò il telefono sul tavolo e gli fece segno di guardare.
    Si alzarono e si avvicinarono al tavolo per guardare meglio il cellulare, la foto ritraeva Miriam insieme a un ragazzo, erano abbracciati e il ragazzo le stava dando un bacio sulla guancia.
    Ohno, Nino e Sho ritornarono ai loro posti ancora più confusi, non capivano che c’entrava la foto.
    Masaki rimase lì, non riusciva a muoversi, continuava a guardare lei.
    Miriam aveva un sorriso diverso da quello che aveva imparato a conoscere, non si limitava solo alla bocca, ma si estendeva anche agli occhi.
    “Chi è?” chiese senza distogliere lo sguardo dalla foto
    “Lui è Marco, questa foto è stata scattata il 2 luglio del 2010, durante il compleanno di Miriam” rispose Mary seria.
    “E che c’entra con il fatto che odia i compleanni?” chiese Nino.
    “Quello è stato l’ultimo compleanno che ha festeggiato”.
    “Perché?” intervenne Sho.
    “Dopo la festa di compleanno, mentre ritornava a casa, Marco è rimasto coinvolto in un brutto incidente. Lui era con il motorino e un signore, ubriaco, non si è fermato allo stop prendendolo in pieno. È morto sul colpo. Per lei è stato un duro colpo, erano molto legati e lei non ha ancora non ha superato la cosa”.

    Sho, Nino e Ohno si guardarono, che avevano fatto, era ovvio che doveva esserci un motivo valido dietro il suo rifiuto, “dobbiamo andare a scusarci con lei, immediatamente” dissero contemporaneamente.
    “Dai Masa vieni anche tu!” gli disse Ohno.
    Ma lui lo ignorò, “che tipo di rapporto avevano Miriam e Marco?”
    “Stavano insieme”.
    “La M, il tatuaggio, è la M di Marco?” continuò a chiederle.
    “Sì, esatto” rispose confermando la sua teoria
    “Il destino è in grado di portarti via le cose più importanti” pensò.

    Ecco a cosa si riferiva.

    “Andiamo a scusarci” disse alzandosi e dopo aver consegnato il telefono a Mary si avviò verso la porta.


    Capitolo 14

    L’autista dopo aver letto l’indirizzo sul bigliettino, che gli aveva consegnato Jun partì.
    Antonella si accoccolò fra le sue braccia, “allora me lo dici dove andiamo?”
    “No, non te lo dico”.
    “Uffa! Dai sono curiosa” gli rispose con tono insistente.
    “È inutile, con me non attacca”. Disse stringendole il braccio intorno alle spalle.
    “Sai Jun, sei molto diverso da come ti immaginavo, in televisione sembri un tipo inavvicinabile e invece ora che ti ho conosciuto, sei tutto il contrario; sei molto gentile e disponibile”.
    “Grazie” rispose un pò in imbarazzo per quelle parole, non se l’aspettava. “E tu invece come sei? È molto difficile leggerti, di solito mi basta stare con una persona per pochi minuti per capire com’è e invece con te non riesco”.
    “Sono una ragazza normalissima”, rispose dopo qualche minuto di silenzio “con i piedi per terra, non mi entusiasmo molto, infatti sono la pessimista del trio e anche la più realista”.
    “In che senso, la più realista?” chiese curioso.
    “Nel senso che vedo le cose come sono fin dall’inizio e dico la mia verità su tutto, sembrando acida delle volte”.
    “Non mi dai l’impressione di essere acida”.
    “Invece delle volte lo sono. O almeno è quello che mi dicono” disse accennando un lieve sorriso.
    “Non è un male dire la propria opinione” le disse cercando di tirarla un pò su di morale. “Ma oltre alla tua lingua tagliente…”
    “Lingua tagliente?” chiese lei.
    “Beh direi che è azzeccato. Non dirmi che ti sei dimenticata il cazziatone che mi hai fatto il giorno del concorso?”
    “Ah! quel giorno”.
    “Si. Nessuno mi ha mai parlato in quel modo. O meglio, nessuno si è mai permesso, conoscendomi”.
    “Allora, ti ho zittito, interessante! Non pensavo di avere un tale potere sul mitico J” gli disse ridendo.
    “Diciamo che mi hai sorpreso” le disse ridendo anche lui, “però hai anche un lato dolce; quando mi hai visto in difficoltà, mi hai aiutato”.
    “Beh, l’avrebbe fatto chiunque”.
    “Non lo so, fin ora non è mai successa una cosa simile” ammise guardando fuori dal finestrino. “Sei riuscita a calmare il mio nervosismo e la mia ansia in un modo che...”
    “Che nessuno ha mai fatto?” disse continuando la frase.
    “Esatto”.

    Neanche Jun si aspettava che quella ragazza potesse avere un tale potere su di lui.
    Lo mandava in confusione, ma nello stesso tempo lo tranquillizzava.
    Da quando si erano conosciuti, sentiva qualcosa di molto forte, nonostante si conoscessero da poco lei riusciva a capirlo con un solo sguardo.
    Jun distolse lo sguardo dal panorama che guardava dal finestrino e notò che Antonella si era addormentata fra le sue braccia, la strinse di più a se in modo da farle poggiare la testa sulla sua spalla, iniziò ad accarezzarle i capelli e le spostò la frangia che le copriva gli occhi.
    “Siamo quasi arrivati” gli disse il taxista.
    “Anto svegliati!” le sussurrò dolcemente in un orecchio. Lei lentamente si svegliò, “siamo arrivati?”.
    “Non ancora, ma ci siamo quasi. Hai fatto un bel sogno? Magari hai continuato quello di stanotte”.
    “Ehm cioè? Che intendi?”
    “Miriam credo ci sia Junnosuke nel mio letto, o forse sto ancora sognando” le ripeté ridendo.
    Antonella per l’imbarazzo iniziò ad arrossire “l’ho detto ad alta voce!”. “Oh, beh, ecco, io…”.
    “Siamo arrivati” disse l’autista interrompendola, “fanno 42.50€”.
    Jun dopo avere pagato scese e velocemente girò intorno al taxi, “prego signorina” disse aprendo la portiera.
    “Grazie mille!” rispose prendendogli la mano.

    Mano nella mano camminarono per raggiungere il luogo che aveva deciso Jun.
    “Dove siamo?” gli chiese.
    “St. Julian, ma siamo solo di passaggio. Da qui prendiamo il traghetto per raggiungere il posto dove ho deciso di portarti”.
    “E quale sarebbe?” continuò lei.
    “Lo vedrai quando saremo arrivati”.
    “Uffa sei ingiusto” rispose con un finto tono offeso.
    “Ora è il mio turno di fare domande” disse mentre salivano sul traghetto.
    “Hai intenzione di farmi un interrogatorio?” gli chiese divertita.
    “Oh sì. Voglio avere più informazioni possibili su Antonella Perri”.
    “Come fai a sapere il mio cognome?” gli chiese guardandolo con aria confusa.
    “Io so tutto, ma ora non cercare di cambiare discorso, devi rispondere alle mie domande” disse portandosi la mano sotto il mento.
    “Kowai!”
    “Tranquilla, ci andrò leggero” disse facendole l’occhiolino “forse! Allora, iniziamo con domande semplici, qual è il tuo colore preferito? La musica? Il cibo? Cosa ti piace fare? Hobby? Vediamo cosa posso chiederti ancora?”
    “Cho-chotto! Fammi rispondere prima a queste”.
    “Okay, allora inizia” le disse impaziente.
    “Il mio colore preferito, non ne ho uno in particolare. Posso dirti che tonalità mi piace indossare, cioè bianco, nero, blu, rosso, viola, grigio, verde, in base all’occasione. Tranne giallo.”
    “Quindi il giallo no”.
    “Esatto. Poi la musica. Ultimamente sto ascoltando solo un gruppo, che mi piace molto”.
    “E quale sarebbe? Mi piacerebbe ascoltarlo”.
    “Aspetta ti faccio sentire una loro canzone” disse prendendo il telefono. “Allora che ne pensi? Non sono bravi? Si chiamano Arashi”.
    “Uhm Arashi hai detto? Si sono bravi, credo di averli già sentiti” le disse divertito.
    “Non sono bravi, ma bravissimi, poi il loro Riidaa è bellissimo” gli disse con gli occhi che le brillavano.
    “Se ti piace così tanto, allora perché ora sei qui con me?” le chiese leggermente infastidito.
    “Che vuoi dire?”
    “Siamo arrivati” disse alzandosi.

    Scesero dal traghetto, erano arrivati sull’isola di Comino, un piccolo isolotto a nord-est di Malta.
    Jun aveva organizzato un escursione in barca nella Laguna Blu, famosa per il suo colore azzurro e le sue acque limpidissime.
    Camminavano in silenzio lungo il piccolo molo dov’erano attraccate le barche turistiche.
    Salirono su una di esse e presero posto sui sedili dell’ultima fila, Antonella osservava Jun, non riusciva a capire il motivo del suo silenzio, eppure non aveva detto niente di male.
    Lentamente uscirono dal molo, l’escursione prevedeva un giro di due ore fra le grotte di Comino.
    “Jun che ti prende?” gli chiese mentre tornavano al molo.
    “Niente, perché?”
    “Non parli da quando siamo arrivati. Dai dimmelo, lo so che nascondi qualcosa”.
    “Ho detto, che non ho niente” rispose con un tono di voce leggermente più alto.
    “Come vuoi” gli rispose alzandosi.
    Jun l’osservava da lontano, “sono un idiota” pensò, mentre si alzava per raggiungerla. “Scusa” le disse “ma quelle parole su Satoshi mi hanno infastidito”.
    “Perché? Non mi sembra di aver detto qualcosa di male”.
    “Scusa” gli ripeté abbassando gli occhi.

    Antonella gli scompigliò i capelli, lui alzò lo sguardo e la vide sorridere.
    Scesero dalla barca e andarono a mangiare in un piccolo ristorantino vicino al mare.
    Durante il pranzo Jun continuò con il suo interrogatorio, Voleva sapere tutto su di lei, voleva conoscere ogni sfaccettatura del suo carattere.
    Era incuriosito dalla sua personalità, dal suo modo di fare così diverso dalle sue amiche. “Posso farti una domanda?” le chiese mentre uscivano dal ristorante, “giuro che questa è l’ultima” aggiunse incrociando le dita in segno di promessa.
    “D’accordo” gli disse sorridendo.
    “Perché quel giorno al luna park mi hai baciato?”
    “Oh, beh, ecco l’ho fatto per verificare se quella ragazza guardava veramente te” ammise in imbarazzo.
    “Ah capisco”. Antonella notò subito che c’era rimasto male per quella risposta.

    Gli prese la mano e si fece passare il braccio sulle spalle, lei gli mise il braccio intorno alla vita avvicinandosi a lui.
    Jun la strinse di più a se, averla vicino lo tranquillizzava.
    “Oh bancarelle; andiamo?” gli chiese liberandosi dal suo abbraccio.
    “Certo” rispose lui sorridendo e prendendole la mano.

    Camminavano mano nella mano sul lungomare pieno di bancarelle di qualsiasi tipo: vestiti, oggettistica varia, souvenir del luogo, bracciali e tante altre.
    Si fermarono davanti una bancarella di anelli, Jun li guardava con aria sognante, adorava gli anelli, più erano particolari più gli piacevano, “carino questo” disse indicando un anello in acciaio a forma di palla con degli spuntoni sopra.
    “Saranno felici gli altri se lo prendi” disse Antonella ridendo.
    “Soprattutto Aiba-chan” le rispose “che dici, lo prendo per fargli uno scherzo?”.
    Ma lei non rispose, stava guardando un anello, “perché non lo provi?” le disse notando la sua espressione.
    “Come?” gli chiese, era un pò confusa.
    “Stavo dicendo, perché non lo provi, si vede che ti piace”.
    “Non mi starebbe bene. Ho le dita troppo sottili e mi cadrebbe, visto che è a fascia larga”.
    “Questo è un anello per coppie” gli spiegò il proprietario della bancarella, “è composto da due fasce, una più larga mentre l'altra è più piccola, uniti formano il cuore che è inciso sopra”, lo prese e glielo mostrò.
    “Carino!” disse Jun “dai provalo” aggiunse voltandosi verso di lei.

    Antonella un pò titubante se lo provò e con sua grande sorpresa, notò che le stava alla perfezione.
    Il suo viso si illuminò improvvisamente, ma dopo poco se lo tolse e lo rimise a posto.
    “Perché?” le chiese sorpreso.
    “È un anello per coppie, non avrebbe senso prenderlo, anche se mi sta bene e mi piace”.
    “Se lo dici tu” le disse distogliendo lo sguardo dalla bancarella, “ti va qualcosa al bar?” chiese notando un chioschetto sulla spiaggia.
    “Si” rispose con un cenno della testa.

    Salutarono il proprietario della bancarella e si avviarono verso la spiaggia, si accomodarono sugli sgabelli intorno al bancone e dopo aver ordinato Jun le disse “Scusami, vado un attimo in bagno” si alzò e velocemente andò verso i bagni.
    Antonella rimase lì ad aspettarlo, passarono più di dieci minuti. “Uffa! Ma quanto ci mette”.

    “Scusa Anto, ma c’era fila” disse con il fiatone.
    “Tranquillo. Nessun problema”.
    “Perché Ohno è il tuo ichiban?” le chiese dopo aver bevuto un sorso del suo drink.
    “Non avevi detto che quella di prima era la tua ultima domanda?”
    “Questa è davvero l’ultima giuro”.
    “Uhm non c’è un perché, mi piace è basta. Mi piace come si cala nei personaggi, come canta e balla, come disegna. Tant’è che gli ho chiesto anche un ritratto”.
    “Cosa?! Quando?”
    “Quando siamo andati a pesca, ma stai calmo. Mi ha già detto che non me lo può fare, per gli accordi con la Johnny’s”.
    “Ah!”
    “Ma perché questa reazione? Gli ho chiesto solo un ritratto, niente di che. Perdi le staffe troppo facilmente”.
    “Quando si tratta di te sì”.
    “E perché?”
    “Semplice, perché tu sei di mia proprietà!”
    “COSA!? Non sono un terreno o un oggetto signor Matsumoto, e non sono la proprietà di nessuno” si alzò e infastidita andò verso la spiaggia.
    “ASPETTA ANTO, MI SONO ESPRESSO MALE” urlò cercando di fermarla dal braccio, ma lei era talmente nervosa e offesa da quella frase, che si girò tirandogli uno schiaffo.
    “Itai! Aspetta!” le ripeté afferrandola dal braccio con più decisione, lei non gli poté più sfuggire. “Mi dispiace. Non volevo offenderti. Non sei un terreno o un oggetto, sei una splendida persona. Una bella ragazza, che mi fa girare la testa e mi mette a posto, come nessuno ha mai fatto prima”.

    Anto rimase impassibile, il suo volto era ancora arrabbiato. “Dai, mi perdoni?”.
    Ma lei non gli rispose, era troppo arrabbiata per quella parola. “Non pensi di essere un pò ipocrita?” Le disse spazientito.
    “Io?! Ipocrita?”
    “Sì, l’altro giorno mi hai baciato solo per far ingelosire una tipa, che fra l’altro neanche conosci. Se proprio vuoi baciarmi allora fallo perché è una cosa che senti di fare e non per usarmi”.

    Antonella rimase senza parole, Jun aveva ragione, in quell’occasione si era comportata da egoista, l’aveva baciato solo per il gusto di farlo.
    “Okay sono stata egoista, l’ho fatto solo per farla ingelosire, ma non c’è bisogno che me lo rinfacci, io l’ho fatto per farla andare via” gli rispose liberandosi dalla sua presa.
    “E ora dovrei ringraziarti? Nessuno ti ha chiesto di farlo”.

    Antonella lo guardava sconcertata “non voglio proprio niente da te. Va al diavolo Jun”. Si voltò e andò dritta verso il chiosco.

    Jun le corse dietro, la superò e si mise davanti a lei.
    “Spostati Jun” gli disse arrabbiata.

    Ma lui non si spostò, anzi si avvicinò di più a lei, “scusami, sono uno scemo” disse dandole un bacio sulla fronte. “Scusami, sono un bambino” aggiunse dandole un bacio sulla guancia sinistra. “Scusami, sono istintivo” continuò dandole un bacio sulla guancia destra. “Scusami per quello che ho detto, ma non riesco a pensare in maniera razionale quando sei con me. Mi piaci” concluse dandole un bacio sulle labbra.

    Anto rimase senza fiato, non si sarebbe mai immaginata quello che stava accadendo. “Jun, ma che fai?” disse allontanandolo e cercando di schiaffeggiarlo nuovamente, ma questa volta lui la bloccò, le prese la mano e se la poggio sul petto. I battiti del suo cuore erano velocissimi “vedi che effetto mi fai” le disse guardandola negli occhi “non ti sto prendendo in giro, mi piaci davvero. Mi piaci dal momento in cui le nostre vite si sono incrociate in quell’ascensore. Non avrei mai immaginato di riuscire a provare qualcosa di così forte per una persona. Hai preso la mia vita e l’hai stravolta, hai dato un senso a tutto”.
    Antonella lo guardava, non riusciva a dire niente, quelle parole continuavano a girarle in testa, lentamente si avvicinò a lui e gli diede un bacio all’angolo della bocca, “anche tu hai stravolto la mia vita Matsumoto Jun”.
    Lui le mise un braccio intorno alla vita e l’avvicinò a se; si abbassò leggermente con la testa e la baciò.
    Rimasero abbracciati per qualche minuto finché Jun disse: “credo sia meglio che andiamo”.
    “Ci avranno dati per dispersi” rispose Antonella sciogliendo l’abbraccio.
    In silenzio si avviarono verso il porto, dove presero il traghetto che li riportò a Malta.


    Capitolo 15

    Miriam entrò nella suite 11 come una furia, era arrabbiatissima. Se non voleva festeggiare aveva i suoi motivi e loro non potevano costringerla.
    Andò in camera sua, prese il primo paio di jeans che trovò, afferrò una maglietta al volo e andò dritta in bagno, aveva bisogno di una doccia.
    Aprì l’acqua, si tolse il vestito e si infilò sotto la doccia, il getto d’acqua calda le scivolò addosso facendola rilassare.
    Uscì dopo qualche minuto, dopo essersi asciugata e vestita andò in soggiorno, si era appena sdraiata sul divano quando sentì bussare ripetutamente alla porta.
    Di corsa andò ad aprire, “non voglio festeggiare” disse appena li vide.
    “Non sono qui per questo Miriam” intervenne Mary “entrate” aggiunse facendogli segno di seguirla, entrarono e si sedettero sul piccolo divano del soggiorno.
    “Miriam noi…” iniziò Ohno.
    “Ci dispiace” intervenne Masaki interrompendolo.
    “Sì, Mary ci ha raccontato quello che è successo. Avremmo dovuto capirlo, che dovevi avere un buon motivo per non voler festeggiare, siamo stati maleducati a spingerti a fare una cosa che non volevi. Ti chiediamo scusa” le disse Sho con un sorriso.
    “Scusate” disse lei abbassando lo sguardo, non si aspettava delle scuse, “non volevo urlare con voi, ma ecco, mi sono innervosita e non sono riuscita a controllarmi”.
    “Tranquilla Miri-chan” le disse Nino avvicinandosi e abbracciandola “è colpa nostra”.
    Masaki sgranò subito gli occhi, “ora basta fare smancerie con la mia ragazza” gli disse avvicinandosi e mettendogli una mano sulla spalla.
    “La tua cosa?” gli chiese incredulo.
    “Hai capito benissimo, perciò giù le mani”. E prendendo Miriam per mano l’avvicinò a se, “allora che ti va di fare oggi?” le chiese sorridendo.

    Miriam lo guardava con aria confusa non riusciva a credere alle sue orecchie, Aiba Masaki, il suo Aiba Masaki l’aveva definita la sua ragazza.

    “Allora che vuoi fare?” le ripeté distogliendola dai suoi pensieri.
    “Oh, io ecco, gli animatori dell’hotel hanno organizzato il gioco “caccia alla bandiera” attraverso un percorso di guerra” rispose e mentre prendeva il volantino poggiato sul tavolo aggiunse “ci sono anche i fucili con i proiettili colorati, pensavo che potremmo fare quello”.
    “Percorsi di guerra?” Ripeté Mary “qualcosa di più normale, no eh?”
    “Ma io non sono normale, perciò…” le rispose sorridendo.
    “Vada per il paint ball” intervenne Masaki allegro, “come si fa a partecipare?”
    “Qua c’è scritto di rivolgersi alla reception” gli rispose Sho, alzandosi dal divano e andando verso la porta, seguito dagli altri.

    Entrarono in ascensore e scesero nella hall, Sho si avvicinò alla reception e chiese informazioni alla receptionist, che subito gli consegnò il modello d’iscrizione, lo compilarono velocemente e glielo consegnarono.

    “Il pullman partirà fra mezz’ora; li ci sono gli altri partecipanti” gli disse indicando un gruppetto di ragazzi vicino l’entrata.
    “Thank You!” le rispose, e voltandosi verso gli altri gli fece segno di seguirlo.
    Il pullman arrivò con qualche minuto d’anticipo, salirono e presero posto sull’ultima fila, dopo circa quaranta minuti arrivarono in un vasto spazio circondato da alberi, all’interno del quale gli animatori avevano costruito tre percorsi separati, ognuno per squadra.
    Dopo aver deciso il percorso li divisero in coppia, ognuna delle quali era abbinata a una bandiera colorata, verde, gialla e blu.
    Miriam e Masaki avevano scelto la bandiera verde sulla quale disegnarono un enorme M², Sho e Mary presero quella gialla su cui disegnarono uno smile mentre a Nino e Ohno fu data la bandiera blu sulla quale Ohno disegnò una S e una K incastrate fra di loro.
    Dopo averle personalizzate le consegnarono agli animatori, i quali avevano il compito di nasconderle all’interno del percorso.
    Solo dopo che le bandiere furono nascoste gli consegnarono l’attrezzatura, che consisteva in un uniforme da guerra, un elmetto, occhialini e uno zaino con le munizioni per il fucile. Si cambiarono velocemente e andarono sulla linea di partenza.

    “Giorno ragazzi, mi chiamo Danilo e loro sono Michael, Sharon e Massi” aggiunse indicandoli, “noi abbiamo organizzato il gioco di oggi, prima di dare il via alla guerra vi spiegherò velocemente il regolamento. Come avete potuto notare, vi è stata consegnata una bandiera che avete dovuto personalizzare, le bandiere sono state nascoste all’interno del percorso da voi scelto. Nel vostro zaino troverete una mappa, sulla quale sono segnati i posti in cui sono nascoste. Per vincere non basta trovare la propria bandiera e arrivare qui prima degli altri, ma dovete accumulare il maggior numero di punti, attraverso delle prove:

    Prova fisica 10 punti;
    Prova mentale 20 punti;
    Prova di coppia 50 punti;
    Conquista della bandiera 60 punti;
    Se arrivate primi 90 punti, secondi 80 e terzi 70.
    Qui, però, entrano in scena le penalità, ogni macchia di colore delle coppie avversarie equivale a -10 punti. Perciò fate in modo di non essere colpiti. Alla fine verrà fatto il conteggio totale, vincerà la coppia con il punteggio più alto. Bene spero di essere stato abbastanza chiaro, diamo il via alla guerra”.

    Massi soffiò nel fischietto dando iniziò alla caccia. Tutti e tre presero una direzione diversa, Miriam e Masaki andarono a sinistra, Sho e Mary a destra, mentre Ohno e Nino optarono per quella centrale.

    “Miriam prendi la mappa nel mio zaino” le disse voltandosi di spalle.
    “Ehm, Masaki non serve, ho già preso la mia”.
    “Oh bene, vieni, nascondiamoci lì dietro e cerchiamo di capire qual è il percorso migliore da seguire”.
    Si nascosero dietro degli alberi, Masaki aprì la mappa e iniziò a studiarla.
    “Le bandiere si trovano nel mezzo, ora ci sono due modi per arrivare o andiamo dritto per di qua, rischiando di trovare Sho e Mary oppure ritorniamo indietro e prendiamo il sentiero che hanno fatto Ohno e Nino. Che facciamo?” Chiese alzando gli occhi dalla mappa.
    “Io direi di fare questo percorso” disse indicando un sentiero che Masaki non aveva visto, “arriviamo al centro da sinistra, passiamo attraverso gli alberi così siamo ben nascosti”.
    “Bene, allora seguiamo il tuo percorso” disse alzandosi.
    “Ehm, aspetta un attimo” gli disse prendendo la mappa.
    Masaki l’osservava in silenzio, non capiva che stava facendo, Miriam prese una cartuccia dal suo zaino e facendo attenzione a non macchiare l’uniforme la schiacciò fra le mani fino a farla scoppiare, con il dito segno sulla mappa il percorso che dovevano seguire.
    “Perché lo segni?” le chiese confuso.
    “Così non avremo problemi a riconoscere la strada e non perderemo tempo ad orientarci” disse alzandosi e mettendosi la mappa in tasca.
    “Sei un genio Miriam” le disse avvicinandosi e dandole un bacio sulle labbra.
    “Oh, ehm, ma no!” rispose confusa, quel bacio inaspettato l’aveva mandata in tilt “ehm, e che ho il senso dell’orientamento pari a zero, perciò le penso tutte per non perdermi” gli spiegò in imbarazzo.
    “Farò in modo di non perderti allora” le disse sorridendo e prendendola per mano “andiamo ora”.

    Camminarono in diagonale fra gli alberi, senza problemi raggiunsero il sentiero centrale, dopo averlo imboccato percorsero circa 5 metri e raggiunsero una piccola area senza alberi, dove trovarono una bacheca in sughero sulla quale erano attaccate due buste, una gialla e l’altra verde.
    “Ohno e Nino sono già stati qui “disse Masaki staccando la propria busta e consegnandola a Miriam, che l’aprì e tirò fuori un bigliettino sul quale c’era scritto il primo indovinello:

    “Lo sono i mari ma anche le note. Se li sommi fanno il doppio. Conta i passi e torna indietro.
    Se nel fango cercherai, l’indizio troverai”.



    “Questa è facile” disse sorridendo, “dobbiamo tornare indietro di 14 passi e cercare nel fango”.
    Facendo attenzione ritornarono indietro e tra l’erba notarono una piscinetta piena di fango.
    Masaki si tirò su le maniche e inginocchiandosi iniziò a cercare. Miriam gli girava intorno, teneva il fucile puntato fra gli alberi.
    “Qui non c’è niente” le disse infilando ancora di più le braccia nel fango.
    “Muoviti sento dei passi” l’avvertì puntando il fucile in direzione del rumore, guardò nel mirino e notò Sho e Mary che si stavano avvicinando, senza pensarci un minuto di troppo mirò alla gamba di Sho e sparò, colpendolo in pieno.
    “Trovato!” esclamò Masaki tirando fuori un sacchetto di plastica “dai sbrigati, vieni!” le disse iniziando a correre.
    Si nascosero dietro un grosso albero e dopo essersi pulito aprì il sacchetto, all’interno trovò una chiave e un’altra busta.

    “A destra devi andare e la parete superare.
    Se il cofanetto giusto aprirai un regalo troverai”.



    “Bene dobbiamo andare di là” disse indicando un sentiero nascosto tra gli alberi.
    Lo percorsero tutto di corsa. Alla fine del sentiero trovarono un mini percorso a ostacoli; passarono sotto la rete, camminarono in equilibrio sui tronchi e arrivarono di fronte alla parete da scalare.
    Masaki dopo aver indossato la sua imbracatura aiutò Miriam, velocemente salirono e la superarono, dietro di essa trovarono un tavolo con dei mini cofanetti chiusi con un lucchetto.

    “Prendi la chiave” disse Miriam, mentre studiava i lucchetti.
    “La nostra è grossa e vecchia” le disse passandogliela.
    Miriam in silenzio guardava prima la chiave e poi i lucchetti, era completamente concentrata, Masaki l’osservava senza dire una parola, era rapito da quell’espressione seria.
    “Itai!” Urlò dopo un paio di minuti, “fanno male sti cosi” aggiunse massaggiandosi il braccio; era talmente concentrato su di lei che non si era accorto che Ohno e Nino li avevano raggiunti, e continuavano a sparargli colore addosso.
    “Trovato!” disse aprendo il cofanetto.
    All’interno c’era una spugna e un altro indizio. Miriam prese il contenuto e iniziò a correre seguita da Masaki.
    “Che dice l’indizio?” le chiese.
    “Non l’ho letto, fermiamoci un attimo” rispose con voce strozzata, aveva il fiatone.
    Prese il bigliettino e iniziò a leggere ad alta voce:

    “Sono senza piedi ma corro sempre, corro, corro e mai m’arresto.
    Non ho casa, non ho tetto eppure sto sempre a letto”.



    “Eh~! Eh~! Ma che significa?” Chiese Miriam confusa.
    “Non ne ho idea”.
    “Non ho piedi, ma corro, non ho casa, ma sto a letto” ripeté lei passandosi il foglietto tra le mani.
    “Miriam dammi la mappa devo controllare una cosa” le disse, “forse ho capito”.
    Lei prese la mappa nella tasca e gliela passò, l’aprì e la poggiò per terra.
    “Non ho casa ma sto a letto, non ho piedi ma corro” continuava a ripetere sotto voce. “È il fiume” esclamò dopo qualche secondo. “Dobbiamo trovare il fiume e seguirlo sicuramente lì ci sarà qualcosa”.
    Piegò la mappa, la mise in tasca e si alzò, dopo aver aiutato Miriam si incamminarono lungo il piccolo sentiero sterrato.
    “Sento dei rumori” disse Masaki alzando il fucile, “credo che ci hanno circondati” aggiunse iniziando a girare su se stesso.
    “Il fiume da che parte è?” Gli chiese Miriam.
    “Dobbiamo prendere la via a destra e seguire quel sentiero fra gli alberi”.
    “Bene, ho un piano, io vado avanti e mi faccio colpire tu seguimi, quando escono allo scoperto li spari”.
    “No, no, non se ne parla, io mi faccio colpire e tu spari”.
    “Masaki la mia mira funziona solo se sto ferma, perciò non colpirei nessuno. Ora basta discutere e seguimi”.
    Prese un respiro profondo e iniziò a correre nella direzione che gli aveva indicato.
    Contemporaneamente Sho e Ohno uscirono da dietro un albero e iniziarono a sparare, la colpirono in pieno, ma lei non si fermò. Masaki la seguiva, puntò il fucile e colpì Sho che si nascose di nuovo dietro l’albero.
    “Da quella parte!” gli urlò indicando Nino nascosto fra le foglie. Masaki sparò, colpendo l’elmetto.
    “Bel colpo” gli disse sorridendo.
    Senza fermarsi raggiunsero il fiume indicato sulla mappa, si guardarono intorno, ma non trovarono nulla.
    “Forse dobbiamo attraversalo” disse Miriam.
    “No, aspetta mi sembra di vedere qualcosa, vieni” le disse prendendola per mano.
    Nascosto fra i rami di un albero infatti, c’erano tre capsule in acciaio.
    “Miriam tu resta qui, io mi arrampico, se vedi qualcuno spara okay?”
    “Signor sissignore” disse mettendosi sugli attendi.
    “Baka!” Le rispose sorridendo iniziando ad arrampicarsi.
    Miriam girava intorno all’albero, scrutava fra le foglie facendo attenzione a ogni minimo rumore, era talmente concentrata che non si rese conto che Nino le si era avvicinato da dietro puntandole il fucile sulla schiena.
    “Non ti muovere” le disse.
    “Ehm, Kazu tutto okay?”
    “No, mi devo vendicare, vieni” le disse prendendola dal braccio. La fece sedere sull’erba e le puntò il fucile contro.
    “Kazu che ti prende? Dov’è Oh-chan?” Gli chiese guardandosi intorno.
    “Sta tirando giù dall’albero Masaki” le disse con uno sguardo malefico. Dopo un paio di secondi Ohno e Masaki scesero dall’albero, entrambi avevano preso la capsula con l’altro indizio.
    “Nino che stai facendo?” Gli chiese Masaki.
    “Ti stavo aspettando” disse puntando il fucile su di lui.
    Istintivamente alzò le braccia, Nino senza pensarci un minuto di troppo iniziò a sparargli. Masaki si accovacciò a terra, cercando di coprirsi il viso con le braccia.
    “KAZU BASTA ORA, COSI GLI FAI MALE!” urlò Miriam avvicinandosi, ma lui la ignorò, “Kazu, basta, ti prego”.
    “Ora basta, ti sei vendicato abbastanza” gli disse Ohno, “ho preso l’indizio andiamo”.
    Nino abbassò il fucile e insieme si incamminarono fra gli alberi.

    “Masaki stai bene?” gli chiese Miriam avvicinandosi.
    “Si tranquilla, non preoccuparti. Tieni qui c’è il prossimo indizio” disse massaggiandosi le gambe, quando scoppiavano quei proiettili facevano male.
    Lei aprì la capsula, all’interno c’era un foglietto.

    “Ritornate da dove siete partiti, e andate al centro.
    L’ultima prova vi attende”.



    “Bene dobbiamo rifare tutto il percorso che abbiamo fatto fin ora” gli disse.
    Ripercorsero il tragitto che avevano fatto, Masaki la guardava, pensava alla frase che aveva detto quella mattina, “giù le mani dalla mia ragazza”, l’aveva detta senza riflettere, il suo cervello non era riuscito a bloccare quelle parole prima che arrivassero alla bocca, ma in quelle parole non poteva esserci niente di più vero, per lui Miriam era la sua ragazza e i comportamenti che aveva Nino con lei gli davano fastidio.

    Seguirono il sentiero e arrivarono al centro. Qui trovarono tutte e tre le bandiere, per raggiungerle però, dovevano superare un percorso a ostacoli. Velocemente superano i copertoni delle ruote, scavalcarono la mini parete, di corsa raggiunsero l’albero sul quale si dovevano arrampicare attraverso una scala a corda, superarono il ponte tibetano e si calarono giù tramite una carrucola che li portò su una collinetta di sabbia, scesero e arrivarono al centro del percorso, qui trovarono un altro biglietto.

    “Per prendere la bandiera un'ultima prova dovete affrontare.
    In equilibrio sulla pedana dovete stare”.



    “Questa dobbiamo farla insieme” le disse Masaki “vieni” aggiunse prendendola per mano.
    La pedana era larga circa 50 cm di diametro, si trovava in un piccolo laghetto.
    “Vado prima io” le disse e dopo essersi posizionato in equilibrio l’aiutò a salire; l’abbracciò forte a se.
    La pedana iniziò a muoversi in diagonale sul lago.
    Miriam si strinse di più a lui, l’unico modo per stare in due senza cadere era quello, il cuore le batteva all’impazzata, quante volte aveva fantasticato su lei e Masaki, quante volte l’aveva sognato di notte e quante volte aveva immaginato di stare appiccicata a lui, ma mai, mai aveva immaginato di diventare realmente la sua ragazza, quella frase l’aveva letteralmente spiazzata.
    Arrivarono sull’altra sponda, salirono sulla collinetta sulla quale erano piantate le bandiere, Masaki prese quella verde e di corsa raggiunsero la linea di partenza. Loro furono i primi, seguiti da Sho e Mary, per ultimi arrivarono Ohno e Nino.

    “Aiba-chan, ma che hai combinato sei tutto blu?” gli chiese Mary appena lo vide.
    “È colpa di Nino” le rispose indicandolo.
    “Sembri un puffo” s’intromise scoppiando a ridere.
    “Idiota! Ma come avete fatto ad arrivare ultimi, eravate i primi” gli chiese.
    “Ci siamo persi fra gli alberi, questi sentieri sono tutti gli stessi” rispose Ohno, Nino lo guardò facendogli l’occhiolino.
    “Bene ragazzi, ora che siete arrivati fin qui, consegnate tutti gli indovinelli a Sharon e Massi, in base a essi faranno il conteggio dei punti” disse Danilo interrompendo la loro conversazione.
    Masaki, Sho e Ohno si avvicinarono alle ragazze e glieli consegnarono.
    “Quelli che hanno trovato la spugna vadano da Michael, che vi spiegherà a cosa serve”.
    “Spugna! quale spugna?” Chiese Nino confuso.
    “Questa spugna idiota” gli rispose Masaki sventolandogliela in faccia.
    “Dimmi che ce l’abbiamo anche noi” chiese rivolgendosi a Ohno.
    “Mentre tu pensavi a fare l’idiota, io l’ho presa” gli disse avvicinandosi e mettendogli il braccio sulle spalle.

    “Allora ragazzi, se siete riusciti a prendere la spugna avete diritto a un bonus, avete un minuto di tempo per ripulire il vostro partner” gli spiegò Michael.
    “Perfetto Miriam” le disse Masaki entusiasta e mettendole la spugna in mano aggiunse, “tu mi pulisci visto che io sono pieno di colore”.
    Miriam non riuscì a dire niente fissava la spugna con un’espressione vuota.
    “Miri-chan che succede?” le chiese Nino.
    “Come faccio, io, non posso farlo” gli rispose.
    “Tranquilla, ti aiuteremo io e Satoshi, tu non ti devi preoccupare di nulla, mettiti vicino a noi okay?”
    “Oh-chan lo sa?” chiese confusa.
    “Si gliel’ho detto ieri sera, non sei arrabbiata vero?”
    “No, prima o poi lo sapranno tutti” disse triste.
    “Dai vieni, andiamo ora” la prese per mano e la spinse per farla camminare.

    Masaki li osservava, li aveva visti parlare in disparte e camminare mano nella mano.
    I dubbi l’assalirono, ogni volta che li vedeva vicini, Miriam non aveva lo stesso sguardo triste che invece aveva con lui; e non riusciva a capire il comportamento di Nino, lui aveva Ohno, e allora perché si comportava così con lei? Era sempre più confuso.
    “Miriam tutto okay?” le chiese, lei rispose con un cenno della testa accennando un sorriso. “Vieni, dobbiamo andare tra poco si comincia” disse guardando Nino di traverso.
    “Veniamo anche noi” disse, “Satoshi vieni!” lo chiamò.
    Michael li fece mettere uno di fronte all’altro, Nino avrebbe pulito Ohno, Mary Sho e Miriam Masaki.
    “Sho cambia posto con Masaki” gli disse Ohno.
    “Perché?” Gli chiese, non capiva il motivo di quella richiesta.
    “Fallo e basta!” gli ordinò Nino.
    “Okay, non ti arrabbiare” gli disse, “vieni Mary spostiamoci” aggiunse prendendola per mano.
    “Perché dobbiamo spostarci?”
    “Non ne ho idea, quei due stanno architettando qualcosa”.
    “Miriam ha detto Nino di mettervi al centro” le disse Mary avvicinandosi.
    “Oh bene perfetto, Masaki vieni” disse allegra.
    Tutti e tre la guardarono confusi.
    “Ragazzi qui c’è l’acqua” gli disse Michael poggiando un secchiello di fianco a loro, “avete un minuto di tempo, fate del vostro meglio”.
    Nino, Mary e Miriam si inginocchiarono, immersero la spugna nel secchiello e aspettarono il fischio d’inizio.
    Michael fischiò, dando inizio alla gara.

    “Kazu, rimani giù e vai a destra disse Ohno”. Miriam si spostò a destra.
    “Qui va bene?” chiese Nino.
    “Si è perfetto” gli rispose lui.

    Miriam iniziò a pulire la gamba di Masaki il più velocemente possibile. Passarono i sessanta secondi e Michael fischiò di nuovo “giù le spugne ragazzi” disse e ora contiamo i punti di penalità.

    “Squadra gialla, beh siete messi bene, lei è completamente pulita” e girando intorno a Sho aggiunse “-30; poi squadra verde” e voltandosi verso di loro scoppiò a ridere, nonostante Miriam aveva tolto tutto il colore dalla gamba destra, Masaki era pieno di vernice.
    “Dai non ti ci mettere anche tu” gli disse Miriam, “ci hanno fatto un agguato”.
    “Va bene” le disse tra una risata e l’altra, “purtroppo nonostante la prova bonus, siete tutti e due pieni di vernice, vi devo togliere 50 punti”.
    “Uffa, non è giusto” si lamentò Miriam.
    “Mi dispiace” le disse Michael dandole una pacca sulla spalla. “E per ultima la squadra blu, gli attentatori” aggiunse sorridendo, “anche per voi -30. Ora potete andare a cambiarvi, nel frattempo noi facciamo il conteggio”.
    Miriam e Mary entrarono nello spogliatoio femminile e iniziarono a togliersi l’uniforme.

    “Miriam tutto okay?” le chiese Mary.
    “Oh sì, tutto okay tranquilla, perché?”
    “Niente di particolare, ma da quando siamo arrivate sei strana, se c’è qualcosa che ti preoccupa puoi parlarne tranquillamente con me e Anto, lo sai che puoi contare su di noi”.
    “Tranquilla Mary-chan” le disse avvicinandosi e abbracciandola, “va tutto bene”.
    “Eh così sei diventata la ragazza di Masaki” le disse prendendola in giro.
    “E tu quella di Sho-chan” rispose lei sorridendo. “Ma secondo te gli Ohmiya esistono veramente?” le chiese dubbiosa, “perché da come si comportano direi che stanno insieme”.
    “L’ho pensato anche io” rispose Mary, “ma chiederglielo in maniera così diretta sembra male”.
    “Beh, sono carinissimi insieme” disse Miriam sorridendo, “andiamo”.
    Uscirono dagli spogliatoi e trovarono i ragazzi che le stavano aspettando, insieme andarono di nuovo verso i percorsi per sapere chi aveva vinto.
    “Abbiamo finito il conteggio dei punti” disse Danilo mentre saliva sul palco. “Allora al secondo posto a pari merito abbiamo la squadra degli attentatori e degli attentati” gli disse consegnandogli una medaglia “mentre al primo posto la squadra gialla” e avvicinandosi gli diede una medaglia e una coppa.
    “Otsukaresamadeshita!” disse Mary voltandosi verso Sho sorridendogli.
    “Otsukaresama!” rispose lui dandole un bacio.
    “Bleah!” disse Nino avvicinandosi, “basta con tutte queste smancerie, vi prego”.
    “Uffa Nino come sei noioso, quando tu ti spupazzi il tuo Toshi noi non ti diciamo niente” gli rispose Sho infastidito.
    “Sì ma io non lo faccio in pubblico” ribatte lui.
    Mary e Miriam si scambiarono un occhiata, avevano avuto la conferma della loro teoria, gli Ohmiya erano reali.
    “Andiamo ora” s’intromise Ohno, “altrimenti ci lasciano qui”.
    Salirono sul pullman e si accomodarono sulle prime tre file.
    Dormirono per tutto il tragitto, erano stanchissimi. Arrivati in hotel andarono dritti nella suite 16.
    Ohno poggiò l’indice sulla piastrina, OHNO SATOSHI ACCESSO NEGATO.

    “Sono tornati i fuggitivi” disse Nino bussando alla porta.
    Antonella andò ad aprire. Tutti e sei la guardavano con sguardo indagatore. “Bentornati ragazzi, dove siete stati?” gli chiese cercando di ignorare i loro sguardi.
    “Potremmo fare la stessa domanda a voi” rispose Nino sarcastico, mentre entrava nella suite.
    “Anto abbiamo scoperto una cosa” le disse Miriam sottovoce.
    "Cosa?” chiese lei curiosa.
    “Te la diciamo dopo” intervenne Mary “anche tu devi raccontarci un pò di cose, fuggitiva”.
    “Oh, beh, io…” iniziò lei in imbarazzo.
    “Ragazze venite è pronto da mangiare” disse Nino interrompendole.
    Mary, Anto e Miriam lo seguirono in cucina, si sedettero intorno al tavolo, ognuno ai propri posti.
    “Uh crocchette di riso” esclamò Miriam entusiasmandosi, “le adoro potrei mangiarne fino a scoppiare”.
    “Ho fatto anche le crepes” disse Antonella sorridendo.
    “Oh bene, quindi oggi assaggeremo la tua cucina?” le chiese Ohno.
    “Già, sperò vi piaccia” disse arrossendo.
    “Tranquilla, sarà sicuramente tutto buonissimo” disse Jun accarezzandole la guancia.
    “Abbiamo perso anche lui” disse Nino sarcastico, mentre prendeva una crocchetta.

    Mangiarono tutto, non lasciarono neanche le briciole, Antonella oltre alle crocchette e le crepes, aveva preparato la pasta con il pesto, ma non quello classico alla genovese, quello alla mediterranea, come lo definiva lei.
    Per prepararlo aveva sminuzzato il basilico al quale aveva aggiunto i pinoli leggermente tritati e l’olio d’oliva, pomodorini tagliati a pezzettini e per finire cubetti di provola affumicata.
    “Woh! Complimenti Anto era tutto buonissimo” le disse Ohno sorridendo.
    “Grazie mille, sono contenta che vi sia piaciuto”.
    “Ehm, Sho perché mi guardi così?” gli chiese Miriam in imbarazzo.
    “Scusa Miri-chan ma è da stamattina che guardo la maglia che indossi”; portava una maglietta a mezze maniche nera con una stampa bianca, “(∂ + m) ψ = 0”.
    “Oh, ehm, è sporca?” chiese abbassando lo sguardo sulla maglia.
    “No, non è per quello” rispose lui sorridendo “e che mi incuriosisce la scritta?”
    “Oh la scritta, è un’equazione, l’equazione di Dirac”.
    “Che significa?” gli chiese Jun incuriosito.
    “Paul Dirac, era un fisico e matematico britannico, vinse anche il premio Nobel per la fisica ed è considerato uno dei fondatori della fisica quantistica. Lui sosteneva che se due sistemi interagiscono tra loro per un certo periodo di tempo e poi vengono separati, non possono più essere descritti come due sistemi distinti, ma in qualche modo, diventano un unico sistema. A me piace pensare questa teoria applicata alle persone, né il tempo, né la distanza niente può dividere due persone che si sono volute bene, qualsiasi cosa succede a una di loro, la vita dell’altra sarà sempre influenzata” rispose abbassando lo sguardo triste.
    “Miriam” la chiamò Masaki.
    “Nani?” gli rispose alzando gli occhi.
    “Non possiamo cambiare il passato” gli disse mettendole una mano sul viso, “ma possiamo rendere il futuro migliore. Ti farà male ogni giorno di più, ci saranno giorni in cui sentirai ancora di più la sua mancanza e vorresti morire anche tu solo per vederlo di nuovo, ma non credo che lui vorrebbe vederti cosi”.
    “Lo so, ma è difficile, anche se sono in mezzo alla gente, mi sento sola, vuota”.
    “Miriam non sei sola, ci sono Anto e Mary, ci siamo noi e ci sono io” le disse abbracciandola.
    “Di che parlano” chiese Jun confuso.
    “Cinque anni fa, il giorno del compleanno di Miriam è morto il suo ragazzo, per questo odia festeggiare i compleanni” gli spiegò velocemente Sho.
    “Oh capisco” rispose lui.
    “Miriam, ha ragione Aiba-chan, non sei sola e non lo sarai mai, fin quando continuerai a ricordarlo, lui non ti lascerà mai, vive attraverso te ora” le disse Nino.
    “Arigatou” rispose lei con voce strozzata.
    Masaki l’abbracciò ancora più forte, voleva portargli via tutto il dolore che stava provando, voleva vederla sorridere come faceva nella foto, sciolse l’abbraccio, provava un irrefrenabile voglia di baciarla, ma si trattenne, non voleva metterla in imbarazzo davanti agli altri.

    Finito di mangiare misero in ordine e si accomodarono in soggiorno, erano tutti stanchissimi, Jun e Anto si addormentarono sul divano, Sho e Mary sulle poltrone e Nino e Satoshi approfittarono della situazione e si chiusero nella loro stanza.
    “Miriam vieni” le disse Masaki prendendola per mano.
    Lei lo seguì senza dire niente, entrarono nella sua stanza e si sdraiarono sul letto, Masaki l’abbracciò stringendola forte a se. “Farò tutto il possibile per renderti di nuovo felice, non permetterò a niente e nessuno di farti soffrire ancora, so che non posso cancellare le ferite che porti dentro, ma posso curarle”.
    “Mi basta sapere che ci sei, per essere felice” gli disse stringendosi a lui.
    Masaki piegò la testa e le diede un bacio, le sue labbra si muovevano in sincrono con quelle di Miriam, si adattavano alla perfezione.
    Si staccarono dopo qualche minuto, Masaki le fece i grattini sul braccio fino a farla addormentare, chiuse gli occhi e si addormentò anche lui.


    Edited by green <3 - 31/12/2019, 00:46
     
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    Capitolo 16
    Miriam continuava a girarsi nel letto, da quando le sue amiche l’avevano svegliata per farla ritornare nella sua stanza non era più riuscita ad addormentarsi; la sua testa aveva deciso di non farla dormire.
    Spazientita prese il telefono e guardò l’ora, erano le 5.00. Si alzò dal letto e andò in bagno, aveva deciso di fare una doccia sperando che l’acqua calda l’aiutasse a rilassarsi, ma non servì a niente.
    Dopo essersi lavata e vestita, prese il pc e andò a sedersi sul divano, l’accese e lo collegò al Wi-Fi dell’hotel, si collegò su Google e iniziò a fare alcune ricerche, ma nessuna faceva al caso suo.
    Demoralizzata guardò l’orologio, era passata solo un’ora da quando si era alzata, poggiò il pc sul tavolino e si sdraiò.
    Guardava il soffitto mentre rifletteva su quella situazione, cercava di ricordare se anche in passato le era successa una cosa simile; i suoi pensieri furono interrotti da Mary che, alzandosi per andare in bagno l’aveva vista mentre si copriva gli occhi con le mani.

    “Miriam stai bene? Che ci fai sveglia a quest’ora?” le chiese avvicinandosi.
    “Oh, sì tutto okay, mi sono svegliata perché mi è venuta fame e stavo aspettando che si facessero le 7.30 per scendere giù al buffet”, e alzandosi aggiunse “scusa se non vi aspetto, ma ho troppa fame”.
    Velocemente uscì dalla camera, si poggiò con le spalle al muro e si lasciò scivolare, si accovacciò a terra e incrociò le braccia sulle ginocchia.

    “Minna, io inizio a scendere” disse Nino uscendo dalla suite e canticchiando si avviò verso gli ascensori, arrivato a metà strada si bloccò.
    “Miriam che ci fai qui?” le chiese sedendosi di fianco a lei.
    “Ohayou Kazu” rispose senza distogliere lo sguardo dal muro.
    “Ancora non gliel’hai detto, vero?”
    “Non ci riesco, ogni volta che ci provo mi blocco, io… voglio trovare una soluzione, devo trovare una soluzione, non ce la faccio più a sopportare questa situazione” disse con voce strozzata.
    “La troveremo Miri-chan” la rassicurò, asciugandole le lacrime, “ma Masa ha il diritto di saperlo”.
    “A cosa troverete una soluzione?” chiese mentre guardava Nino di traverso, “cos’è che dovrei sapere?” aggiunse sedendosi anche lui sul pavimento.
    “Niente, dai venite, andiamo a fare colazione” disse Miriam alzandosi.
    Nino e Masaki si alzarono e si misero uno a destra e l’altro a sinistra.
    Miriam prese Nino sottobraccio e istintivamente provò a prendere anche Masaki, ma si bloccò.
    Nino notandola le disse sottovoce: “sposta il braccio verso destra, ha la mano in tasca perciò il braccio non è attaccato al corpo”.
    Lei seguendo le sue istruzioni riuscì a far passare il suo braccio sotto quello di Masaki, che si voltò e la guardò con aria sorpresa, era la prima volta che cercava un contatto con lui.
    Scesero nella hall e andarono a fare colazione.
    Gli altri li trovarono seduti al solito tavolo, ormai anche per le ragazze era diventata un abitudine sedersi a quel tavolo nascosto da tutti.

    “Avete impegni per oggi?” chiese Jun, mentre spalmava il burro su una fetta di pane tostato.
    “Mary vuole portarci a fare un’escursione, non so dove, a vedere le grotte di non so cosa” rispose Miriam, mentre girava il latte con il cucchiaio.
    Masaki le bloccò la mano con la sua.
    “Aiba-chan ma che fai?” gli chiese Ohno.
    “È un’ora che gira sto latte senza berlo, non ha toccato niente da quando siamo arrivati, mescola e basta” disse con un tono leggermente preoccupato.
    “Miriam stai bene?” le chiese Antonella.
    “Oh, sì tranquilla” rispose distrattamente, “voi invece che fate?” chiese per cambiare discorso.
    “Noi abbiamo noleggiato un mini yatch per andare sull’isola di Gozo” le rispose Masaki.
    “Sho vuole portarci a vedere le Grotte di Calipso” aggiunse Ohno allegro.
    “Veramente?!” esclamò Antonella con un tono di voce un pò troppo alto.
    “Perché sei così sorpresa?” le chiese Jun incuriosito.
    “Perché anche noi vogliamo andarci, se riusciamo a trovare i biglietti per il traghetto” spiegò Mary.
    “Lasciate perdere il traghetto e venite con noi” disse Sho che fino a quel momento era rimasto in silenzio, osservava Miriam e Masaki, c’era qualcosa che non andava in quei due, lei aveva lo sguardo perso nel vuoto, più del solito, Masaki invece, aveva uno sguardo che non gli aveva mai visto prima, era furioso.
    Continuava a guardare Nino di traverso.
    “D’accordo!” risposero Anto e Mary in coro.
    Finirono di fare colazione e ritornarono ognuno nella propria stanza, i ragazzi sarebbero passati a chiamarle prima di uscire.
    Miriam andò dritta in camera sua e si infilò nel letto, le amiche la guardarono confuse.
    Da quando erano arrivate a Malta si comportava in maniera strana, era chiaro a tutti che stava nascondendo qualcosa e il peso di quel segreto la stava schiacciando.

    “Nino dobbiamo parlare” gli disse Masaki appena entrarono nella loro suite, “seguimi” aggiunse andando verso il terrazzo.
    “Che ti prende?”
    “Che c’è fra te e Miriam?” gli chiese, era furioso.
    “Niente, siamo amici, mi trovo bene con lei, è simpatica e mi fa morire dalle risata, ma non c’è niente fra di noi” gli spiegò.
    “E allora come lo definisci il gesto di stamattina, anzi no, tutto il comportamento che hai con lei?”
    “Frena, frena, frena. Vedi cose che non ci sono, come ti ho già detto siamo solo amici. Io ho già Satoshi.” Gli rispose seccato, stava iniziando a spazientirsi di quelle false accuse.
    “E allora cos’è che nascondete? Cos’è che dovrei sapere? Perché le giri sempre intorno?”
    “NON TOCCA A ME DARTI SPIEGAZIONI” gli urlò, aveva perso la pazienza.
    Masaki gli si avvicinò “dimmelo!” gli ordinò guardandolo dritto negli occhi.
    “Non ho niente da dirti” rispose allontanandosi da lui, “e Miriam che deve dirti quello che le sta succedendo; dalle solo un pò di tempo, non è facile per lei”.
    “Perché, tu sai tutte queste cose?” gli chiese abbassando lo sguardo.
    “Me l’ha detto il giorno che ci siamo conosciuti, non lo so perché si è confidata con me” gli rispose mettendogli una mano sulla spalla, “Masa, puoi fidarti, non ti farei mai una cosa del genere, siamo amici da sempre, sei come un fratello per me”.

    Masaki alzò lo sguardo incrociandolo con il suo, Nino si bloccò per un attimo. Lui lo guardava con lo stesso sguardo triste che aveva Miriam quando si erano conosciuti, ecco perché gli sembrava familiare, quei due aveva gli stessi occhi.

    “Ragazzi dobbiamo andare” li chiamò Sho interrompendoli.
    “Andiamo Aiba-chan!” disse Nino sorridendogli e porgendogli la mano, Masaki gliela strinse ricambiando il sorriso.
    Uscirono dalla loro suite e passarono dalle ragazze, scesero nella hall e aspettarono il taxi che li avrebbe portati al porto, da dove sarebbero partiti per l’isola di Gozo.

    “Bene, ci siamo tutti” disse Sho mentre saliva sullo yatch.
    “Disco star-sama! Puoi partire” dissero le ragazze in coro, provocando una risata generale.
    Masaki si mise alla guida e partì.

    Neanche il tempo di uscire dal porto, che Sho iniziò ad elencare tutte le caratteristiche dell’isola, aveva raccolto informazioni su tutto, anche i minimi dettagli. “È un paese di pescatori...” stava dicendo, quando Nino infastidito da tutte quelle parole disse “dacci un taglio Sensei” e sdraiandosi aggiunse “sto iniziando a sentirmi male”.
    Ohno prese una pillola per il mal di mare e una bottiglietta d’acqua dal suo zaino e glieli passò “prendila” gli ordinò con tono deciso.
    Nino la prese e si sdraiò di fianco a lui poggiandogli la testa sulle ginocchia.

    “Vi va di giocare a Magical Banana?” propose Miriam.
    “No! Non ci credo” disse Ohno ridendo “conoscete Magical Banana?!”
    “Riidaa, noi conosciamo tutto” rispose Antonella facendogli l’occhiolino.
    Per tutto il viaggio giocarono a Magical Banana, gli Arashi persero miseramente, le ragazze li avevano stracciati.

    “Siamo arrivati” annunciò Masaki entrando nel porto.
    Scesero dallo yatch e salirono sulla navetta che li portò in città.
    Sho aveva preparato un fitto itinerario degno di un perfetto tour operator, insieme a Mary, camminava entusiasta per le viuzze del paese, gli altri invece cercavano un modo per fuggire da quello strazio, non ce la facevano più a sentirlo parlare, sembrava un’enciclopedia umana.
    Li aveva scarrozzati a destra e a sinistra per tutto il paese, non li fece fermare neanche per mangiare.

    “Dai ragazzi muovetevi, siamo in ritardo sulla tabella di marcia” disse voltandosi verso di loro.
    “Vi prego uccidetemi” si lamentò Antonella.
    “E poi io come faccio?” le chiese Jun prendendola per mano, lei sorrise a quelle parole.
    “Minna ho un piano” disse Nino rivolgendosi a Jun, Ohno e Masaki, “reggetemi il gioco. Sho! Ehi Sho! Vieni un attimo, urge un’importante riunione fra Arashi”.
    “Che succede?” chiese avvicinandosi.
    “Che ne dici di modificare quella benedetta tabella di marcia e porti Mary-chan da qualche parte?” gli propose facendogli l’occhiolino.

    Ohno capì il suo scopo, “sì Sho, andate da qualche parte solo voi due, noi ce ne stiamo buoni, buoni qui, questa volta non vi pedineremo, ne Minna?” gli disse incoraggiandolo.
    “Esatto” rispose Nino.
    “Tranquillo” intervenne Jun notando la sua espressione preoccupata, “li controllo io, tu non devi preoccuparti di niente”.
    “D’accordo mi avete convinto, però Jun per favore, controllali”.
    “Tranquillo Sho” gli disse dandogli una pacca sulla spalla, “ora va a conquistare la tua bella”.
    “Mary!” la chiamò correndo verso di lei, “che ne dici se io e te ce ne andiamo da soli da qualche parte, a loro ci penserà Jun”.
    “D’accordo!” rispose sorridendo.
    “Allora, noi andiamo, ci troviamo qui fra due ore” disse rivolgendosi ai suoi amici.
    “BUON DIVERTIMENTO!” urlò Nino.
    “Fate i bravi!” aggiunse Ohno.
    Appena Sho e Mary svoltarono l’angolo, Jun si voltò verso i ragazzi, “fra due ore qui, anzi facciamo un pò prima. Mi raccomando non fate casini e se ci sono giapponesi non fatevi riconoscere”.
    “Hai! Boss” rispose Miriam.
    “Ja ne!” li salutò Nino dirigendosi verso la spiaggia insieme a Ohno.
    “Jun ti va un gelato?” gli chiese Antonella.
    “Certo” rispose e rivolgendosi a Masaki e Miriam aggiunse: “noi andiamo, mi raccomando non fate danni, per favore”.
    “Tranquillo Jun” rispose lui.
    “A dopo!” li salutarono in coro e insieme andarono alla ricerca di una gelateria.
    Rimasti soli Miriam e Masaki iniziarono a guardarsi intorno in imbarazzo.
    “Uhm, Miriam…” iniziò, ma fu interrotto da lei, “ti va di fare un giro con il motorino? Guarda lì, li fittano” aggiunse, indicando un negozio in fondo alla strada.
    Masaki acconsentì con un cenno della testa.

    “Good morning!” disse lei entrando nel negozio.
    “Buongiorno!” rispose il vecchietto dietro il bancone.
    “Oh, bene, parla italiano!” esclamò entusiasta, “vorremmo affittare un motorino” disse.
    “Per quanto tempo?”
    “Uhm, circa due ore!
    “Per due ore costa 50.00€”.
    “Perfetto, qui c’è la mia patente” disse porgendogliela e voltandosi verso Masaki aggiunse: “serve un documento, se ce l’hai, la patente”, lui gliela diede senza dire una parola.
    Per la prima volta l’aveva sentita parlare in italiano e ne rimase affascinato, sarebbe rimasto lì ad ascoltarla per ore e ore.
    Miriam consegnò la patente di Masaki al vecchietto e dopo aver registrato i loro documenti glieli riconsegnò.
    “Il vostro è il numero 6” disse indicandolo e passandogli la chiave.
    “Grazie!” rispose uscendo dal negozio insieme a Masaki, “guidi tu?” chiese voltandosi e porgendogli sia la chiave che la patente.
    “Va bene” rispose, mentre le metteva il casco.
    “Arigatou!” gli disse sorridendo.
    Salirono sul motorino e prima di partire Masaki le prese le mani e si fece passare le braccia intorno alla vita, “tieniti forte cucciola” le disse, lei si strinse di più a lui, inaspettatamente gli poggiò la testa sulla spalla e gli diede un bacio sul collo.
    Masaki sorridendo mise in moto, uscirono dal parcheggio e sfrecciarono per le vie di Gozo.


    Capitolo17
    Dopo essersi salutati con Miriam e Masaki, Jun e Antonella andarono alla ricerca di un bar.
    Girarono mezzo paese prima di trovare quello in grado di soddisfare a pieno i loro standard.
    Era un piccolo locale su due piani arredato in stile vecchia Londra, le luci soffuse creavano un atmosfera tranquilla e rilassante.
    Si sedettero al piano superiore vicino una finestra, Jun ordinò un aperitivo con prosecco per entrambi, guardavano in silenzio il panorama che si vedeva da quell’enorme vetrata in attesa della loro ordinazione.
    Il cameriere arrivò dopo qualche minuto, poggiò i due calici sul tavolo, insieme a un piattino con dei rustici e consegnò lo scontrino a Jun, che subito tirò fuori il portafoglio e pagò.

    “Non c’era bisogno che pagassi anche per me” gli disse Antonella, rimettendo il portafoglio nella borsa.
    “Non ti lascerei mai pagare. Quando sei con me puoi anche lasciare il portafoglio a casa” disse sorridendo.
    “Grazie Signor Matsumoto, ma non ce n’è bisogno, posso pagare le mie cose benissimo da sola”.
    “Come mai fai così fatica ad accettare che gli altri ti offrano qualcosa Signorina Perri?” le chiese, mentre tracciava il contorno del bicchiere con l’indice, guardandola con il suo solito sguardo penetrante.
    “Sono abituata ad essere indipendente e non mi piace dipendere dagli altri” rispose sostenendo il suo sguardo.
    “Beh, allora spero che non ti arrabbi se ti do questo” disse, prendendo una scatolina dalla tasca e poggiandola al centro del tavolo.

    Antonella era in imbarazzo, le bastò guardarla un attimo per capire cosa c’era dentro.

    La scatolina era bianca lucida, con un filo rosso legato a mò di fiocchetto, sul coperchio c’era stampata una foto della Laguna Blu.
    La prese, le tremavano le mani, l’aprì e guardandolo iniziò a sorridere; dentro c’era l’anello della bancarella, ma non era completo, mancava una metà.
    “Jun, grazie è bellissimo, ma come hai fatto a convincerlo a farti dare solo la metà più piccola?” gli chiese.
    “Semplice, le ho prese entrambe” rispose alzando la mano sinistra, mostrandogli l’anulare, “non siamo più dei bambini” le disse alzandosi e sedendosi alla sedia di fianco a lei, “penso che ormai sia palese, che mi piaci veramente. Ero serio, quando ti ho detto che sei di mia proprietà. Okay, ho sbagliato il modo, ma desidero, anzi voglio che tu sia mia” le disse prendendo l’anello dalla scatolina e mentre glielo infilava al dito, aggiunse “ti desidero, voglio proteggerti, voglio averti vicino in ogni momento della mia vita. Provo per te qualcosa che non ho mai provato prima. Mi fai andare in confusione, ma al tempo stesso mi tranquillizzi. Hai veramente stravolto la mia vita Antonella Perri”.

    Lei lo guardava, non riusciva a parlare, non avrebbe mai immaginato una cosa del genere; anche lei provava lo stesso per lui, ma aveva paura, sapeva che una volta ritornato in Giappone avrebbe ripreso la sua vita da Idol, ed era perfettamente a conoscenza delle regole della Johnny’s.
    In quanto Idol, doveva sempre dare l’immagine di ragazzo per bene, gli era praticamente vietato avere una vita privata, ma in quel momento la sua mente si svuotò, tutte le sue paura, tutte le sue insicurezze e tutti i suoi dubbi sparirono, capì che il suo posto era accanto a lui, con un movimento rapido gli getto le braccia al collo e l’abbracciò, Jun ricambiò l’abbraccio stringendola forte a se.

    “Ci credi se ti dico che da quando ti conosco non riesco più a pensare a niente se non a te” gli disse sciogliendo l’abbraccio, “anch’io provo le stesse cose per te, hai preso la mia vita e l’hai letteralmente rivoluzionata. Sento come se ci fosse un qualcosa che ci tiene legati. E come se il mio centro di gravità si fosse spostato. Non so spiegarti bene, ma mi sento protetta, al sicuro quando sto con te”.
    “Allora non allontanarti mai da me” le disse, poggiandole una mano sul viso.
    “Non potrei mai farlo”.

    Jun avvicinò il suo viso al suo, poggiò le sue labbra sulle sue, erano morbide e sapevano di fragola, le diede un lungo bacio.
    Rimasero abbracciati ancora per qualche minuto, facevano fatica a staccarsi. Entrambi avrebbero voluto rimanere in quella posizione per tutto il tempo.
    Lentamente sciolsero l’abbraccio, ma continuarono a guardarsi negli occhi, si desideravano.

    Finirono la loro consumazione e uscirono dal bar.

    Jun la teneva per mano e non l’avrebbe lasciata per nessun motivo. Raggiunsero la spiaggia e si sedettero ad ammirare il paesaggio che li circondava, la spiaggia rossa creava un bellissimo contrasto con l’acqua cristallina, guardavano la linea dell’orizzonte che si univa con quella del mare, accompagnati dal rumore rilassante delle onde che s’infrangevano sugli scogli.

    “Wow! È magnifico questo posto” disse Jun rompendo il silenzio.
    “Sarebbe bello ricreare qualcosa del genere nei vostri concerti”.
    Jun abbassò lo sguardo; fino a quel momento era riuscito a non pensare al suo blocco creativo, ma gli bastò una frase per farlo ricadere nella preoccupazione e nell’insicurezza.
    “Che hai?” gli chiese Antonella notando la sua espressione.
    “Ecco vedi e che ultimamente non riesco a pensare a nulla. Dopo il The Digitalian e come se avessi perso la mia vena creativa. Sono in blocco; manca qualcosa nei nostri concerti, ma non riesco a capire cosa. Vorrei creare un qualcosa di diverso, ma non riesco a pensare, a creare”.
    “Jun, i vostri concerti sono spettacolari così come sono, non ho mai visto niente di più bello, davvero” lo rassicurò.
    “No, invece manca qualcosa, voglio che questo concerto sia diverso. Secondo te, cosa manca?”
    “Sono perfetti davvero, non manca niente, ma se posso permettermi, credo che dovreste interagire di più con le fan e non solo quelle giapponesi”.
    “In che senso?”
    “Aspetta, ti faccio vedere” prese il cellulare e si collegò su youtube, cercava un video in particolare, dopo averlo trovato ci cliccò sopra e glielo mostrò.

    Jun lo guardava incredulo. “Cosa? Come? Quando? Chi?” chiese, non riusciva a formulare una frase di senso compiuto.
    “È un contest mondiale. Come puoi vedere hanno partecipato da qualsiasi parte del mondo, l’ha creato una pagina di facebook. Hanno chiesto alle fan di riprendersi mentre ballavano la vostra coreografia di Guts. Il tutto è stato unito in un unico video, alla fine hanno messo le foto di tutte le persone che hanno partecipato con i nomi e il Paese di provenienza. Sarebbe carino se anche voi faceste qualcosa del genere da mostrare al concerto. Che ne so, chiedete alle fan di ballare Love so sweet e poi mentre la cantate proiettate il video, cosi da coinvolgere tutte le fan”.

    Jun la guardava incredulo, non aveva mai pensato a niente di simile, “che altro vorresti vedere?” le chiese impaziente di una risposta.
    “Uhm, alcune delle vostre canzoni sono perfette per dei passi a due, come per esempio Te Agero e Tokei Jikake no Umbrella oppure Carry on, che fra l’altro non l’avete mai cantata dal vivo, perciò farei delle coreografie per ognuno di voi. Per esempio Oh-chan potrebbe ballare un tango, poi Nino un latino americano e così via. Poi che altro, tu signorino Matsumoto dovresti ricominciare a fare il Dj, sei bravissimo e dovresti sfruttare al meglio questa tua dote. Poi potreste fare un medley delle canzoni che non avete mai cantato, ovviamente non tutte, fate scegliere alle fan quelle che vogliono sentire, Nino e Masaki potrebbero suonarle con la chitarra, fate la versione unplugged per intenderci. E per finire, rivoglio la Fight Song con penitenza”.
    “E che penitenza metteresti?”
    “Fammi pensare... il bangee jumping!” esclamò ridendo, “sai che ridere se a perdere fosse Sho”.
    “Dove sei stata finora” le disse abbracciandola, “dobbiamo assolutamente riprendere questo discorso” aggiunse, mentre si alzava, “andiamo ora, se facciamo tardi Sho ci ammazza”.

    Velocemente raggiunsero la pizzetta in cui si erano dati appuntamento con gli altri. Arrivarono per primi.
    “Dove sono Miriam e Masaki?” chiese Nino avvicinandosi.
    “Non lo so. Aspetto altri cinque minuti e se non vengono li chiamo” gli rispose Jun guardando l’orologio.
    “Masaki anche oggi devi essere in ritardo” pensarono Jun, Ohno e Nino scambiandosi occhiate preoccupate.


    Capitolo 18
    “Allora, dove vuoi andare?” le chiese Sho appena svoltarono l’angolo.
    “Qualsiasi posto va bene, anche se stiamo seduti lì è perfetto” disse indicando delle panchine.
    Sho la prese per mano e la guidò fino alle panchine, si sedettero al fresco, il venticello leggero li fece rilassare. “Mary posso farti una domanda?” le chiese.
    “Si certo, dimmi”.
    “È solo per curiosità, ma mi chiedevo, perché sei così protettiva nei confronto di Antonella e Miriam?”
    “Non penso ci sia un vero e proprio motivo. Miriam, l’hai vista anche tu com’è, si fa prendere dall’entusiasmo, agisce senza pensare alle conseguenze e molte volte si caccia nei guai. Come quel giorno del concorso fra dj, se il custode del lido ci avesse presi, saremmo finiti tutti nei casini per colpa sua. Però a quel modo di fare, quello sguardo da cucciolo che non riesci mai a dirle di no, come succede spesso ad Antonella, è troppo buona e l’asseconda in tutto, molte volte si trova immischiata anche lei nei guai che combina. Anto sembra una dura, ma in realtà non lo è. Ha molte più debolezze di quante ne vuol mostrare, quando pensi di aver buttato giù tutte le sue barriere, alla fine ne esce fuori un’altra”. Gli spiegò seria
    “Devi volergli davvero molto bene per comportarti così, come vi siete conosciute?”
    “Eh sì, diciamo che ci siamo scelte. Sono come sorelle, ormai mi conoscono meglio loro dei miei parenti. Da piccole giocavamo insieme, ci riunivamo tutti sotto casa di Miriam, eravamo una marea di ragazzini, giocavamo per ore e ore a nascondino. Poi crescendo ci siamo allontanate, scuole diverse, nuove amicizie, ma a distanza di anni ci siamo ritrovate e da allora siamo rimaste sempre insieme. Alcune volte è difficile sopportarci a vicenda, ma loro ci sono sempre, quando ho bisogno di una spalla su cui piangere”.

    Sho la guardava, lei aveva tutte le qualità che cercava in una ragazza; erano perfettamente in sintonia, erano praticamente gli stessi. Entrambi seri, ma ironici al momento giusto, sapevano stare allo scherzo e divertirsi senza problemi, provavano un forte senso di protezione per i loro amici, avevano gli stessi valori e lo stesso modo di pensare.

    Rimasero a parlare su quella panchina per più di un’ora, insieme ricordarono le cose che facevano da piccoli.
    Sho le raccontò della sua vita prima e dopo gli Arashi, Mary ascoltava ogni singola parola, qualsiasi particolare, anche il più piccolo e insignificante, per lei era importante, era come se sapere tutte quelle cose su di lui la facessero sentire parte della sua vita.

    “Ti va di andare a vedere la Finestra Azzurra?” gli propose Mary, “dicono che sia bellissima”.
    “Certo, qualsiasi cosa è bellissima, se tu sei lì a guardarla con me”.
    Mary istintivamente l’abbracciò, “grazie Sho” gli sussurrò in un orecchio.
    “Perché?” le chiese incuriosito.
    “Perché sono felice. Da quando ti conosco sento di aver ripreso il controllo della mia vita. Ho passato un momento un pò difficile, ma ora grazie a te e al tuo modo di fare, mi sto riprendendo”.
    “Sono qui per te Mary, per qualsiasi cosa sarò sempre al tuo fianco, sempre”. Le disse stringendola di più a se.
    “Per favore, non dire la parola sempre” disse, mentre una lacrima le scivolava sul viso.
    “Mary puoi fidarti. Per me non è facile credere nei sentimenti altrui; molte persone si avvicinano a me solo perché sono Sakurai Sho degli Arashi, ed è molto più difficile dimostrare apertamente quello che provo. Perciò credimi quando ti dico che io per te ci sarò per sempre, non so cosa mi hai fatto, ma voglio stare con te. Sempre” le disse, mentre le asciugava le lacrime.
    “Sho, ehm, credo di essermi innamorata di te” ammise con un velo d’imbarazzo sul viso.
    “Mary, anche io sono innamorato di te e lo sono da quando ti sei presentata alla nostra porta bussando a ritmo di A.ra.shi” le disse con un sorriso, prendendola e stringendola forte a se. “Aishiteru” le sussurro in un orecchio, lei arrossì e si strinse di più a lui, “anche io Sakurai Sho, e non perché sei l’Idolo più famoso del Giappone. Ma perché sei una persona meravigliosa, piena di valori. Perché sai apprezzare il valore di ogni singola cosa, perché sai cosa significa lottare per avere dei risultati, perché sei dolce, gentile, carismatico, intelligente, ma sai anche essere autoironico. Perché mi hai fatto sentire speciale, regalandomi quel vestito meraviglioso e quella vista da togliere il fiato. Ti amo perché sei tu, semplicemente tu”.

    Sho ascoltandola rimase senza parole, era completamente e incondizionatamente innamorato di lei e sapere che anche lei provava le stesse cose per lui, lo facevano sentire la persona più felice del mondo.

    Mary era riuscita a guardare oltre la maschera dell’Idol; era riuscita a ritagliarsi un posto importante, ormai era diventata parte di lui.

    Mano nella mano andarono sulla spiaggia di Dwejra, da qui si poteva ammirare la bellissima Finestra Azzurra, un’apertura nella falesia che creava uno squarciò nel blu.
    Sospesa tra il cielo e il mare, si trova a 20m d’altezza e al tramonto diventa uno dei luoghi più belli e romantici dell’isola. L’ammirarono in tutto il suo splendore, quella vista toglieva il fiato, sembrava di volare.

    “Scusi, può farci una foto?” chiese Sho a un passante.
    “Certo!” gli rispose prendendo il telefono
    “Sicuro che puoi farti foto con me?” gli chiese Mary incerta.
    “Certo; questa rimane sul mio telefono” le disse abbracciandola, si misero di profilo, il vento scompigliava i capelli di Mary, Sho cercava di sistemarglieli mentre la guardava negli occhi.
    Il ragazzo iniziò a scattare senza dire niente, fece cinque foto una dietro l’altra e poi riconsegnò il telefono a Sho, “grazie mille” gli disse, il ragazzo rispose con un sorriso e se ne andò.
    “Com’è venuta?” gli chiese Mary avvicinandosi.
    “Non l’ho ancora vista” le disse, mentre l’aiutava a scendere dagli scogli.
    Si sedettero, Sho andò nella galleria e guardò le foto, erano bellissime, viste in sequenza sembravano muoversi, ritraevano tutti i movimenti che faceva Sho e il sorriso di Mary che si faceva sempre più luminoso.
    “Guarda” le disse passandole il telefono, “le devi scorrere veloce”.

    Mary prese il telefono e guadò, “sono bellissime” esclamò, “me le passi?”
    “E me lo chiedi!? certo, che te le passo” disse riprendendosi il telefono, collegarono i Bluetooth e le passò le foto, appena arrivarono, lei ne aprì una con il programma per modificarla, intensificò i colori rendendoli più vivaci, regolò il contrasto e la nitidezza, infine aggiunse l’effetto ombra, loro erano diventati completamente scuri, come due ombre, e grazie allo sfondo risaltavano, creando un bellissimo effetto, la salvò e l’impostò come sfondo, “così non ti riconoscerà nessuno” disse, notando che Sho la guardava con area confusa.
    “Andiamo piccola, siamo già in ritardo” le disse prendendola per mano sorridendo, “non mi fido a lasciare quei sei ancora da soli”.
    Lentamente e facendo molta attenzione, scesero dagli scogli e ritornarono nella piazzetta in cui avevano lasciato i loro amici.
    Ad aspettarli però c’erano solo Ohno, Nino, Jun e Antonella, qualcosa non andava, erano in ansia e guardavano continuamente l’orologio.

    “Ragazzi che succede, dove sono Miriam e Masaki?” chiese Sho avvicinandosi.
    “Sono andati al bar, Miriam aveva sete, ma ora li chiamo” gli rispose velocemente Jun, cercando di nascondere il panico nella sua voce, non aveva idea di dove si fossero cacciati quei due, ma era in ansia, si sentiva un peso sullo stomaco, aveva una brutta sensazione.

    “Svegliati, ti prego svegliati! Miriam, apri gli occhi”.

    Masaki continuava ad osservarla, non si era mosso da quella sedia da quando erano arrivati.
    Era in ansia.
    Gli avevano spiegato le sue condizioni, e non c’era niente di cui preoccuparsi, ma lui, non riusciva a calmarsi, era così preoccupato e terrorizzato da non sentire il dolore alla spalla. “Miriam ti prego, svegliati” continuava a pensare, mentre le teneva la mano.
    Lentamente lei iniziò ad aprire gli occhi, guardandosi intorno confusa; non riusciva a capire dove si trovasse.
    Alzò il braccio destro e si portò la mano sul viso, qualcosa le dava fastidio. “Miriam, sta ferma, riesci a sentirmi? Come ti senti?”
    “Ma-Masaki” lo chiamò.
    “HELP, HELP!” iniziò ad urlare.
    “Che succede?” gli chiese un ragazzo avvicinandosi.
    “Wake up!” gli rispose indicando Miriam.

    Il ragazzo velocemente si avvicinò al letto e le tolse la mascherina “sai dirmi come ti chiami? Nome e Cognome completo”.
    “Miriam Russo” rispose sempre più confusa, “dove sono?”
    “Che giorno è oggi?” continuò a chiederle ignorando la sua domanda.
    “20 giugno, perché? Che succede? Dov’è Masaki?” stava iniziando ad agitarsi.
    “Miriam sono qui, sta calma” le disse prendendola per mano.
    “Che succede? Dove siamo?”
    “Siete in ospedale, avete avuto un incidente, io sono il Dottor Carter, vi hanno portato qui per dei controlli, ma state bene, non avete riportato traumi gravi, perciò fra poco vi rimandiamo a casa” disse, e senza aggiungere altro uscì nel corridoio lasciandoli soli.

    “Un’incidente?” chiese confusa, non ricordava niente.
    “Ho perso il controllo e siamo scivolati, mi dispiace, io…” le disse, ma la voce gli si strozzò in gola.
    “Masaki dove sei? Stai bene?” gli chiese nel panico.
    “Sono qui, non ti lascio, sto bene”.
    “Sicuro? Che ti sei fatto?”
    “Sì, sicuro. Mi fa male solo la spalla. Tranquilla non devi preoccuparti per me”.

    Miriam guardava nella sua direzione con sguardo vuoto, come se avesse il nulla davanti. “Che ho fatto, è colpa mia” pensò.

    Lei aveva proposto il giro in motorino ed era colpa sua se erano caduti. Come al solito aveva agito senza riflettere, mettendo a rischio la sua vita e quella di Masaki.

    “Mi dispiace” gli disse fra le lacrime, “è colpa mia, è tutta colpa mia”.
    “Miriam non piangere” le disse prendendole il viso tra le mani, “non è colpa tua, poteva succedere a chiunque” la rassicurò.
    “Ma io…” iniziò, ma fu interrotta dal cellulare di Masaki, che iniziò a squillare.

    “Mo…”
    “Dove sei?”
    “Jun, ecco noi…” iniziò Masaki nel panico.
    “Dove sei?” gli disse con tono insistente.
    “In ospedale”.
    “Eh? Co-cosa? Che cazzo!? Stiamo arrivando!”

    Masaki riagganciò la chiamata e rimise il telefono nello zaino di Miriam.
    “Sono arrabbiati vero?” gli chiese, lui rispose con un cenno della testa. “Masaki, dove sei, che hai? ti senti male?” gli chiese agitandosi.
    “Miriam sono qui, al tuo fianco, sto bene, davvero, perché continui a chiedermi dove sono?”
    “Ragazzi potete andare” li avvisò il Dottor Carter interrompendoli, “per qualsiasi cosa andate nell’ospedale più vicino, queste sono le cartelle con i risultati dei vostri esami. Se vi viene a prendere qualcuno, potete aspettare qui fuori. Mi raccomando state a riposo per un paio di giorni, soprattutto tu” disse indicandolo “non sforzare la spalla”.

    Masaki prese le cartelle e lo ringraziò, lentamente aiutò Miriam ad alzarsi, le girava un pò la testa.

    “Ce la fai a camminare?” le chiese sorreggendola.
    “Si tranquillo, la testa non mi gira più così tanto, mi fa solo male un pò il ginocchio, e tu?” gli chiese per l’ennesima volta.
    “Tranquilla, sono una roccia io” le disse, sperando in un suo sorriso, ma lei continuava a guardarlo con un’espressione vuota e triste.
    Lentamente uscirono dal pronto soccorso e si sedettero sulle poltroncine nella sala d’attesa, aspettando in silenzio l’arrivo dei loro amici.
    Non dovettero aspettare molto, arrivarono nel giro di qualche minuto, erano tutti arrabbiati, Sho più degli altri.

    “Ragazzi è colpa mia, Masaki non c’entra niente” gli spiegò Miriam appena li vide “io ho proposto il giro in motorino, mi dispiace”.
    “Fa silenzio” le disse Sho guardandola di traverso. “Poteva rifiutare” aggiunse fulminando Masaki con lo sguardo, “ce la fai a guidare lo yatch fino a Malta!”
    “Sì, sono solo venti minuti di viaggio” e abbassando lo sguardo aggiunse: “Scusa, io…”
    “Sta zitto Masaki” intervenne Ohno, “andiamo ora”.
    In silenzio si avviarono verso il parcheggio dei pullman, salirono sulla navetta che li portò al porto.

    Per tutto il viaggio di ritorno non si rivolsero la parola. L’armonia di quei giorni fu distrutta da uno stupido giro in motorino.
    Arrivati a Malta, ritornarono in hotel e ognuno andò nella propria suite, senza neanche salutarsi.

    Le ragazze entrarono in silenzio nella loro stanza, erano arrabbiatissime con Miriam, ma vederla in quello stato le fece calmare. Era in ansia, non riusciva a stare ferma, si guardava intorno con sguardo impaurito, continuava a torturarsi le mani e le dita.

    “Miriam tutto okay? Ti senti male?” le chiese Antonella avvicinandosi a lei e facendola sobbalzare.
    “Sì, sto bene” le rispose, “dov’è Masaki?” chiese guardandosi intorno preoccupata.
    “È ritornato nella suite insieme agli altri”.
    “Come sta? Che si è fatto?” continuò a chiedere nel panico.
    “Miriam sta bene. Okay, è pieno di graffi, peggio di te, ma sta bene” la rassicurò Mary.
    “Sicura di stare bene?” le chiese Antonella preoccupata dal suo comportamento, “sei strana, più del solito”.
    “Oh sì sto bene, sono solo preoccupata per Masaki”.
    “Sta bene, credimi; ma come ti è venuto in mente di fare un giro in motorino. Tu neanche sai guidarlo” le disse Mary sedendosi sul divano.
    “Guidava lui, pensavo fosse una cosa carina, non volevo che succedesse tutto questo.”
    “Dovresti pensare prima di agire Miriam, non so quante volte te l’ho detto”.
    “Io, lo so, non dovevo, ma non pensavo che…”
    “È QUESTO IL TUO PROBLEMA” le urlò Mary interrompendola, “tu non pensi mai. Sai che casino si sarebbe creato se Masaki si fosse fatto male seriamente?! Lui è un personaggio famoso”.
    “Lo so, io…”
    “No che non lo sai, altrimenti non ti comporteresti cosi. Devi imparare a riflettere prima di agire, devi imparare che ad ogni azione corrisponde una conseguenza, non sei più una bambina, la devi smettere di combinare guai”.
    “Non l’ho fatto apposta, io, ho chiesto scusa, mi dispiace, io non…” le disse abbassando lo sguardo.
    “Ormai il danno è fatto, chiedere scusa non serve a niente, devi crescere” continuò a rimproverarla.
    “Mary, basta ora” s’intromise Antonella, “ha capito, ha sbagliato, ma poteva capitare a tutti”.
    “Anto, non intrometterti in cose che non ti competono. Deve capire i suoi sbagli, non possiamo fargliela passare liscia ogni volta che combina qualcosa. Ha messo a rischio la sua vita e quella di Masaki. E se fosse successo qualcosa di più grave? Sai in che guaio ci saremmo trovati per colpa sua e delle sue idee del cavolo, lei…”
    “ORA BASTA MARY” urlò Miriam interrompendola, “TU NON MI PARLI COSÌ! NON SEI MIA MADRE!”.

    Uscì sbattendo la porta. Scoppiò in lacrime e andò a sedersi sulle scale, aveva bisogno di rimanere sola, non riusciva a smettere di pensare, le faceva male la testa. Era in ansia per Masaki, ma l’unica persona che poteva capire il suo stato d’animo era Nino.
    Più volte rifletté sulla possibilità di andare a chiamarlo, ma il solo pensiero di ritrovarsi lo sguardo arrabbiato di tutti puntato addosso, la fece rimanere inchiodata su quelle scale.


    Capitolo 19
    “Dai ragazzi, non guardatemi così, poteva succedere anche a voi” disse Masaki entrando nella suite.
    “E no, è qui che ti sbagli” gli disse Jun seguendolo in cucina, “noi avremmo rifiutato, avremmo pensato alle conseguenze, ed è quello che avresti dovuto fare anche tu”.
    “Ma, non abbiamo fatto niente di male” disse, cercando di giustificarsi.
    “Va bene, d’accordo, siediti ora e mettiti questo sulla spalla” gli disse passandogli il ghiaccio.
    Sho entrò in cucina, era furioso, nessuno l’aveva mai visto così arrabbiato. “MA TU NON PENSI MAI” disse a Masaki urlando, “siete stati fortunati a cavarvela con solo qualche graffio, ma se…”
    “Come hai appena detto, sono stati fortunati, perciò è inutile arrovellarsi il cervello e pensare al peggio” s’intromise Jun.
    “Tu stanne fuori. La colpa è anche tua se sono finiti in ospedale” gli disse puntandogli il dito, “li controllo io” gli ripeté facendogli il verso, “una cosa ti avevo chiesto. Solo una stupida cosa dovevi fare e invece mi avete preso per il culo. Mi avete convinto a lasciarvi soli per poter fare liberamente i vostri comodi ed ecco i risultati” aggiunse indicando Masaki.
    “Sho, calmati” gli disse alzandosi e mettendogli una mano sulla spalla.
    “Toglimi le mani di dosso” gli disse con tono acido, Masaki lo guardò incredulo. “Mi hai deluso. Mi aspettavo un comportamento diverso, più responsabile. Hai 32 anni, dovresti iniziare a pensare, sai in che casino ci saremmo trovati se tu… non voglio neanche pensarci, il vecchio ci avrebbe staccato la testa, per non parlare dei tuoi genitori”.
    “Si okay, ho sbagliato, ma ora vuoi rinfacciarmelo a vita? Vuoi farmene una condanna? Volevo stare un pò di tempo da solo con lei, che cavolo c’è di male, anche tu e Jun l’avete fatto” gli disse furioso.
    “E non bastava semplicemente dire che volevi stare con Miriam?! Vi avremmo lasciati qui, non sei obbligato a venire con noi sempre e ovunque. E se le fosse successo qualcosa di grave?”
    Masaki non rispose, abbassò subito lo sguardo.
    In un attimo sentì l’ansia e la preoccupazione farsi strada dentro di lui, facendolo ripiombare nel buio.
    Sho aveva ragione, se le fosse successo qualcosa non se lo sarebbe mai perdonato.

    “TI STO PARLANDO, MI VUOI ASCOLTARE” gli urlò riportandolo alla realtà.
    “Sì, scusa, stavi dicendo?” gli chiese confuso.
    “Non so più che fare con te Masa” gli disse spazientito, “cerca di crescere, impara a prenderti le tue responsabilità, piantala di comportarti come un ragazzino, vedi di darti una regolata non possiamo starti sempre dietro, non possiamo controllarti a vita”.
    “NESSUNO VI HA CHIESTO DI FARLO” gli urlò arrabbiato, “so cavarmela benissimo da solo, non ho bisogno di voi e soprattutto non ho bisogno dei tuoi rimproveri. Tu non sei mio padre, piantala di sostituirti a lui”, aggiunse uscendo dalla camera, sbattendo la porta.

    Per la rabbia tirò un pugno al muro, facendosi male; era furioso, come si permetteva di parlargli in quel modo, lui non era nessuno.

    Jun, Sho, Ohno e Nino rimasero senza parole, era la prima volta che quei due litigavano, ed era la prima volta che Masaki si rivolgeva a lui in quel modo, dicendogli quelle parole.

    Senza dirsi niente, andarono ognuno nella propria stanza, ancora increduli su quello che era accaduto.

    “Devo calmarmi” pensò andando verso l’ascensore, schiacciò il pulsante e attese in silenzio per qualche minuto, “MA INSOMMA TI VUOI MUOVERE!” urlò continuando a premere il pulsante di chiamata.
    “Masaki?” lo chiamò Miriam alle sue spalle, lui si girò e la vide seduta sulle scale.
    “Miriam, che ci fai qui? Ti senti male?” le chiese avvicinandosi e sedendosi di fianco a lei.
    “Sto bene, tu invece?”
    “Bene tranquilla, te l’ho già detto in ospedale tante volte, non mi sono fatto niente” la rassicurò, “ti fa ancora male il ginocchio?”
    “Un pò, perché urlavi all’ascensore?”
    “Oh, ehm, ho litigato con Sho e pensavo di andare in giardino per calmarmi, ho bisogno d’aria”.
    “Anch’io ho litigato con Mary” disse lei triste “Masaki stai bene?” gli chiese per l’ennesima volta.
    “Miriam tranquilla, sto bene. Dai vieni, andiamo” le disse prendendole la mano.

    L’aiutò ad alzarsi ed entrarono in ascensore. “Ce la fai a camminare?” le chiese.
    “Uhm tranquillo” rispose con un cenno della testa, “la tua spalla?”
    “Sta bene”.
    Arrivarono nella hall, l’attraversarono, uscirono da una porta secondaria e andarono nel loro posto preferito, il giardino tropicale.
    “Sediamoci” le disse indicando l’amaca, “Miriam, mi dispiace per quello che è successo”.
    “Masaki non è colpa tua, la colpa è mia, non dovevo proporti il giro in motorino, scusami”.
    “Non è colpa di nessuno, è successo e basta” le disse mettendole una mano sul viso.
    “Agisco sempre d’impulso, non rifletto mai sulle conseguenze. È colpa mia se ti sei fatto male, se hai litigato con Sho, io…” gli disse, stava iniziando ad agitarsi.
    “Miriam calmati, se la metti così la colpa è anche mia, guidavo io”.
    “Sì ma ti ho detto io di farlo e ti sei fatto male alla spalla e…”
    “Io sto bene, sei tu quella che è rimasta per più di un’ora priva di sensi. Ho avuto tanta paura, vederti immobile, sdraiata sull’asfalto, ho pensato di tutto” le disse abbracciandola.
    “Non devi preoccuparti per me” gli disse ricambiando l’abbraccio, involontariamente gli toccò la spalla.
    “Itai!” esclamò sobbalzando.
    “Che c’è? Che hai? Che succede?”
    “Niente, è solo che mi hai urtato alla spalla”.
    “Forse devi ritornare in ospedale, forse…” iniziò a dire nel panico.
    “Miriam, ti ho detto che sto bene, credimi” le disse interrompendola.
    “Non stai bene, ti fa male”.
    “Miriam, cucciola, guardami sto bene”.
    “Non posso” disse abbassando lo sguardo.
    “Guardami” insistette.
    “Non posso Masaki”.
    “Come non puoi, sono qui davanti a te. Dai guardami” le disse prendendole il viso tra le mani e alzandole la testa, “visto sto bene” aggiunse guardandola negli occhi.
    “Non ti vedo” disse, ma la voce le si strozzò in gola.
    “Come non mi vedi?” le chiese un pò perplesso da quelle parole.
    “NON TI VEDO!” gli disse urlando.

    Masaki la guardò incredulo, le lacrime stavano iniziando a rigarle il viso, “Miriam, forse non ho capito, puoi spiegarti meglio? Che intendi con non ti vedo?”
    “Non ti vedo, non riesco a vedere niente di te e come se avessi qualcosa davanti agli occhi che mi impedisce di vederti”.
    La fissò, continuava a non capire, si passò le mani nervosamente fra i capelli, come faceva a non vederlo, era davanti a lei e il giardino era ben illuminato, “non riesco a capire” le disse confuso, “com’è possibile che non riesci a vedermi”.
    “Non lo so, succede solo con te” disse asciugandosi le lacrime.
    “Mi stai prendendo in giro, che cavolo di scherzo è?”
    “Non sto scherzando, è la verità, credimi” le lacrime ora scendevano più velocemente.
    “Come faccio a credere a una storia del genere, è ridicola!”
    “Ma è così, per favore credimi”.
    “È impossibile credere a una cosa del genere, è un idiozia!” le disse con un tono acido.
    “Lo sapevo che non mi avresti creduto” rispose alzandosi e avviandosi verso la piscina, senza aggiungere altro.

    Masaki era nella confusione più totale, una parte di lui credeva senza problemi a quella storia così buffa, ma la parte più razionale, non riusciva a trovare una spiegazione logica, “è impossibile” continuava a pensare, mentre la guardava andare via, però che motivo avrebbe per inventare una cosa del genere.

    Ora che ci pensava bene, tutti i suoi comportamenti avevano senso; tutte le volte che aveva provato a toccarlo, senza mai riuscirci, lo sguardo vuoto e triste che riservava solo ed esclusivamente a lui.
    Tutte le domande di quel giorno, gli chiedeva sempre dov’era e come stava, nonostante non si fosse mosso dal suo fianco.

    Senza pensarci un minuto di più, iniziò a correre per raggiungerla.
    Arrivò in piscina e la vide, si stava sedendo su una sdraio, “Miriam!” la chiamò avvicinandosi.
    “Va via Masaki!”
    “Ascolta, sto cercando di capire, ma è difficile, non è facile credere a una storia del genere” iniziò a dirle, ma fu interrotto.
    “Pensi che per me sia facile questa situazione? Pensi che sia stato facile dirtelo? Come pensi che mi senta. Finalmente riesco a conoscere il mio cantante preferito, il ragazzo che mi piace, il ragazzo di cui sono innamorata, ma per uno stupido scherzo del destino, per qualcosa che neanch’io riesco a capire, non lo vedo!”
    “Okay, non è facile neanche per te, ma è strana come cosa” le disse sedendosi di fronte a lei e passandole una mano davanti agli occhi, ma lei non fece nessun movimento. “Miriam, spiegami, fammi capire”.
    “Non so come spiegartelo, ma da quando sei venuto a presentarti quel giorno sul terrazzo, non riesco a vedere il tuo viso, le tue mani, il tuo corpo, non riesco a vedere niente di te. Riesco a percepire il calore della tua pelle ogni volta che mi tocchi, riesco a sentire il tuo respiro, il battito del tuo cuore, riesco a sentire la dolcezza dei tuoi baci, ma non ti vedo”.

    Masaki la guardava, per quanto ridicola, quella storia stava iniziando ad avere un senso. Tutti i pezzi si stavano collegando, finalmente aveva capito il motivo dei suoi comportamenti.

    “Posso chiederti alcune cose?” le disse avvicinandosi di più a lei.
    “Sì, fai pure”.
    “Il giorno che ci siamo conosciuti, mi trattavi male per questo? Era per questo che non volevi vedere il panorama con me?”
    “Sì, esatto. Mi sentivo frustrata, ero nervosa, io non volevo risponderti in quel modo, ma sapere che stavi iniziando a interessarti a me, e non poter vedere la tua faccia mi faceva stare male. Avrei pagato oro pur di riuscire a vedere quello splendido panorama insieme a te”.
    “Nino, lo sa? È di questo che parlavate stamattina nel corridoio?”
    “Sì, non so perché mi sono confidata con lui. Non so spiegarti di preciso, ma mi sento legata a Kazu, è come il fratello che non ho mai avuto; ti fa i dispetti, ti prende in giro, ma poi è sempre lì a tirarti su di morale quando sei triste. Sentivo di potermi fidare, sentivo che lui mi avrebbe creduta subito, senza giudicarmi” gli confessò un pò in imbarazzo.
    “E di me, non puoi fidarti di me? Perché non me l’hai detto?” gli chiese con un tono un pò acido, sentirla parlare di Nino in quel modo gli dava fastidio.
    “Ora si, riesco a fidarmi di te, ma prima… avevo paura della tua reazione. Pensavo che mi avresti presa per pazza, che ti saresti comportato esattamente come hai fatto due minuti fa” ammise abbassando lo sguardo.

    Anche Masaki abbassò lo sguardo, Miriam non aveva poi tutti i torti.

    Nino aveva creduto subito a quella storia e nel suo piccolo l’aveva aiutata, le aveva dato indicazioni su come avvicinarsi a lui, la faceva ridere quando si sentiva giù, si comportava esattamente come un fratello maggiore, e invece lui che aveva fatto? Niente.
    Aveva accusato Nino inutilmente, aveva dubitato di lei, non aveva mai provato a capirla e anche ora che glielo aveva detto faceva fatica a crederci.
    Alzò lo sguardo al cielo; il sole era tramontato, l’azzurro stava iniziando a sfumarsi con il blu, diventando sempre più scuro, alcune stelle stavano iniziando a brillare, una frase gli attraversò la mente “Aiba-chan ci credi nel destino?”
    Non aveva mai risposto a quella domanda.
    Fino a quel momento aveva sempre pensato che non c’era niente di scritto, ognuno era artefice del proprio destino.
    Ma ora qualcosa era cambiata in lui, e se, a farli incontrare era stato proprio il destino?
    E se c’era un motivo ben preciso dietro a quella situazione così strana?
    Gli era bastato uno sguardo per innamorarsi di lei, ma qualcosa impediva a lei di vederlo, ma c’erano altri modi, alcune cose possono essere viste anche senza gli occhi.

    “Miriam!” la chiamò facendola sobbalzare, “vorrei provare a fare una cosa, se me lo permetti?”
    “Cosa?”
    “Voglio dimostrarti che anche senza utilizzare gli occhi puoi vedermi” le disse serio e prendendole le mani, si avvicinò di più a lei, “chiudi gli occhi” le sussurrò.

    Rimasero in silenzio per alcuni minuti.

    Masaki le poggiò la testa sulla spalla, respirava lentamente. Miriam sentiva il suo respiro sul collo, le faceva il solletico.
    Alzò la testa, dolcemente sollevò le mani di Miriam e se le poggio sul collo. Riusciva a sentire il battito irregolare del suo cuore, attraverso le vene che pulsavano sotto le sue dita.
    Muovendosi delicatamente, arrivò fino alle guance, le fece guardare il suo viso attraverso il tatto.

    Le dita di Miriam iniziarono a muoversi da sole, era come se già lo conoscessero, come se in tutto quel tempo non avessero toccato altro che il suo viso. Gli passò le dita sulle labbra, seguendone il contorno; si spostarono verso il collo e scesero giù seguendo il profilo. Gli accarezzò le spalle, per poi scendere sul petto e arrivare all’altezza del cuore.
    Il respiro di Masaki si stava facendo più veloce, sentire le sue mani muoversi sul suo corpo, lo fecero rabbrividire; quel contatto gli sembrava così familiare, percepiva un senso di calore.
    Miriam si avvicinava a lui inconsapevolmente, era come una calamita, incapace di respingere quell’attrazione che la spingeva sempre più vicino a lui.
    Le sue mani si spostarono di nuovo sul suo viso, la sua pelle era liscia, morbida, salì fino alla fronte, gli passò le mani fra i capelli liscissimi; li aveva tagliati dall’ultima volta che lo aveva visto in Tv, la sfumatura sul collo accompagnava il taglio leggermente più lungo sulle orecchie. “Hai rimesso l’orecchino” gli disse sentendo un rialzo sull’orecchio.
    “Lo metto sempre quando non sono in televisione” le disse sottovoce.
    Le mani di Miriam scivolarono lungo la schiena, risalendo delicatamente sulla spalla dolorante. Masaki sobbalzò al contatto, “ti fa male?” gli chiese.
    “Un pò, ma non fermarti, continua. Ti prego” le rispose nascondendo il dolore.
    Lei proseguì, dalle spalle passò alle braccia, le sue dita scivolavano delicatamente sui graffi, fino a raggiungere le mani, quelle mani che aveva tanto desiderato toccare.
    Iniziò a giocare con le sue dita, “che hai fatto?” gli chiese, mentre gli sfiorava le nocche della mano sinistra, sentiva qualcosa, che fino a poco prima non c’era.
    “Ho tirato un pugno sul muro” le disse.
    Senza dire altro, gli prese la mano destra, l’alzò a metà altezza, e ci poggiò la sua di sopra. Fece passare le sue dita incrociandole con quelle di Masaki. Gliela strinse forte e lentamente aprirono gli occhi.

    Per la prima volta il suo sguardo non era triste, nei suoi occhi c’era una luce diversa, “sei tu, sei veramente tu, il mio dolce e bellissimo Aiba Masaki!” gli disse con un sorriso più luminoso.

    “Sì, sono io. Sono sempre stato io” le rispose abbracciandola.
    Un brivido gli percorse la schiena.
    “Mi dispiace non avertelo detto prima, ma volevo trovare una soluzione”.
    “E l’hai trovata?”
    “No” ammise in imbarazzo, “ho letto tutte le leggende più strane, le più assurde, ma nessuna che parlava della perdita della vista”.
    “Sta tranquilla, ora ci sono io con te, la cercheremo insieme. Troveremo il modo per uscire da questa situazione, ma ti prego, non nascondermi più niente, voglio sapere tutto quello che ti succede. Stavo diventando matto per cercare di capire perché ti comportavi in quel modo”.
    “Ti prometto che ti dirò tutto, non ti nasconderò più nulla” disse alzando il mignolo.
    Masaki l’incrociò con il suo, “lo giuro” dissero insieme, una piccola scossetta gli attraversò il dito.
    “Ho preso la corrente” gli disse abbassando la mano.
    “Anch’io. Ehm, ti va di andare a mangiare qualcosa, ho un pò fame” ammise in imbarazzo.
    “Si volentieri, solo che…”
    “Che?”
    “È un problema se usciamo dall’hotel, ehm non voglio vederli, saranno ancora arrabbiati con me” disse triste.
    “Mc Donald?” le propose sorridendo.
    “Si!” esclamò euforica, “ehm c’è un altro problema però. Non so te, ma ecco i miei vestiti sono un pò strappati e sporchi”.
    Masaki la guardò, poi abbassò lo sguardo su di se, i suoi vestiti erano peggio di quelli di Miriam, “mi è venuta un idea” disse prendendola per mano, e alzandosi, un pò troppo velocemente, una smorfia di dolore gli comparve sul volto.
    “Tutto okay?” gli chiese.
    “Sì mi sono alzato troppo veloce, ma come hai fatto a capirlo? Ti è ritornata la vista?”
    “Ehm no, in realtà non lo so neanch’io. Mi hai stretto la mano più forte e ho percepito che c’era qualcosa che non andava”.
    “Quindi riesci a percepire i miei movimenti?”
    “Si esatto, in alcuni momenti e come se il mio corpo già ti conoscesse. Si muove a memoria. È come se avesse una volontà tutta sua. Riesco a capire il tuo stato d’animo, a percepire la tua vicinanza, altre volte invece e come se non ci fossi proprio”.
    “E ora? Ora che senti?”
    “Ora sento la tua presenza più forte” gli spiegò.

    Masaki finalmente stava iniziando a capire qualcosa di più su quella strana situazione, “Andiamo, cucciola”.
    Ripercorsero il giardino, entrarono nella hall, salirono al primo piano, girarono a destra ed entrarono nel negozietto in cui vendevano i gadget.
    Si guardarono intorno perplessi; il negozio era formato da due ampie stanze, illuminate da piccoli faretti.
    “Can I help You?” gli chiese la commessa.
    “Uhm, dress, dress!” rispose Masaki.
    “Lascia, faccio io” s’intromise Miriam, “vendete capi d’abbigliamento?” chiese rivolgendosi alla commessa.
    “Certo” le rispose sorridendo, “sono di là” aggiunse, indicando la stanza affianco, “prego, seguitemi, cercate qualcosa in particolare?”
    “No, qualsiasi cosa va bene” le rispose Miriam guardandosi intorno; non c’era niente che le piaceva.
    “Bene, bene, bene. Allora, io direi questo per te” disse prendendo una tuta a pantaloncino senza bretelle, blu mare; “mentre per lui questo, insieme a questa” aggiunse passandogli un bermuda blu scuro, in tinta con la tuta di Miriam e una maglietta con scollo a V bianca. “Lì ci sono i camerini” disse voltandosi verso di loro, “e se vi piacciono potete tenerli” aggiunse notando in che condizioni erano i loro vestiti.

    Entrarono nei camerini, velocemente si cambiarono.
    Miriam si guardava allo specchio, contrariamente da quello che pensava, quella tuta le stava bene, vestiva morbida e si sentiva a suo agio.
    “Woh! Miriam stai benissimo vestita cosi” le disse Masaki, appena uscì dal camerino.
    “Grazie, mi piacerebbe dire lo stesso di te” rispose triste.
    “Dai vieni, andiamo” le disse avvicinandosi e prendendola per mano.
    A quel contatto Miriam sobbalzò, sentiva la sua mano più reale, prima invece era come accarezzare il fumo.
    Dopo aver pagato, uscirono dall’hotel, il taxi li lasciò sul lungomare di fronte il Mc Donald. Ordinarono due McMenù con McChicken, patatine e Coca-cola e andarono a mangiare sulla spiaggia.

    “Adoro il mare di notte” disse Miriam sdraiandosi sulle pietre, “è così rilassante”.
    “Che altro ti piace?” le chiese Masaki sdraiandosi di fianco a lei.
    “Uhm, mi piace viaggiare, il mio sogno nel cassetto è quello di girare il mondo on the road, senza seguire schemi o tabelle. Partire con uno zaino, sacco a pelo e nient’altro. Mi piace scoprire posti nuovi, conoscere tante persone diverse, conoscere la loro cultura, le loro tradizioni, imparare a vivere come fanno loro, così da potermi sentire parte di un qualcosa di completamente diverso rispetto alla mia vita attuale. Voglio essere cittadina del mondo” gli spiegò con sguardo sognante, “poi mi piace la musica, mi ha aiutato a superare molti momenti difficili. Mi piace studiare i testi delle canzoni, capirne il significato, cogliere lo stato d’animo che l’autore aveva nel momento in cui l’ha scritta, e per finire mi piaci tu” aggiunse sorridendo.
    Masaki l’ascoltava in silenzio, conoscere i suoi interessi, i suoi sogni, gli fecero capire quanto erano simili.
    Anche lui da piccolo fantasticava sulla possibilità di girare il mondo, e in parte, grazie agli Arashi l’aveva fatto.
    Si avvicinò di più a Miriam per baciarla, ma lei si alzò di scatto, “e no, prima devi prendermi” gli disse ridendo e iniziando a correre.
    “Miriam!” la chiamò seguendola.
    Lei si tolse velocemente la tuta e si buttò in acqua, lui senza pensarci troppo si spogliò e si tuffo.
    L’acqua salata gli bruciava sulle ferite, nuotò con un pò di fatica fino a raggiungerla, “presa” le disse afferrandola dal braccio e avvicinandola a se. Lei, incrociò le sue gambe intorno alla sua vita.
    Da quando gli aveva confessato tutto, lo sentiva più reale, il suo corpo reagiva istintivamente, “baciami” gli ordinò.
    Lui non se lo fece ripetere una seconda volta. Si avvicinò e la baciò stringendola più forte a se.
    Intorno a loro c’era il buio, solo la luna, li illuminava.
     
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    Capitolo 20
    Ohno continuava a rigirarsi nel letto, per tutta la notte non era riuscito a stare un attimo fermo; gli avvenimenti del giorno prima l’avevano scombussolato, si sentiva di nuovo ansioso per un qualcosa che non riusciva a capire.
    “Satoshi, ti stai fermo! È tutta la notte che mi tiri calci, ma che ti prende?” gli chiese Nino.
    “Non lo so, sono nervoso”.
    “Scarica il tuo nervosismo prendendo a calci qualcun altro” gli rispose, mentre si alzava infastidito.
    “Scusami Kazu! Ma davvero, non riesco a stare fermo, non so cosa mi sta succedendo. Mi sento strano” ammise sedendosi a gambe incrociate.
    Nino lo fissava, c’era qualcosa di diverso in lui, il suo sguardo non era quello di sempre, era spento, impaurito, non l’aveva mai visto in quelle condizioni. Il suo corpo reagì d’impulso, si avvicinò e sedendosi di fronte a lui, gli chiese “cos’è che ti preoccupa?” la sua voce era dolce, rilassante.
    “Non lo so Kazu. Ma da quando abbiamo messo piede in questo posto mi sento sempre ansioso, preoccupato, nervoso” disse con voce triste.
    Nino con un movimento rapido l’abbracciò, stringendolo forte a se; sentì i suoi muscoli rilassarsi, lo tenne stretto fin quando non si calmò del tutto.
    “Ora va meglio?” gli chiese, sciogliendo l’abbraccio.
    “Sì, grazie!”
    “Baka, non devi ringraziarmi” gli disse sorridendo, “dai vieni. Conosco un altro modo per farti rilassare e questo funziona anche meglio”.
    Gli diede un bacio, si alzarono e mano nella mano andarono in bagno.
    Dopo aver chiuso la porta a chiave, Nino si avvicinò alla vasca e la riempì d’acqua e bagnoschiuma, creando una nuvola di sapone. Ohno lo guardava mentre si spogliava e s’immergeva nell’acqua calda, lo amava incondizionatamente, più della sua stessa vita.
    Il loro amore era nato così, per gioco, alimentavano il fansistem. Si comportavano in un determinato modo, perché le fan volevano vedere quello; il duo comico “OhmiyaSK” era diventata una parte fissa nei concerti, scatenando così l’ira del vecchio, ma per loro quelli, erano comportamenti normali, non ci vedevano niente di male, gli veniva spontaneo farlo. Ricordava benissimo il giorno in cui si era dichiarato.
    Avevano appena finito le prove del “Popcorn Tour” e Nino come al solito si era offerto di accompagnarlo a casa.
    “Oh-chan, lo so che pensi che prendere la patente sia una casa inutile, ma non puoi continuare a farti scarrozzare a destra e a sinistra” gli disse, mentre parcheggiava sotto casa sua.
    “Sì, forse un giorno la prenderò. Ti va di salire? Magari mangiamo qualcosa insieme”.
    “Si okay, sto morendo di fame” rispose allegro.
    Salirono fino al 15° piano, finalmente Ohno si era deciso a lasciare la casa dei suoi genitori per trasferirsi in un piccolo appartamentino di 60 mq nel quartiere di Minato.
    Tutti l’avevano criticato per quella scelta, “potevi prendere qualcosa di più grande” continuavano a ripetergli, ma a lui non interessava la grandezza, l’aveva scelto perché dal balcone della sua camera da letto si vedeva il Rainbow Bridge; adorava quella vista, la trovava rilassante.

    “Che vuoi mangiare?” gli chiese, mentre girava la chiave nella serratura.
    “Ramen!” gli rispose Nino entrando.
    “Ho solo quello istantaneo”.
    “Meglio, sto morendo di fame e non ce la faccio ad aspettare” gli disse mentre prendeva due birre dal frigo, le stappò e ne passò una ad Ohno.
    Dopo aver riscaldato l’acqua, presero le due confezioni, le birre e andarono a mangiare sul balcone.
    “Inizio a capire perché hai preso quest’appartamento” gli disse Nino dopo aver finito di mangiare, “è bellissima la vista del Rainbow”.
    “Anche tu sei bellissimo Kazu”, le parole gli erano uscite di bocca, non riuscì a controllarsi.
    “Cosa?!” gli chiese dubbioso, forse aveva capito male.
    “Niente scusa, ho parlato senza riflettere” gli disse in imbarazzo, stava iniziando ad arrossire.

    Nino si alzò e andò a sedersi in braccio a lui, non era la prima volta che lo faceva, ma quella sera era diverso, il suo cuore iniziò a battere velocissimo, sembrava che gli stesse per scoppiare in petto.
    “Sbaglio o hai detto che sono bellissimo?” gli chiese guardandolo negli occhi con sguardo intenso, penetrante.
    “Oh, ehm…” iniziò, ma si bloccò, non fu in grado di completare la frase, senza pensarci si avvicinò e lo baciò.
    “Ma che fai!?” gli chiese Nino respingendolo.
    “Kazu, mi piaci, mi sei sempre piaciuto. Ti penso ogni secondo della mia vita, non riesco più a trattenermi. Non posso più ignorare i miei sentimenti. Ogni volta che mi sei vicino non capisco più nulla” gli confessò tutto d’un fiato.

    Finalmente era riuscito a dichiararsi.

    Nino lo guardava, incapace di rispondere. Il suo corpo lo fece per lui, gli prese il viso tra le mani e lo baciò.


    Da quella notte erano passati tre anni, ma i loro sentimenti non erano mai cambiati.

    “Che fai, non entri?” gli chiese Nino distogliendolo dai suoi pensieri.
    “Oh si scusa, mi ero incantato”, si spogliò e s’immerse nella vasca. “Scusami Kazu” gli disse dopo qualche minuto di silenzio.
    “Per cosa?”
    “Perché ho dubitato di te” ammise abbassando lo sguardo, “perché da quando abbiamo conosciuto le ragazze faccio fatica a fidarmi di te. Mi danno fastidio i comportamenti che hai con Miriam. So che siete solo amici e per te è come una sorella, ma sono geloso”.
    “Satoshi io amo solo te. E da quel giorno che amo solo ed esclusivamente te. Non hai nulla di cui preoccuparti” e avvicinandosi, l’abbracciò.
    “Ti amo Kazu!” gli disse, ricambiando l’abbraccio.
    “Ti amo anch’io Toshi”.

    Contemporaneamente avvicinarono i loro visi e si baciarono, facendosi trasportare dall'atmosfera.

    “RAGAZZI AVEVAMO DECISO CHE IL BAGNO ERA ZONA NEUTRA, OFF LIMITS” gli urlò Sho, mentre bussava alla porta.
    Ma loro non risposero; le loro labbra erano impegnate a fare ben altre cose.
    “Che succede?” gli chiese Jun uscendo dalla sua stanza.
    “Gli Ohmiya hanno occupato il bagno” gli spiegò.
    “MA DAI RAGAZZI, NON SI FA COSÌ, L’USIAMO ANCHE NOI QUELLA STANZA. AVEVAMO DECISO CHE ERA TERRITORIO COMUNE, PERCIÒ NEUTRO” disse urlando.
    “Quanto la fai lunga J” gli rispose Nino aprendo la porta.
    “Traditori, avete violato i trattati di non invasione” gli disse Jun puntando il dito.
    “Che stress! Non abbiamo fatto niente” rispose Nino “solo che ti consiglio di fare la doccia stamattina, invece del solito bagno rigenerante” aggiunse prendendolo in giro, mentre correva nella sua camera seguito da Ohno.
    “Nino risparmiaci i dettagli” ribatté Sho.

    Jun, Sho e Masaki, non avevano fatto fatica ad accettare la loro relazione, in fin dei conti l’avevano sempre saputo che fra di loro c’era qualcosa e la scusa del fansistem non funzionava più.

    “Sho come sta Masaki? Sta ancora dormendo?” gli chiese Ohno entrando nella sua camera
    “Veramente ieri non è tornato. Sicuramente sarà nella suite delle ragazze. Avrà passato la notte a tranquillizzare Miriam; era parecchio agitata. Passiamo da loro prima di scendere?”.
    “D’accordo” rispose con un cenno della testa, l’ansia stava iniziando a farsi sentire.
    Tutti e quattro uscirono dalla loro suite e in silenzio raggiunsero quella delle ragazze, bussarono un paio di volte, ma non ricevettero alcuna risposta.
    “Saranno già andate a fare colazione” ipotizzò Jun, “dai non fate quella faccia” aggiunse notando la loro espressione preoccupata.
    Entrarono in ascensore e scesero giù, attraversarono la hall ed entrarono nel ristorante. Subito iniziarono a guardarsi intorno.
    “Visto che vi dicevo, sono lì” gli disse indicando il loro tavolo.
    Senza neanche fare la fila al buffet andarono di corsa da loro, erano preoccupati per il loro Aiba-chan, ma solo dopo essersi avvicinati si resero conto che c’erano solo Anto e Mary.
    “Dove sono Miriam e Masaki?” gli chiese Ohno.
    “Ehm, non sono con voi?” ribatté Mary spaesata.
    “No, Masaki non è tornato ieri, pensavamo che era con voi, con Miriam” le spiegò Sho.
    “Anche Miriam non è tornata e abbiamo pensato anche noi la stessa cosa” s’intromise Antonella.
    “Forse sono in giardino” ipotizzò Nino, “l’altro giorno hanno detto di aver dormito lì”.

    Si scambiarono un’occhiata veloce, Anto e Mary scattarono subito in piedi e senza dirsi una parola andarono in giardino, ma lì non c’erano. Controllarono da tutte le parti: in piscina, nel prato vicino il ristorante, persino sul tetto, ma di loro non c’era traccia.
    Iniziarono a preoccuparsi seriamente; provarono a chiamarli sul cellulare, ma invano.
    Quando ritornarono nella suite 11 scoprirono che entrambi i telefoni erano nello zaino di Miriam.
    Tutti iniziarono a scambiarsi occhiate preoccupanti; Sho e Mary non erano più in grado di pensare in maniera razionale, entrambi la sera prima avevano litigato con loro, ed era per colpa di quella lite se entrambi se n’erano andati.

    “Senza soldi non possono essere andati lontani e non penso che siano così stupidi da non chiamarci se gli fosse successo qualcosa. Perciò, usciamo da qua e andiamo a cercarli” decretò Ohno.
    Tutti lo guardavano increduli; per la prima volta era lui a prendere una decisione, di solito era Sho quello più risoluto.

    “Bene, dividiamoci; tu e Sho andate di là” disse rivolgendosi a Mary, indicandole la via per raggiungere il centro, “Jun e Anto controllate la spiaggia; io e Nino andiamo sul lungomare. Chi li trova per prima avverte gli altri, andiamo ora!”
    “Hai Riidaa!” dissero in coro ridendo, Ohno li guardò con sguardo serio, fulminandoli all’istante.
    Tutti abbassarono subito lo sguardo intimoriti. Si divisero e ogni coppia prese la direzione che gli era stata indicata.


    Capitolo 21
    “MASAKI!” urlò Miriam svegliandosi all’improvviso.
    “Che c’è? Che succede?” le chiese preoccupato.
    “Dove sei?”, era agitata.
    “Sono qui; tranquilla” le disse abbracciandola, “mi hai fatto spaventare, pensavo stessi male, che succede?”.
    “Scusa non volevo, ma tu eri arrabbiato e non volevi vedermi, mi odiavi e io…” gli disse confusa, cercando di spiegarsi.
    “Miriam, era solo un sogno, non potrei mai odiarti” le disse interrompendola e stringendola di più a se, “non ti odiavo neanche quando mi trattavi male. Come si fa ad odiarti con quello sguardo da cucciolo che ti ritrovi” aggiunse, cercando di farla sorridere.
    “Che scemo che sei” gli disse ridendo.
    Si sdraiarono di nuovo sulle pietre, a guardare il sorgere del sole. Il cielo stava iniziando a tingersi di rosso e arancio.
    Miriam gli faceva i grattini sul braccio, mentre lui la teneva stretta, pensavano a quello che era successo la sera prima.

    “Masaki?!” lo chiamò Miriam dolcemente, distogliendolo dai suoi pensieri.
    “Si?”
    “Ecco, riguardo a ieri, è stata la serata più bella della mia vita”.
    “Anche per me” le disse girandosi sul fianco, in modo da poterla guardare negli occhi, “c’è qualcosa che ti preoccupa?” le chiese, aveva notato un tono di tristezza nella sua voce.
    “Ehm, no e che non voglio separarmi da te” gli spiegò, “non sai quante volte ho sognato questo momento. E ora sei qui, davanti a me. E come un sogno che diventa realtà. Sono davvero grata al destino per averci fatto incontrare, nonostante tutto, gliene sono grata”.

    Un brivido le attraversò la schiena, si senti raggelare.

    Masaki l’abbracciò, neanche lui voleva separarsi da lei, finalmente aveva trovato la persona che lo faceva sentire bene di nuovo.
    “Miriam, voglio prendermi cura di te” le confessò in imbarazzo.
    Quelle parole, scatenarono in lei un turbinio d’emozioni. Si sentiva al sicuro con lui, protetta, ma al tempo stesso aveva paura. Felice, ma contemporaneamente triste.
    “Masaki!” lo chiamò stringendosi a lui, in quell’abbraccio che le sembrava così familiare, come se il suo posto fosse stato sempre quello, fra le sue braccia.
    “Miriam, troverò il modo per poter stare con te, nonostante le regole della Johnny’s” le disse dando voce ai suoi pensieri, “non permetterò a niente e a nessuno di separarci”.
    “Baciami Masaki!” gli sussurrò.
    Lui piegò leggermente la testa di lato e la baciò. Il suo bacio era dolce, delicato, le sue labbra morbide e il tocco leggero delle sue mani, che scivolavano delicatamente sul corpo di Miriam, lasciavano una scia di calore.
    In entrambi si riaccese la voglia e il desiderio della sera precedente, ma questa volta si trattennero.
    Rimasero sdraiati su quella spiaggia ad osservare il cielo diventare sempre più azzurro. Nessuno dei due voleva tornare in hotel. Lì c’era tutto quello di cui avevano bisogno, cioè l’uno dell’altro.

    Solo quando il sole era ormai alto, decisero di tornare. Sicuramente i loro amici erano preoccupati e poi entrambi volevano scusarsi per quello che era successo, per l’incidente e per le cose che avevano detto.
    Raccolsero le loro cose e si incamminarono verso l’hotel. Miriam camminava lentamente e un pò in disparte, guardava le bancarelle sul lungomare.

    “Ti piace qualcosa? Le chiese avvicinandosi.
    “Oh, ehm si, quel bracciale” gli disse indicandolo.
    Masaki lo prese, era un braccialetto rosso, al centro come ciondolo c’era il pezzo di un puzzle in acciaio, “due” disse rivolgendosi al proprietario della bancarella.
    “Fanno 5.00€” gli disse passandogli l’altro braccialetto.
    Masaki si mise le mani in tasca dubbioso, aveva lasciato tutto in hotel, solitamente teneva sempre qualche soldo in tasca, ma non si ricordava quanti glie n’erano rimasti, sorridente tirò fuori l’ultima banconota e gliela passò.

    “Dammi ti aiuto” le disse prendendole il bracciale dalle mani “aiuti anche me?” aggiunse dopo averlo agganciato.
    “Io non posso” gli disse abbassando lo sguardo.
    “Certo che puoi” insistette, “tieni” disse mettendole il braccialetto in mano.
    Miriam lo guardava confusa, non poteva aiutarlo e lui lo sapeva benissimo.
    “Sono esattamente di fronte a te, il mio braccio sinistro è leggermente alzato, perciò sposta le mani un pò a destra” le spiegò.
    Miriam seguì i suoi ordini, alzò le braccia e le spostò verso destra
    “Okay, ci sei; devi solo alzarle un altro pò”.
    Lei le alzò, le tremavano.
    “Puoi agganciare”.
    Con un pò di fatica riuscì a far passare il cerchietto nel gancio.
    “Visto che ci sei riuscita!” le disse allegro prendendola per mano e girandosi lo vide.

    Il suo sguardo era glaciale, il suo viso livido dalla rabbia.

    Ohno li guardava, era furioso, mentre loro erano in ansia, quei due passeggiavano allegramente fra le bancarella.
    Masaki abbassò subito lo sguardo, si sentiva intimorito, non riusciva a sostenerlo, in silenzio si avviarono verso l’hotel.

    “Masaki che hai?” gli chiese Miriam al suo fianco, ma lui non rispose, non riusciva a parlare, le stringeva solo la mano.
    “OHNO SATOSHI ACCESSO ESEGUITO!”
    Entrarono nella suite, Ohno si sedette sulla poltrona, mentre Miriam e Masaki sul divano; Nino invece, era rimasto leggermente in disparte, stava chiamando Sho e Jun.

    “Dovresti ritornare nella tua stanza” le disse Ohno con tono deciso, “le tue amiche saranno preoccupate per te”.
    “Ehm si, okay, ci vediamo dopo allora” disse Miriam alzandosi.
    “Non credo, oggi abbiamo da fare” e notando che stava per dire qualcosa aggiunse “e anche domani”, la sua voce era dura, autoritaria.
    “Ehm d’accordo, allora io vado, ci… ci vediamo quando siete liberi”, lasciò la mano di Masaki e si diresse verso la porta.
    Appena uscì, si sentì invadere di nuovo da quella sensazione di vuoto che solo lui era riuscito a colmare.

    Masaki non riusciva a parlare, si sentiva gli occhi di Ohno puntati addosso.
    “Come va la spalla?” gli chiese dopo qualche minuto di silenzio.
    “Bene, non fa più tanto male”.
    “Dove hai passato la notte?”.
    “In spiaggia, con Miriam” gli rispose in imbarazzo.
    “Dì pure addio a quella ragazza, non la vedrai mai più”.
    Masaki lo guardava incredulo, “Oh-chan, non puoi dirmi chi posso o chi non posso vedere” gli disse con un tono di voce leggermente alto.
    “Che succede?” chiese Jun entrando in salotto seguito da Sho e Nino
    “Niente di cui preoccuparsi. Stavo semplicemente comunicando a Masaki che ho deciso che da oggi non deve più vedere Miriam”.
    “Non puoi imporgli le tue decisioni” gli rispose Jun, “e poi perché non può vederla?”
    “Perché sono stanco di questa situazione. Da quando avete conosciuto quelle ragazze vi è andato il cervello in panne” disse arrabbiato.
    “Oh-chan calmati, ma che ti prende?” gli chiese Sho, non capiva il motivo dietro la sua rabbia.
    “Sono calmissimo, ma come ho già detto sono stanco. È una settimana che gli girate sempre intorno come un branco di lupi affamati, non fate altro che parlare di loro”.
    “E quindi? Che vuoi dire?” intervenne Jun infastidito.
    “Lo sapete meglio di me che questa cosa non può continuare. Quando ritorneremo a Tokyo riprenderemo le nostre vite da Idol, non potrete mai stare seriamente con loro”.
    “Questi sono problemi nostri, non tuoi” ribatté Sho.
    “DIVENTANO PROBLEMI MIEI QUANDO METTETE A RISCHIO IL NOME DEL GRUPPO” gli urlò Ohno sempre più arrabbiato.
    “NON ABBIAMO MAI MESSO A RISCHIO GLI ARASHI” s’intromise Jun urlando.
    “Solo il fatto di averle portate qui ha messo a rischio il gruppo”.
    “Sì, ma non è successo niente” gli disse Masaki, “dai ragazzi, ora basta litigare”.
    “Tu sta zitto. Sei l’ultima persona che può parlare e ne sei proprio sicuro che non è successo niente? Ti ricordo che ieri ti sei schiantato sull’asfalto perché non sai dire di no. Non sai pensare con la tua testa, devi sempre avere qualcuno che ti dica le cose. E tu, Sho, assecondi le stupide fantasie di una ragazzina iscrivendo Jun a un concorso fra dj, senza pensare in che casino ci saremmo trovati se qualcuno caricava qualcosa su internet. E quell’altro che invece di rifiutarsi, ti viene dietro solo per farsi vedere, solo per farsi bello davanti ad Antonella. Siete patetici. Da voi non me l’aspettavo” gli disse. Nelle sue parole aveva scaricato tutta l’ansia e la preoccupazione di quei giorno. “Vi proibisco a tutti e tre di vederle”.
    “TU NON PUOI PROIBIRCI PROPRIO NIENTE” gli urlò Sho.
    “O con le buone o con le cattive, farò in modo che non le vediate mai più” concluse Ohno.
    “ANCH’IO HO DIRITTO AD AVERE UNA VITA!” gli urlò Jun.
    Non ci vide più dalla rabbia, con un movimento rapito si fiondò su di lui e l’afferrò per la maglia, gli tremavano le mani. Nino e Sho si precipitarono verso di loro; Masaki rimase fermo, immobile. Era la prima volta che litigavano in quel modo.
    “Nino, portalo via!” gli ordinò Sho, mentre trascinava Jun il più lontano possibile da Ohno.
    “Toglimi le mani di dosso Sho. Mi sono seccato di voi!” non riusciva a calmarsi, era sempre più arrabbiato.
    Sho lo guardava, che gli era successo, com’era possibile che avevano litigato così tanto fin quasi ad arrivare alle mani. “Jun, calmati” gli disse, ma lui lo spinse.
    “ANDATE AL DIAVOLO!” gli urlò andando nella sua camera.
    “Sho-chan?!” lo chiamò Masaki avvicinandosi.
    “Sta zitto Masaki. Non voglio sentire niente. Non m’interessa più niente. Tutto sto casino è colpa tua. Non ti bastava quello che avevi combinato ieri pomeriggio. No! Dovevi passare anche la notte fuori. Dovevi farci preoccupare e arrabbiare ancora di più. Sei contento ora, che abbiamo litigato?! Che Jun e Satoshi stavano per fare a pugni?” gli disse e superandolo per andare nella sua stanza gli diede una spallata.

    Masaki era sempre più incredulo, si guardava intorno spaesato. Che era successo ai suoi compagni; com’era possibile che avevano litigato così tanto.
    In sedici anni erano sempre andati d’accordo; la loro amicizia era diventata il loro punto forte, la cosa su cui potevano sempre contare e ora, avevano rovinato tutto, litigando per delle ragazze.
    Per tutto il giorno Jun, Sho e Ohno rimasero nella loro stanza, non volevano vedere nessuno.
    Ohno continuava ad essere arrabbiato e sempre più ostinato. Nino non era riuscito a fargli cambiare idea, per lui la colpa di tutto era delle ragazze, perciò era sempre più convinto che per il bene degli Arashi non dovevano più rivederle.

    Era la prima volta che si preoccupava per il gruppo, che metteva gli Arashi prima di tutto e in parte Sho e Jun lo capivano, una parte di loro gli dava ragione; da quando erano arrivati, avevano messo da parte i loro impegni lavorativi e si erano buttati a capofitto in una relazione che difficilmente avrebbero potuto continuare, ma dall'altra parte, non riuscivano a sopportarlo; non poteva vietargli di vederle.
    Lui aveva Nino, che lo capiva e lo incoraggiava, che lo sosteneva e l’aiutava nei momenti difficili, ma loro, loro non avevano nessuno e in quelle ragazze avevano trovato tutto quello di cui avevano bisogno.
    Con loro potevano essere se stessi, le ragazze li apprezzavano e li amavano non perché erano gli Arashi, ma per quello che erano realmente, tre semplici ragazzi e nient’altro.
    Con facilità erano riuscite a entrare nelle loro vite, colmando quel vuoto, ma da quando si erano salutati quella mattina nel corridoio, provavano una strana sensazione; si sentivano come se una voragine gli si fosse aperta nel petto, come se il terreno sotto i loro piedi stava cedendo; si sentivano come se gli avessero tolto qualcosa di vitale.
    E lo stesso era per Masaki; quella mattina aveva giurato il suo amore per Miriam, aveva giurato di non separarsi mai da lei per niente e nessuno, ma mai e poi mai, poteva immaginare che proprio quel nessuno era il suo Riidaa. Istintivamente andò verso la porta, ma appena mise la mano sulla maniglia si bloccò, le parole di Sho gli ritornarono subito alla mente, i sensi di colpa iniziarono ad assalirlo, tutto era iniziato con quello stupido giro in motorino, inconsapevolmente avevano scatenato l’ira di Ohno portandolo a prendere quella decisione.

    “Vai da qualche parte?” gli chiese Nino, interrompendo i suoi pensieri.
    “No, io… ho bisogno di vederla” ammise abbassando lo sguardo.
    “Siete riusciti a parlare?” gli chiese avvicinandosi.
    “Si. Ieri mi ha detto tutto. Ehm, Nino scusami per aver dubitato di te, ma non riuscivo a capire perché si comportava in quel modo e.... sono stato uno stupido, scusa”.
    “Tranquillo Masa” gli disse dandogli una pacca sulla spalla.
    “Itai!” esclamò dolorante.
    “Oops, scusa!”
    “Non preoccuparti, ehm…vado a metterci un pò di ghiaccio” disse e con la testa bassa andò verso la cucina.
    Nino lo seguì, “Aiba-chan va da lei” gli ordinò.
    “Ehm cosa?!” gli chiese incredulo.
    “Va da lei Masaki; cercate un modo per uscire da questa situazione. Miriam deve vederti almeno una volta”.
    Masaki lo guardava, non si aspettava quelle parole, “Kazu dici davvero?”
    “Sì, ti copro io. Ora vai, ti do tempo un ora, non di più”.
    “E se Satoshi lo scopre? Si arrabbierà con te”.
    “Tranquillo, non lo scoprirà. Domani, quando Sho e Jun si saranno calmati, gli racconteremo tutto, ci alterneremo per coprirti e nasconderemo tutto a Satoshi. Almeno fin quando non riesco a fargli cambiare idea. Ora basta domande e vai. Ricordati, hai un ora e spiegagli tutto quello che è successo. Fai in modo che capiscano e non fare casini” gli disse serio.
    “Grazie Kazu!” gli rispose sorridente.
    Uscì dalla suite e andò dritto da lei, gli era mancata più di quanto immaginasse. Di corsa raggiunse la suite 11, bussava ripetutamente alla porta, era impaziente.
    “Aiba-chan, cosi la butti giù” gli disse Antonella, “che succede? Dove sono gli altri?” aggiunse guardando dietro di lui.
    “Anto dov’è Miriam?” le chiese ignorando le sue domande.
    “È sul divano, le fa male il ginocchio, che hai?” gli chiese notando che era agitato, ma lui non rispose, entrò e si fiondò subito da lei.
    “Miriam!” la chiamò abbracciandola.
    “Masaki che succede?” gli chiese confusa.
    “È successo un casino! Ohno ci ha vietato di vedervi” le disse agitato, “mi sei mancata”.
    “Come vi ha vietato di vederci?!” esclamò Mary, “Masa calmati e spiegaci tutto”.
    Miriam gli fece posto sul divano, inspirò profondamente e velocemente gli raccontò tutto quello che era successo, della decisione di Ohno e di come Jun aveva reagito a quelle parole.
    Le ragazze ascoltarono attentamente, facevano fatica a crederci. In sedici anni di carriera non avevano mai litigato e sapere che erano loro la causa della loro prima lite, le fece stare male, si sentivano terribilmente in colpa.

    “Nino mi sta coprendo, mi ha dato un’ora di tempo per venire qui e spiegarvi tutto” continuò a dire, “Miriam dobbiamo assolutamente trovare una soluzione per il tuo problema, prima che questa vacanza finisca!”
    “Quale problema?” chiese Antonella confusa.
    “Non lo sanno?” chiese Masaki voltandosi verso di lei.
    Miriam scosse la testa abbassando lo sguardo.
    “Non riesce a vedermi” spiegò al suo posto, “le succede solo con me, è come se avesse un blocco. Non lo so; non so spiegarlo, ma non mi vede ed è per questo che mi trattava male”.
    “Miriam, perché non ce l’hai detto?” le chiese Mary avvicinandosi.
    “Non c’è un perché, non ci riuscivo, mi bloccavo”.
    “Da quando ti succede questa cosa?” continuò a chiederle Antonella.
    “Da quando è venuto a presentarsi” le disse.
    “Com’è possibile una cosa del genere?” Antonella faceva fatica a crederci.
    “Non lo so, ma è così. Ho cercato su internet, ma non ho trovato niente, non so più che fare” nella voce di Miriam si percepiva benissimo tutta la sua frustrazione, “farei qualsiasi cosa pur di riuscire a vederlo”.
    “Miriam, usciremo da questa situazione” la rassicurò Masaki, “Jun e Sho ci daranno una mano, e anche Mary e Anto, vero ragazze?”
    “Sì, certo” gli rispose Mary, “ma Ohno vi ha vietato di vederci, come faremo?”
    “Ci penserà Nino a coprirci e a tenerglielo nascosto; penso che ormai l’avete capito che loro” rispose lasciando la frase in sospeso.
    “Che loro?” gli chiese Antonella.
    “È inutile girarci intorno, Kazu e Satoshi stanno insieme”.
    Antonella sgranò gli occhi, “cho-cho-chotto, puoi ripetere?” gli chiese incredula.
    "Kazu e Satoshi stanno insieme” le ripeté.
    “Perché? Da quanto?” continuò a chiedergli scattando in piedi.
    “Ehm circa tre anni; che ne so perché, si piacciono” disse in imbarazzo.
    “No, il mio Oh-chan… col nano malefico” disse abbandonandosi sulla sedia.
    “Perché questa reazione?” chiese Masaki incredulo.
    “È il suo ichiban” gli spiegò Mary.
    “E stava per fare a pugni con Jun” continuò a piagnucolare Antonella, “oddio, pugni, Jun, come sta?” chiese animandosi.
    “Sta bene, Sho e Nino li hanno separati, ma Jun si è arrabbiato parecchio”.
    “E Sho, come sta Sho?" chiese Mary preoccupata.
    “Sta bene, stanno tutti e due bene, sono solo arrabbiati” le rassicurò Masaki.

    Per tutto il tempo lo bombardarono di domande su quello che era successo, e anche se lui le aveva rassicurate, Anto e Mary continuavano a essere preoccupati per i loro ragazzi.
    Quella era la prima lite per gli Arashi e sicuramente non l’avevano presa bene.
    “Aiba-chan devi andare ora” gli disse Mary guardando l’orologio.
    “Allora buona notte ragazze!” disse guardandolo anche lui con aria triste.
    “Aspetta, ti accompagno” gli disse Miriam, Masaki l’aiutò ad alzarsi e mano nella mano andarono verso la porta. “Mi dispiace Masaki” disse abbassando lo sguardo, “la lite, Jun e Ohno che fanno a pugni; tutto questo casino l’abbiamo creato noi, abbiamo rovinato tutto. Oh-chan ha ragione”.
    “Miriam, non ci pensare nemmeno. Voi non avete fatto niente, e poi sono sicuro che neanche le pensa le cose che ha detto. Era solo nervoso, domani gli sarà passata. Ora va a letto, notte cucciola” le disse sorridente, la baciò e di corsa ritornò nella sua camera.

    Contrariamente da quello che pensava, il giorno dopo la situazione non cambiò.
    Ohno continuava ad essere arrabbiato, nonostante gli sforzi di Nino per farlo calmare e per tutto il giorno li tenne occupati. Aveva contattato i loro manager e si era fatto mandare l’agenda con tutti i loro impegni.
    Aveva chiamato anche la redazione di News Zero e lo staff tecnico dei concerti, scoprendo così che Jun non gli aveva mandato neanche una bozza, niente.
    Non li lasciò soli un attimo, non gli diede neanche la possibilità di parlare fra di loro; l’unico argomento concesso era, Arashi, tutto il resto era inutile.
    Per una settimana andò avanti con questa storia, ogni volta che incontravano le ragazze, lui li tirava via, impedendogli qualsiasi contatto.
    Un paio di volte gli aveva fatto saltare la colazione, perché sedute al loro solito tavolo c’erano le ragazze; oppure li aveva costretti a fare venti rampe di scale, perché non voleva prendere l’ascensore, aveva paura d’incontrarle.
    Fra di loro si era creata una spaccatura, il rapporto che avevano costruito in tutti quegli anni iniziò a sgretolarsi.
    Quel viaggio che avrebbe dovuto unirli ancora di più, si rivelò una lama a doppio taglio.

    “Non ce la faccio più!” esclamò Masaki, “devo uscire da questa stanza”.
    “Per andare?” gli chiese Jun.
    “Lo sai dove voglio andare” gli rispose serio, “è lo stesso posto dove vorreste andare anche voi due”.
    “Non farti venire strane idee” gli disse Sho con tono freddo, “farai arrabbiare il dittatore ancora di più e non voglio finire sulla forca a causa tua.”.
    “Ma anche noi abbiamo diritto ad avere una vita, l’hai detto anche tu Jun. E poi se non era per quell’incidente, non avrei mai scoperto che Miriam non può vedermi e avrei continuato a dubitare di Nino”.
    “Aspetta, che hai detto?” gli chiese Sho.
    “Miriam non riesce a vedermi, per questo si comportava in quel modo nei miei confronti e Nino lo sapeva, ma non mi ha detto niente” gli spiegò.
    “Quindi da quando le conosciamo, lei non ha mai visto la tua faccia?” s’intromise Jun.
    “Esatto perciò…” si bloccò all’istante.
    Ohno stava venendo verso di loro. “Perciò cosa?” gli chiese sedendosi sul divano.
    “Niente, stavo pensando ai goods. Pensavo che potremmo fare i cappellini” inventò Masaki sul momento, “e gli stavo chiedendo un parere”.
    “Penso che sia una buona idea, hai già pensato al design?”
    “Ehm no, ma ehm… pensavo che potremmo fare due modelli, uno in stile skater, mentre l’altro modello invernale, di lana con il pompon” gli spiegò cercando di nascondere il panico.

    Non aveva pensato per niente ai goods e quella scusa gli era uscita spontanea, “comunque dov’è Nino?” chiese per cambiare argomento.
    “Dorme, stanotte abbiamo fatto le ore piccole” rispose sghignazzando.
    “Vado in camera mia” disse Jun alzandosi, quelle parole gli diedero fastidio.
    “Che ha?” chiese Ohno.
    “Niente Satoshi,” gli rispose Sho, “ma con le tue imposizioni, ci hai tolto la cosa più importante. Ti sei mai chiesto come ci sentiamo ogni volta che le vediamo e tu ci costringi ad ignorarle, a fare finta di non vedere il loro viso passare da sorridente a triste, perché ci trascini via? Oppure ogni volta che tu e Kazu vi baciate o vi abbracciate davanti a noi, quando anche noi vorremmo fare lo stesso con loro? Ci stai togliendo anche la passione per il nostro lavoro”. E alzandosi andò anche lui in camera.

    Ohno abbassò gli occhi, Sho aveva perfettamente ragione e lui lo sapeva benissimo, ma aveva paura che quelle ragazze potessero creare problemi al gruppo e inoltre non voleva che i suoi amici soffrissero.
    Per quanto potevano essere innamorati le regole erano regole e il vecchio non avrebbe mai approvato una cosa del genere.

    “Oh-chan?” lo chiamò Masaki.
    “Esco” disse alzandosi e ignorandolo completamente andò verso la porta.

    Masaki lo guardò uscire, per la prima volta da quando avevano litigato li lasciò da soli. “JUN! SHO!” li chiamò urlando.
    “Ma che urli?” gli chiese Jun uscendo dalla sua stanza.
    “Ohno è uscito” gli disse allegro, non riusciva a stare fermo.
    “È uscito?!” chiese Sho incredulo.
    “Sì, è appena uscito” gli ripeté.
    Tutti e tre si scambiarono occhiatine e sorrisetti, pensavano esattamente la stessa cosa, volevano andare da loro, gli mancavano e volevano spiegargli il motivo del loro comportamento, ma invece di seguire il loro istinto andarono a svegliare Nino, dovevano chiarire quella situazione il prima possibile.
    “Nino! Ohi Nino!” lo chiamò Masaki dolcemente entrando nella sua stanza.
    “Baka così non si sveglierà mai” gli disse Sho ridendo, “KAZU SVEGLIATI!” iniziò a urlare.
    Nino si girò nel letto gemendo, “che volete?” gli chiese ancora con gli occhi chiusi e la voce impastata di sonno.
    “Dobbiamo parlare, alzati” gli disse Jun.
    Svogliatamente si alzò dal letto e li seguì nel salotto, solo dopo essersi seduto sul divano si rese conto che Ohno non c’era.
    “Dov’è Satoshi?” chiese preoccupato.
    “È uscito” gli rispose Masaki.
    “E che cavolo ci fate voi qui, andate da loro” gli disse indicando la porta.
    “Kazu veramente noi…” iniziò Sho.
    “Sho-chan sta zitto, non dovete dire niente” gli disse interrompendolo, “ora andate da loro” aggiunse sorridendo, “io raggiungo Satoshi, cercherò di tenerlo impegnato il più possibile, se è necessario vado anche a pesca con lui, ma ora uscite da questa benedetta suite e andate da loro”.
    “Arigatou Kazu!” gli dissero in coro.
    “Ancora qua siete, muovetevi” gli ordinò.
    Jun, Sho e Masaki scattarono subito in piedi, non vedevano l’ora di rivederle.
    “SALUTATEMI LE RAGAZZE” gli urlò mentre correvano verso l’uscita. Ritornò in camera, prese il cellulare dal comodino e chiamò Ohno.
    “Satoshi, dove cavolo sei, perché non rispondi?!”


    Capitolo 22
    Erano passati sette giorni da quando Masaki era piombato nella loro suite con la notizia che Ohno gli aveva vietato di vederle.
    Anto, Mary e Miriam fecero fatica ad abituarsi alla loro assenza, avevano passato tutto quel tempo insieme, che ormai si sentivano parte della famiglia, ma da quando Ohno aveva preso quella decisione, i ragazzi le avevano lasciate completamente da sole, mettendole in disparte e ogni volta che s’incontravano loro le ignoravano o cambiavano strada, perché il loro Riida li trascinava via.

    “Mi manca Jun” sospirò Anto, mentre cercava di risolvere quel maledettissimo cubo di Rubik, “ah~! Ti odio” disse scaraventandolo sul divano.
    “Anto che ti prende?” le chiese Miriam.
    “Niente quel coso m’innervosisce”.
    “E meno male che l’avevi iniziato a fare per scaricare i nervi” le disse Mary, per prenderla in giro.
    “Lo so” disse andando verso il divano per riprenderlo, “ma mi ricorda loro” aggiunse poggiandolo sul tavolo.
    Tutte e tre guadavano quel cubo in silenzio; i loro sguardi erano tristi, per quanto facessero finta di non esserci rimaste male, soffrivano per quella situazione.
    I ragazzi gli mancavano tantissimo.
    E tutto, anche le cose più banali glieli ricordavano, ovunque si girassero li vedevano.
    Erano così concentrate a guardare il cubo, che non si resero conto che stavano bussando.
    Mary scosse la testa, distogliendo i pensieri che le affollavano la mente, si alzò e andò ad aprire.
    Li guardava incredula, Jun, Sho e Masaki erano davanti a lei e la fissavano.
    “Mary possiamo parlare?” le chiese Sho rompendo il silenzio.
    Il cuore iniziò a batterle più velocemente; la sua voce risuonava nelle sue orecchie come una melodia, “dimmi” gli disse con tono freddo.
    “Possiamo entrare?” s’intromise Jun.
    Mary era titubante, da una parte li avrebbe fatti entrare senza problemi, ma dall’altra invece, voleva lasciarli lì e magari chiudergli anche la porta in faccia.
    “Mary ti prego!” la supplicò Masaki.
    “Okay!” rispose.
    La seguirono in silenzio nel soggiorno, camminavano con la testa bassa in imbarazzo, anche se Ohno gli aveva vietato di vederle, loro non avevano fatto niente per cercarle, per dargli una spiegazione e sì sentivano in colpa per questo.
    Anto e Miriam appena li videro, rimasero scioccate, non riuscivano a parlare.
    “Vi siete rotte di nuovo?” chiese Sho ironico, cercando di farle ridere.
    “Che ci fate qui?” disse Antonella continuando a fissarli.
    “Siamo venuti a scusarci” le rispose Jun, “ragazze ci dispiace, ma Ohno ci ha vietato di vedervi. Ha chiamato i nostri manager e si è fatto mandare l’agenda con tutti i nostri impegni. Ci ha praticamente chiuso nella suite, costringendoci a lavorare”.
    “E come mai ora vi ha fatto uscire?” gli chiese Mary.
    “Non ci ha fatto uscire, siamo scappati” rispose Sho, “Mary davvero mi dispiace, ma non sapevo che fare, ti prego perdonami” le disse con voce triste, era veramente dispiaciuto per quella situazione.
    Lei lo guardava confusa, non sapeva cosa fare, anche se lui si era scusato, non dimenticava la sensazione d’abbandono che aveva provato in quei giorni, ma il cuore prevalse sulla ragione, “mi sei mancato Sho” gli disse buttandosi fra le sue braccia.
    “Anche tu piccola” le rispose stringendola, “più di quanto pensi”.
    Jun guardava Antonella, sperava in una reazione simile, ma lei si alzò e andò in camera sua, anche se conosceva il motivo del loro allontanamento non riusciva a non essere arrabbiata, quei giorni erano stati davvero difficili per lei.
    Jun la seguì, “Anto che hai?” le chiese entrando.
    “Niente Jun!” gli rispose, “per favore esci”.
    Lui la guadava incredulo, tutto si aspettava, ma non quella reazione, “Anto spiegami” le disse avvicinandosi.
    “Non c’è niente da spiegare Jun” disse, faceva fatica a parlare, aveva un nodo in gola, “ma quando Masaki è venuto qui per dirci quello che era successo, e che tu stavi per fare a pugni con Ohno, io…” non riuscì a finire la frase, le lacrime iniziarono a bagnarle il viso.
    Jun la prese dal braccio e l’avvicinò a se, la strinse forte fra le sue braccia.
    “Ero così preoccupata per te”.
    “Mi dispiace, non volevo farti preoccupare” le disse serio, “ma ho reagito d’impulso. L’idea di non rivederti mai più, non mi piace”.
    Antonella si strinse di più fra le sue braccia.
    “Non ti lascio più, sei la mia vita ora, e non permetterò mai più che qualcuno ci separi” continuò a dirle.
    “Jun ti amo” gli disse senza riflettere, le parole le uscirono di bocca.
    “Ti amo anch’io Antonella Perri” le disse poggiando una mano sul viso e piegando la testa, la baciò.
    Era un bacio diverso dal solito, più frenetico, passionale; si percepiva la voglia che aveva di lei. Antonella indietreggiò fino ad arrivare al letto, senza staccarsi l’uno dall’altro si sdraiarono. Jun le mise una mano sotto la schiena e la spinse di più verso il suo corpo, in lei cresceva sempre di più la voglia di lui, incrociò le gambe dietro la sua schiena.
    Non riuscirono più a controllare i loro corpi.
    Antonella stava iniziando a sbottonargli la camicia, era arrivata all’ultimo bottone, quando sentirono urlare “MIRIAM PARLAMI, CHE TI PRENDE!” si staccarono immediatamente, erano talmente presi dalla situazione, che avevano dimenticato che nella stanza affianco c’erano i loro amici.
    Jun velocemente si abbottonò la camicia e dopo essersi sistemati uscirono dalla stanza.
    “Che succede?” chiesero in coro.
    “Miriam che ti prende?” continuava a chiederle Masaki.
    Ma lei non riusciva a rispondere, lo guardava fisso, “io, vedo…” iniziò, ma fu subito interrotta da lui.
    “Mi vedi? Riesci a vedermi?”
    “No” rispose, “ma vedo un alone intorno a te. Ehm… un'aurea; non so come definirla, ma prima non c’era”.
    Sho e Jun la guardavano senza capire, avevano completamente dimenticato quello che Masaki gli aveva detto quel pomeriggio.

    “Aspetta, fammi capire” le disse camminando avanti e dietro di fronte a lei.
    “Guarda Aiba-chan” s’intromise Mary, “ti segue con lo sguardo”.
    Masaki era incredulo, continuava a muoversi davanti a lei, Miriam seguiva ogni suo movimento.
    “Ehm… qualcuno ci può spiegare cosa sta succedendo?” chiese Sho confuso
    “Sho-chan, ve l’ho detto prima, Miriam non riesce a vedermi”
    “E ora ti vede?” chiese Jun.
    “No, non lo vedo. Prima lo percepivo e basta, non vedevo niente di lui, era praticamente invisibile. Ma ora vedo una macchia che cammina” gli spiegò.
    I ragazzi erano sempre più confusi, “non ci sto capendo niente” disse Sho.
    “Lascia perdere; stasera ti spiego; quando ti ci metti sei proprio duro a capire” gli disse Masaki mentre andava in cucina per prendere una sedia. Ritornò nel soggiorno e si sedette di fronte a lei, “allora Miriam, ora vedi una macchia giusto?”
    “Esatto” rispose con aria confusa.
    “Bene, allora oggi è successo qualcosa di particolare? Che ne so, sei caduta, hai sbattuto la testa o cose del genere?”

    Antonella non gli diede il tempo di rispondere “è caduta” esclamò, “non oggi, ma il giorno che vi abbiamo conosciuto”.
    “È vero, ora ricordo” s’intromise Sho, “Ohno ti è caduto sopra”.
    Masaki si voltò verso di loro “COSA?!” la sua voce si alzò di un paio di toni.
    “Lei usciva dal bagno, Ohno è inciampato e sono caduti uno su l’altro” gli spiegò Jun, “ma ora lascia perdere ste cose. Miriam hai percepito qualcosa quel giorno?”
    “Ehm no. Quando sono caduta no, ma ora che ci penso, quando siamo arrivate nella stanza... ehm ho aperto la finestra e…” non finì la frase si alzò di scatto e andò dritta nella stanza di Mary, cercava qualcosa.
    Tutti e cinque la seguirono, non capivano cosa stesse facendo. “Dov’è?” continuava a ripetere.
    “Miriam dov’è cosa?” le chiese Mary.
    “Il foglio rosso, non lo trovo!” esclamò, mentre andava nella sua camera; prese la salopette e iniziò a cercare nelle tasche.
    “Quale foglio?” continuò a chiederle.
    “Quello su cui ti avevo scritto che io e Anto eravamo uscite, il giorno in cui siamo arrivate”.
    “Miriam io non ho trovato nessun foglio” le spiegò “per questo mi sono arrabbiata”.
    Lei si bloccò all’istante, la salopette le cadde dalle mani “è sparito” pensò, mentre guardava il vuoto.
    Masaki la prese per mano e la fece sedere sul letto, “Miriam, puoi spiegarci di che foglio stai parlando?” le chiese gentilmente.
    Lei rispose con un cenno della testa, prese un paio di respiri e iniziò a spiegargli tutto quello che era successo quel giorno; della strana sensazione che provò quando una folata di vento entrò nella stanza, di come aveva trovato quel bigliettino e della scritta che era sparita.
    “Riesci a ricordare cosa c’era scritto?” le chiese Sho.
    Lei scosse la testa.
    “Miriam cerca di ricordare” la supplicò Masaki “di sicuro dev’essere collegato con quello che ti sta succedendo”.
    “Ci sto provando” gli disse alzandosi.
    Iniziò a girare per la stanza, l’osservavano in silenzio, la sua espressione era seria, concentrata, sembrava quasi di riuscire a vedere gli ingranaggi nella sua testa girare. “Un filo rosso” esclamò dopo qualche minuto di silenzio, “parlava di un filo rosso legato alla mano o qualcosa del genere”.

    Masaki, Jun e Sho si scambiarono occhiate, sapevano perfettamente di cosa stava parlando, “Unmei no Akai Ito” esclamarono contemporaneamente”.
    “Unmei cosa?” chiese Mary.
    “Unmei no Akai Ito è una vecchia leggenda” le spiegò Sho, “secondo la quale, tutti noi fin dalla nascita portiamo un filo rosso legato al mignolo, che ci lega alla nostra anima gemella”.

    Il viso di Miriam s’illuminò a sentire quelle parole, “esatto, c’era scritto questo”.
    “Bene! almeno sappiamo da dove dobbiamo partire, per cercare una soluzione” intervenne Masaki allegro.
    “Sì, ma come farete a cercarla? E soprattutto dove la cercherete?” gli chiese Antonella, riportandoli alla realtà.
    Miriam abbassò lo sguardo, nessuno di loro sapeva come fare.
    “E poi dobbiamo anche considerare che Oh-chan non ci lascia uscire” disse Jun.
    “Certo che voi due…” stava dicendo Masaki, ma fu interrotto da un rumore proveniente dall’entrata, qualcuno stava bussando.
    Si bloccarono tutti all’istante.
    “Nascondetevi nell’armadio” suggerì Mary, “io vado ad aprire, e voi due fate finta di dormire, così eviteremo di farci scoprire” disse alle sue amiche. Tutti e cinque eseguirono gli ordini senza ribattere; i ragazzi si chiusero nell’armadio e Miriam e Anto si misero a letto.
    Mary andò verso l’entrata, aveva già inventando la scusa da dire a Ohno, ma quando aprì la porta si ritrovò Nino davanti, era agitato. “Tutto okay?” gli chiese preoccupata.
    “No, dove sono i ragazzi, gli devo parlare”.
    “Li vado a chiamare, entra”
    “No, aspetto qua.”
    Mary di corsa andò a chiamarli, e insieme lo raggiunsero all’entrata.
    “Kazu che succede?” gli chiese Sho.
    “Satoshi ha lasciato il telefono nella suite, dovete sbrigarvi, io vado giù nella hall. Quando lo vedo arrivare vi faccio uno squillo, così voi ritornate nella nostra camera”.
    “Grazie Nino” le dissero Mary e Anto in coro.
    Lui rispose con un sorriso. Si voltò e di corsa raggiunse la hall, si appostò a sinistra della balconata, aspettando Ohno.
    Le ragazze seguite da Jun, Sho e Masaki ritornarono nel soggiorno, ognuno di loro pensava a un modo per poter aiutare Miriam.
    “Mi è venuta un idea” disse Sho rompendo il silenzio, “a turni io, Jun e Nino ci organizzeremo per coprirvi” disse indicando Miriam e Masaki, “faremo credere a Ohno che andiamo a lavorare in giardino o da qualche altra parte, e invece veniamo qui dalle ragazze, così voi sarete liberi di cercare, senza preoccuparvi di essere visti e noi uniamo l’utile al dilettevole” aggiunse sorridendo.
    “E se Ohno decide di andare in giardino?” gli chiese Masaki.
    “Non andrà in giardino, se ci sarà Nino a tenerlo occupato” gli rispose Jun sghignazzando.
    “Okay, ci sto” disse Masaki allegro.
    Le ragazze li guardarono titubanti, per quanto il piano di Sho fosse perfetto, avevano paura di scatenare l’ira di Ohno e di farli litigare di nuovo.
    “Ragazze tranquille” disse Jun, notando le loro facce preoccupate, “andrà tutto bene”.
    “Già, questa volta non ci faremo scoprire” le rassicurò Sho.
    “Miriam, non preoccuparti” le disse Masaki abbracciandola, “non succederà niente, e troveremo il modo per farti riacquistare la vista”.
    Lei fece un cenno della testa e si strinse a lui, oltre a vedere la sua ombra, ora lo percepiva ancora di più, sentiva il peso del suo corpo. “Ehm Masaki, vibri” gli disse sciogliendo l’abbraccio.
    Lui la guardava, senza capire.
    “Baka!” intervenne Jun, “ti sta squillando il telefono”.
    “È Nino, dobbiamo andare” disse leggendo il nome sullo schermo.
    Salutarono le ragazze e di corsa raggiunsero la loro camera, arrivarono qualche minuto prima loro.
    “Okaeri” dissero in coro appena entrarono.
    “Ta-tadaima!” esclamò Ohno, c’era qualcosa di diverso in lui, il suo sguardo era ritornato quello di sempre, sembrava molto più rilassato rispetto ai giorni scorsi.

    Quell’uscita gli aveva fatto sicuramente bene, ma Jun, Sho e Masaki evitarono di affrontare l’argomento ragazze, il giorno dopo avrebbero dato il via al loro piano in qualsiasi caso.
    Il resto della giornata trascorse in maniera tranquilla, la prima dopo una settimana di liti, discussioni e silenzi.
    Durante la cena ricordarono quei sedici anni passati insieme, nessuno di loro poteva immaginare che quel giorno della conferenza stampa alle Hawaii le loro vite sarebbero cambiato per sempre.
    Dopo il mondiale di pallavolo, infatti si ritrovarono catapultati in un mondo nuovo, in cui non è facile sopravvivere, in un mondo in cui la tua vita diventa di dominio pubblico, in cui devi rinunciare a tutto, avvolte anche alla famiglia, perché gli impegni lavorativi vengono sempre prima di tutto, perché la felicità altrui viene sempre prima della tua.
    Erano riusciti ad andare avanti, facendosi forza a vicenda e a sostenersi nei momenti difficili; fra di loro si era creato un legame speciale, basato sul rispetto e la fiducia reciproca. Erano diventati come una famiglia; sapevano di non essere soli, che avrebbero sempre potuto contare l’uno sull’altro.
    Ed era proprio grazie a questo legame, all’impegno, all’amore e alla passione per il loro lavoro che erano arrivati ad essere il gruppo più importante della Johnny’s e a raggiungere quell’obiettivo che si erano prefissati tanti anni fa quando erano ancora dei ragazzini, sognavano di essere i migliori, e ce l’avevano fatta.
    Il duro lavoro che avevano fatto in sedici anni era stato ripagato.

    “Sho-chan?!” l’ho chiamò Masaki.
    “Dimmi!?” disse esasperato, era la seconda volta che lo svegliava nel cuore della notte.
    “Secondo te riusciremo a trovare una soluzione?” gli chiese con voce triste.
    “Masaki sta tranquillo, esiste sempre una soluzione per qualsiasi problema e sono sicuro che anche per questo ci sia”.
    “Sì, ma se non riusciamo a trovarla?”
    “La troveremo, intanto domani andate in biblioteca e cercate qualcosa sui miti e leggende del luogo; sicuramente ci sarà qualcosa di simile alla vostra situazione”.
    “Ma stiamo parlando di leggende, sono cose inventate”.
    “È quello che pensavo anche io, ma evidentemente non è così. Ora piantala di arrovellarti il cervello e dormi”.
    “Ma se non…” iniziò a dirgli, ma Sho lo bloccò.
    “Masaki lascia perdere i ma e i se e dormi, domani ci aspetta una giornata pesante”.
    “D’accordo. Oyasumi Sho-chan” gli disse girandosi di spalle.

    Quella notte non riuscì a chiudere occhio, era troppo agitato e preoccupato per dormire.
     
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    Capitolo 23
    Sho si rigirò nel letto svegliandosi; aveva passato una nottata infernale, Masaki non gli aveva fatto chiudere occhio, lo svegliava in continuazione per fargli domande di qualsiasi tipo.
    Era riuscito ad addormentarsi solo quando le prime luci dell’alba iniziarono a illuminare la stanza.
    Si girò verso di lui e lo vide che dormiva profondamente, senza fare rumore si alzò e uscì dalla stanza, doveva parlare con Nino e Jun per pianificare al meglio gli incontri clandestini con le ragazze.
    Li trovò sul terrazzo; Jun aveva già spiegato tutto a Nino e lui aveva accettato ben volentieri.
    “Dov’è Masaki?” gli chiesero appena lo videro.
    “Sta dormendo, stanotte non riusciva ad addormentarsi e non ha fatto dormire neanche me” gli rispose mentre si sdraiava sul divanetto in vimini, “mi ha riempito di domande”.
    “Beh, per lui non è facile questa situazione, anche se non lo dà a vedere e davanti a Miriam fa il forte, in realtà è spaventato, e forse lo sarei anche io al suo posto” disse Nino.
    “Sembra quasi uno scherzo. Andiamo è ridicola come cosa!” intervenne Jun scettico, “stiamo parlando di leggende”.
    “Già, ma purtroppo è tutto vero” gli rispose Nino.

    Tutti e tre abbassarono lo sguardo, si sentivano in colpa per come l’avevano trattato durante la settimana d’isolamento forzato.
    Non solo gli avevano scaricato la colpa di tutto addosso, ma ogni volta trovavano sempre un motivo per rinfacciarglielo e per rimproverarlo. Nonostante tutto però Masaki era sempre sorridente, cercava sempre un modo per farli ridere e per farli riappacificare fra di loro.
    Per lui quella settimana era stata più difficile rispetto agli altri, non riusciva a concentrarsi sul lavoro, non riusciva a memorizzare i testi di alcune canzoni a cui Jun aveva apportato delle modifiche, non riusciva nemmeno a pensare ai goods.
    La sua testa era da altre parti, pensava a come risolvere il problema di Miriam, trascurando tutto il resto.

    “Forse abbiamo un pò esagerato con lui” disse Sho serio, “provate a immaginare come si sentirebbe se Miri-chan una volta riacquistata la vista si rendesse conto che in realtà non gli piace. Io ci rimarrei malissimo”.
    Jun e Nino, si sentirono ancora più in colpa a sentire quelle parole, soprattutto Jun, lui era quello che l’aveva trattato peggio di tutti, lo sgridava anche quando non faceva niente, “raga dobbiamo assolutamente aiutarlo a risolvere questo problema” disse serio, “Sho tu hai qualche idea?”
    “Uhm, ieri gli ho detto di andare in biblioteca, magari li trovano qualcosa”.
    “Perfetto, allora dobbiamo solo decidere chi farà il primo turno” gli rispose. E come al solito se la giocarono a jankan.
    Il primo che avrebbe dovuto coprirli sarebbe stato Jun, poi Sho e per finire Nino.
    “Quando sarà Nino a uscire con Masaki, sarò io a tenere occupato Ohno” gli disse Jun mentre entravano; gli era venuta fame e volevano cucinare qualcosa.
    “Minna vi va di andare a pranzare giù al ristorante?” gli chiese Ohno entrando in cucina, “perché mi guardate così?” aggiunse notando le loro espressioni.
    “Ehm… niente, ma è una settimana che ci tieni segregati qui dentro” rispose Sho.
    “Ecco, raga, riguardo al mio comportamento di questa settimana… ecco, forse ho un pò esagerato a chiudervi nella suite, ma veramente non voglio che le rivediate, creano solo problemi. Basti solo pensare che per colpa loro abbiamo litigato” gli disse un pò in imbarazzo.

    Sho e Jun lo guardarono sbalorditi, ancora continuava a scaricare la colpa sulle ragazze senza capire, che in realtà il problema era proprio lui.
    “Andiamo al ristorante!” esclamò Nino, prendendo Ohno per mano e tirandolo verso la porta, aveva notato l’espressione dei suoi compagni e non voleva che litigassero di nuovo.
    Sho e Jun li seguirono in silenzio, mordendosi le labbra per evitare di parlare.
    “Ehi, dove andate?” gli chiese Masaki uscendo dal bagno.
    “Oggi il nostro Riidaa ha deciso che possiamo andare a pranzare al ristorante!” gli rispose Jun con tono sarcastico.
    “Veramente?” chiese incredulo.
    “Eh sì” rispose Sho, “e ci conviene anche sbrigarci prima che cambi idea” continuò a dire, “perciò noi iniziamo ad andare; tu vestiti e raggiungici, ti aspettiamo al solito tavolo” e chiudendo la porta aggiunse “abbiamo deciso l’ordine dei soli, il primo sarà Jun”.
    In silenzio scesero al ristorante e presero posto al loro tavolo.
    Sho e Jun istintivamente osservarono tutta la sala sperando di vederle, anche solo un attimo, ma non fu così e un pò delusi abbassarono gli occhi sul menù.
    “Miri-chan!” sentirono esclamare dopo qualche secondo, Nino non riuscì a trattenersi, si alzò e andò dritto da lei e l’abbracciò.
    “Ehm…Kazu che fai?” gli chiese.
    Tutti e cinque li guardavano con sguardo incredulo.
    “Sta zitta e reggimi il gioco” le sussurrò in un orecchio, “che c’è, ora non posso neanche salutarti?!” le disse sciogliendo l’abbraccio, “perché non vi sedete con noi e da tanto che non mangiamo insieme” le disse trascinandola dal braccio.
    Ohno lo fulminò con gli occhi, ma non riuscì a parlare; Sho e Jun continuavano a guardarlo, non capendoci nulla.
    Anto e Mary si sedettero vicino ai loro ragazzi e iniziarono a scambiarsi sguardi e sorrisetti.

    “Ehm…mi sono perso qualcosa?” chiese Masaki appena arrivò al tavolo.
    “No, non ti sei perso nulla. Nino ha deciso che oggi mangeremo tutti insieme” gli rispose Ohno, con un tono leggermente infastidito. E per quanto cercasse di nasconderlo gli si leggeva in faccia che si stava infuriando.
    Masaki si sedette accanto a Miriam, prendendole subito la mano, per farle sentire la sua presenza, “vedi ancora una macchia o è cambiato qualcosa?” le chiese sottovoce.
    “No, sei ancora una macchia” rispose abbassando lo sguardo.
    “Tranquilla, pomeriggio andiamo in biblioteca e cerchiamo qualcosa” le disse sorridendo.

    Per tutto il pranzo parlarono normalmente, come se niente fosse successo, sembrava che tutto fosse ritornato alla normalità. Ma l’unico a ricordargli la dura realtà era Ohno, continuava a guardare le ragazze di traverso, facendole sentire a disagio.
    In più, ogni volta che gli chiedevano qualcosa, lui rispondeva con un tono freddo e acido.

    “Bene abbiamo mangiato, andiamo ora!” gli ordinò alzandosi.
    “Ehm sì” gli rispose Sho abbassando lo sguardo, “ci vediamo in giro” aggiunse alzandosi.
    Jun, Nino e Masaki le salutarono e li seguirono in silenzio.
    Ohno arrivò in cima alle scale e chiamò l’ascensore, dopo che tutti furono entrati schiacciò il tasto 20.
    Nessuno aveva il coraggio di parlare.
    Sicuramente Nino aveva avuto un buon motivo per comportarsi in quel modo, ma non riuscivano a capire quale fosse.
    L’ascensore si fermò, Ohno uscì e velocemente percorse il corridoio fino alla stanza 16.
    OHNO SATOSHI ACCESSO ESEGUITO!
    Entrò e andò dritto in camera sua, sbattendo la porta.
    “Okay, ci siamo” disse Nino prima di entrare nella suite, “Jun aspettate finché non sentite più urlare e poi andate. Vi posso dare circa due ore, al massimo tre, se poi si mette a dormire. Perciò fatevele bastare”.
    “Perfetto, due ore saranno più che sufficienti”.
    Entrarono anche loro nella suite, Nino raggiunse Ohno nella loro stanza, mentre Sho, Jun e Masaki si sedettero sul divano, aspettando il segnale.

    “Oh-chan che hai?” gli chiese entrando.
    “Kazu esci fuori da questa stanza” gli rispose acido, ma invece di uscire, si sdraiò di fianco a lui. “MI LASCI IN PACE!” gli urlò spazientito.
    “Dai Satoshi, non farla così lunga, abbiamo solo pranzato con loro”.
    “MA TU LO SAI CHE NON VOGLIO CHE CI SIANO PIÙ CONTATTI CON QUELLE RAGAZZE!”
    “Okay, scusa non sono riuscito a controllarmi, mi è venuto spontaneo” gli disse con tono dispiaciuto. “Dai mi perdoni” continuò a dirgli punzecchiandolo sul fianco.
    Per quanto ci provasse Ohno non riuscì a rimanere arrabbiato, si girò sul fianco mettendosi di fronte a lui, “non lo so se ti perdono” gli disse con finto tono offeso.
    “Conosco un buon modo per farmi perdonare” gli disse Nino mentre gli sbottonava i jeans.
    Ohno gli bloccò la mano, “e no, prima del perdono, devi ricevere la punizione” disse con voce roca e con sguardo malizio.
    Nino sorrise a quelle parole, aveva raggiunto il suo scopo, solo cosi avrebbe potuto garantire ai suoi amici la massima copertura.

    “Quel ragazzo è un genio” disse Sho serio, “ora ho capito perché si è comportato in quel modo. Voleva farlo arrabbiare, così da avere una scusa per tenerlo chiuso nella stanza. È un genio!” ripeté incredulo.
    “Jun, non urlano più” gli disse Masaki.
    Jun prese i fogli su cui stava prendendo appunti per il concerto e in silenzio si diresse verso la porta seguito da Masaki. “Ittekimasu!” disse uscendo.
    “Itterashai!” gli rispose Sho sottovoce, per evitare di essere sentito.
    Chiuse la porta e andò sul terrazzo, per memorizzare delle informazioni per News Zero.

    “Forse non ci sono” disse Masaki.
    “Ohi raga, scusate non abbiamo sentito, è da tanto che state bussando?” gli chiese Miriam dopo aver aperto la porta.
    “Cinque minuti più o meno” rispose Jun entrando, “ehi principessa!” disse sedendosi vicino ad Antonella, “tutto okay?” aggiunse notando la sua espressione.
    “Si tranquillo, eravamo solo un pò preoccupate, pensavamo che avevate litigato di nuovo” gli disse seria.
    “Tranquille” le rassicurò Masaki, “Nino l’ha fatto apposta a farlo arrabbiare”.
    “E perché?” gli chiese Mary confusa.
    “Così ha qualcosa da farsi perdonare” le spiegò Jun, “ci ha assicurato due ore di copertura, perciò, datevi una mossa” aggiunse indicando Miriam e Masaki.
    “Allora ci vediamo fra due ore!” gli disse Masaki andando verso la porta seguito da Miriam, “ittekimasu!” dissero in coro uscendo.
    “Ehm raga, esco anch’io” disse Mary alzandosi dalla poltrona e dirigendosi in camera sua prese la borsa e in silenzio uscì dalla suite; si sentiva di troppo.
    Rimasti soli Jun si mise subito a lavorare, stava progettando il palco per il concerto.
    Antonella lo fissava, la sua espressione era seria, non l’aveva mai visto così concentrato e non riusciva a staccargli gli occhi di dosso.
    “Che ne pensi?” le chiese mostrandole lo schizzo.
    “Ehm, Jun, cos’è?” chiese rigirandosi il foglio fra le mani.
    “Baka è il palco!” esclamò riprendendolo, offeso.
    “Dai Jun, scherzavo!” gli disse facendogli il solletico sui fianchi, ma lui non rise; il suo sguardo era serio, glaciale. “Jun scherzavo davvero!” gli ripeté.
    “Ohno l’avrebbe disegnato meglio, vero?”
    “Che vuoi dire? Che c’entra Ohno adesso?” gli chiese, non riusciva a capire perché sì stava arrabbiando.
    “Niente!” si alzò e uscì sul terrazzo.
    Antonella lo guardava sempre più confusa, “Jun che hai?” gli chiese avvicinandosi, ma lui non rispose, continuava a guardare il panorama di Malta.
    Lei gli prese il viso fra le mani, “Jun stavo scherzando, davvero. So che è un periodo difficile per te, ma stai facendo un ottimo lavoro e okay, Ohno l’avrebbe disegnato meglio, ma chi se ne frega. Tu sei il genio dei concerti ed e grazie a te se gli Arashi sono così famosi”.
    Lui alzò gli occhi e la vide sorridere, quel sorriso gli mozzava il fiato.
    “Sono orgogliosa di te” continuò a dirgli.
    Jun le spostò la frangia che le copriva gli occhi e dolcemente le sfiorò la guancia, “scusami non volevo risponderti male” le disse, “ma sono insicuro su tutto e qualsiasi cosa mi fa scattare”.
    “Tranquillo, non devi scusarti”, si avvicinò di più a lui e gli diede un bacio sul collo.
    Al contatto delle sue labbra sulla sua pelle, la strinse a se con un movimento rapido, sentì il desiderio di lei crescere sempre più in lui.
    “Vieni” gli sussurrò Anto nell’orecchio e prendendolo dal passante della cintura dei pantaloni lo trascinò in camera.
    Si guardavano maliziosamente e senza mai staccarsi gli occhi di dosso si sdraiarono sul letto.
    Antonella si accoccolò fra le sue braccia, accarezzandogli il collo. Il suo respiro le faceva il solletico. Jun alzò il viso e la baciò. Lei si lasciò trasportare da lui, questa volta nessuno li avrebbe interrotti.

    “Masaki tutto okay?” gli chiese Miriam, da quando erano usciti non le aveva rivolto la parola, le camminava affianco stringendole la mano con lo sguardo perso nel vuoto. “Masaki?!” lo chiamò distogliendolo dai suoi pensieri.
    “Nani?”
    “Che ti prende?”
    “Niente tranquilla, dai andiamo, altrimenti faremo tardi” le rispose stringendole la mano.
    Arrivarono alla Biblioteca Nazionale di Malta, un’enorme palazzo settecentesco in pietra bianca; entrarono e andarono dritti alla reception, “ehm… salve, può dirci dove possiamo trovare libri sui miti e leggende?” chiese Miriam alla signora dietro la scrivania.
    Lei senza neanche staccare gli occhi dall’enorme registro sulla quale stava scrivendo le disse “secondo piano a destra, sezione ragazzi, quinto scaffale”.
    “Grazie” risposero in coro.
    “Quella donna mette i brividi” le disse Masaki, mentre salivano le scale. Seguirono le indicazioni ed entrarono in un enorme stanza dall’alto soffitto, illuminata da piccoli lampadari appesi alle pareti; gli scaffali in legno di noce erano divisi in sezioni, in base al genere del libro: fiabe e favole, libri d’avventura, gialli e spionaggio, fumetti e tanti altri.
    Loro andarono dritti alla sezione miti e leggende, tirarono fuori una marea di libri e iniziarono a sfogliarli.
    Masaki teneva sotto controllo l’orario, erano passati quaranta minuti da quando erano usciti.
    Sfogliarono un libro dietro l’altro, lessero leggende su spiriti di luce, creature marine e ninfe dei boschi.
    Ne lessero una su una splendida creatura marina, metà donna e metà pesce, che ammaliava le sue vittime con il suo canto.

    “Un giorno notò un pastore e tentò di ammaliarlo, ma invano.
    L’amore che provava per la sua giovane sposa gli permise di rifiutare senza alcuna fatica la bella sirena. Ella, infastidita da tale rifiuto, decise di vendicarsi, di ucciderli. Un giorno li vide su uno scoglio e si ingelosì, con la sua coda e con il suo fiato provocò un vento così forte da dividerli, facendoli sbattere contro le pareti degli scogli uccidendoli.
    Separò i loro corpi sulle punte opposte del golfo, in modo che nessuno potesse unirli.
    Minerva impietosita da quella sciagura, trasformò i due giovani in pietra, come simbolo d’eternità”.


    “Qui non c’è niente” disse Miriam dopo aver sfogliato l’ennesimo libro.
    “Sta tranquilla, magari non abbiamo trovato ancora quello giusto” le disse rassicurandola.
    “E se non lo troviamo?!” esclamò lei con voce un pò troppo alta, attirando l’attenzione delle persone sedute intorno a loro.
    “Miriam, ci deve essere un modo per uscire da questa situazione. Noi lo troveremo. Io la troverò, fosse anche l’ultima cosa che faccio, ti farò riacquistare la vista a qualsiasi costo” le disse serio.
    In quel momento entrambi rabbrividirono, si voltarono guardandosi alle spalle, ma dietro di loro non c’era nessuno. “Che strana sensazione” dissero girandosi.
    Masaki guardò l’orologio, mancavano quindici minuti alle 17.00, il tempo a loro disposizione stava per finire, “Miriam dobbiamo andare” le disse alzandosi.
    Rimisero i libri al loro posto e uscirono, sentendo ancora quella strana sensazione, come se fossero osservati.
    In silenzio ritornarono in hotel e un pò delusi entrarono nella suite 11, “avete trovato qualcosa?” gli chiese Mary seguendoli nel salotto.
    “Niente che faccia al caso nostro” le rispose Miriam sempre più sconsolata.
    “Domani andiamo di nuovo” intervenne Masaki, “non abbiamo guardato tutto; sicuramente troveremo qualcosa” aggiunse cercando di tirarla un pò su di morale.
    “Se lo dici tu” gli rispose accoccolandosi vicino a lui sul divano.
    “Ohi Masa, sei tornato” gli disse Jun uscendo dalla cucina, “dobbiamo andare” aggiunse, andando verso la porta, ma si bloccò prima di raggiungerla, qualcosa attirò la sua attenzione.
    Si avvicinò al tavolino vicino il divano e lo prese, era il cubo di Rubik con cui giocava Antonella il giorno prima, “di chi è?” chiese alzandolo.
    “È mio” rispose lei, “perché?”
    “Posso prenderlo?” le chiese ignorando la domanda.
    “Certo, ma che ci devi fare?”
    Lui non rispose, nella sua testa si stava formando chissà quale idea e senza neanche salutare uscì andando dritto nella sua suite.
    “A domani cucciola” la salutò Masaki, “se ci sono cambiamenti fammelo sapere, questo è il mio numero di telefono, puoi chiamarmi a qualsiasi orario” e dopo averle dato un bacio raggiunse Jun.
    Miriam chiuse la porta e andò a buttarsi sul suo letto, coprendosi la testa con il cuscino, chiaro segnale che non voleva parlare con nessuno.
    Si rannicchiò nel letto, alcune lacrime le bagnarono il viso, si sentiva frustrata, arrabbiata per quella situazione, non riusciva a trovare una spiegazione logica, “perché doveva succedere proprio a me” pensò mentre stringeva fra le mani il bigliettino con su scritto il suo numero e abbracciando Danny finì per addormentarsi.

    Jun e Masaki ritornarono dopo due ore esatte, Jun andò dritto nella stanza di Nino e Ohno, doveva parlare assolutamente con Satoshi, doveva dirgli l’idea che gli era venuta e aveva bisogno del suo aiuto.
    “Oh-chan! Svegliati!” gli disse tirandolo dal braccio.
    “Che vuoi? Lasciami dormire!” si lamentò rigirandosi nel letto e rimettendosi a dormire.
    Jun andò in cucina e riempì un bicchiere con acqua fredda.
    Sho e Nino lo guardavano senza capire, “che ti prende?” gli chiese Nino, ma lui lo ignorò ed entrò di nuovo nella loro camera.
    “Oh-chan!” lo chiamò, ma lui continuava a dormire come un sasso, posizionò il bicchiere sulla sua testa e glielo versò addosso.
    Ohno si svegliò di scatto, “alzati; dobbiamo parlare” gli disse passandogli un asciugamano.
    Si alzò e lo seguì sul terrazzo un pò infastidito, velocemente gli spiegò la sua idea, nel suo sguardo c’era una luce nuova, che i suoi compagni non avevano mai visto.
    “Puoi disegnarlo?” gli chiese con tono speranzoso, “così lo faxiamo all’agenzia e iniziano a lavorarci”.
    “Sì, non è un problema” gli rispose entusiasta, “ma quanti ne vuoi fare?”
    “Cinque, uno per ognuno, sospesi in aria”
    “Bene, allora mi metto subito a lavoro” gli disse e prendendo il suo blocco da disegno, si mise subito all’opera.
    Masaki ignorando i suoi amici, andò dritto in camera sua.
    Si sdraiò sul letto, guardava il braccialetto che portava al polso, “devo trovare una soluzione” pensò girandosi sul fianco.
    “Tutto okay?” gli chiese Sho entrando.
    “Oh sì, tutto okay, tranquillo” gli rispose.
    “Masaki, non sei mai stato bravo a mentire” gli disse sedendosi di fianco a lui, “perciò sputa il rospo e parla”.
    “Sho-chan davvero è tutto okay. Voglio solo risolvere questo problema il prima possibile”.
    “Non avete trovato niente?” continuò a chiedergli.
    Lui scosse la testa abbassando gli occhi, si sentiva un nodo in gola, non riusciva a parlare, sapeva che se ci avesse provato le lacrime avrebbero preso il sopravvento.
    Sho gli scompigliò i capelli, “Aiba-chan mi dispiace per le cose che ti ho detto e per come ti ho trattato” disse con tono dispiaciuto.
    Fra di loro c’era sempre stato un bellissimo rapporto, Masaki per Sho era come un fratello minore da proteggere e aiutare in qualsiasi momento, mentre Sho, beh Sho per Masaki era come la persona che tutti vorrebbero avere al suo fianco, la persona su cui si può sempre contare, che ti tira fuori dai guai a qualsiasi costo, per lui era il fratello maggiore che non aveva mai avuto.
    “Tranquillo Sho-chan” gli rispose accennando un sorriso, ma una lacrima sfuggì al suo controllo, scendendo lenta sul viso.
    “Masaki che succede?” gli chiese di nuovo.
    “Non lo so, ma non faccio altro che pensare a Miriam” gli rispose sottovoce, “quando non sono con lei e come se mi mancasse l’aria, mi sento come se mi stessero strappando il cuore dal petto”.
    “Si chiama amore Masaki” gli spiegò pazientemente, “ti sei innamorato di lei”.
    “Sì, ma ho paura” gli confessò in imbarazzo.
    Sho lo guardò, sapeva perfettamente a cosa si riferiva, lui l’aveva capito prima di Masaki, “quella ragazza è davvero innamorata di te” gli disse.
    “Ma non mi ha mai visto. È innamorata di Aiba Masaki degli Arashi, il sempliciotto che inciampa nei suoi stessi piedi e che non ne fa una giusta” gli disse tutto d’un fiato, tirò fuori tutto quello che provava, i dubbi e le paure che l’avevano assalito dal giorno in cui Miriam gli aveva confessato il suo segreto.
    “Ma Aiba-chan tu sei veramente così” gli disse Sho ridendo, “cadi anche da seduto e sei la persona più spontanea che conosca. Lei è innamorata di te, solo di te e sono sicuro che nel momento in cui ti vedrà lo capirai anche tu”.
    Masaki lo guardò, quelle parole lo fecero sentire meglio.
    “Domani sarò io a coprirti, andate di nuovo in biblioteca e continuate a cercare, troverai la soluzione” lo rassicurò.
    “Arigatou Sho-chan”.
    “Baka!” esclamò ridendo.

    Il giorno dopo proprio come pianificato, Sho e Masaki uscirono, con la scusa di andare in giardino a lavorare ed esattamente come avevano fatto il giorno prima Miriam, Masaki e Antonella uscirono, mentre Sho e Mary rimasero nella suite, lei lo aiutò a studiare gli appunti per News Zero.
    Miriam e Masaki andarono di nuovo in biblioteca, riprendendo la ricerca da dove l’avevano lasciato; ma anche questa volta non trovarono neanche una leggenda che parlasse della perdita della vista e sempre più sconsolati ritornarono in hotel.
    “Non la troveremo mai!” disse Miriam buttandosi sul divano.
    “Provate a restringere il campo” gli consigliò Sho.
    “Sì, ma a cosa?” gli chiese Masaki infastidito.
    Lui non rispose, non ne aveva idea, abbassò lo sguardo cercando di trovare una soluzione.
    “Visto non lo sai neanche tu!” esclamò arrabbiato, “me ne vado, ci vediamo domani”.
    Miriam lo guardava incredula era la prima volta che se ne andava senza neanche salutarla. “Masaki aspetta” gli disse correndogli dietro, ma lui andò dritto verso la suite 16.
    “Miri-chan tranquilla, fra poco gli sarà passata, è solo nervoso per questa situazione” la rassicurò Sho.
    Lei gli rispose con un cenno della testa e in silenzio ritorno nella sua stanza. “Non gli sono per niente d’aiuto” disse rannicchiandosi sul divano.
    “Che vuoi dire?” le chiese Mary.
    “Non faccio altro che dire che non troveremo mai una soluzione, mentre lui ce la mette tutta per trovarla” le spiegò, “è così carino nei miei confronti, mi ha comprato quel vestito stupendo, si è dichiarato su quell’amaca ed è stato così romantico. E poi la sera che abbiamo dormito in spiaggia, è stata la serata più bella della mia vita. Sta facendo tanto per me, mentre io non faccio niente; mi lamento e basta”.
    “Miriam perché domani non vi prendete una pausa e gli organizzi qualcosa di carino?” le propose Antonella.
    “Portalo a fare un picnic” intervenne Mary.
    “Si infatti, cucini qualcosa per lui, ti metti quel vestito carino di Mary che avevi il giorno che li abbiamo pedinati” e facendole l’occhiolino aggiunse, “sai Masaki non riusciva a staccarti gli occhi di dosso”.
    “Ma io non so cucinare” ribatté lei.
    “Baka ti aiutiamo noi” le disse Mary avvicinandosi, “andrà tutto bene, fidati”.
    Lei le guardò sorridente, le sue amiche erano sempre in grado di tirarle su il morale, anche con una solo parola, e anche se non sempre era in grado di dimostrarglielo gli voleva davvero bene.


    Capitolo 24
    Quella mattina Miriam si alzò presto, per cucinare qualcosa per Masaki, come le avevano consigliato le sue amiche. Andò in cucina e iniziò a fare la lista delle cose che doveva comprare.
    Decise di fare tutto da sola, voleva preparargli qualcosa con le sue mani, senza farsi aiutare da nessuno.
    Uscì dall’ascensore e di corsa scese la scalinata nella hall saltando gli ultimi scalini.

    “Attenta Miriam!” le disse un ragazzo prendendola dal braccio per evitare di farla cadere.
    “Ehi, ciao Stè!” lo salutò allegra.
    “Che ci fai sveglia a quest’ora?” le chiese incuriosito, “non ti ho mai visto qui così presto”.
    “Oh, ehm... sto andando al supermercato devo comprare delle cose!” gli spiegò un pò in imbarazzo.
    “Posso farti compagnia?” le chiese accennando un sorriso, “devo andarci anch’io”.
    “Sì, ehm…d’accordo!”

    Per tutto il tragitto la riempì di domande su Masaki, chi era, come si erano conosciuti, il perché si era comportato in quel modo quel giorno in piscina, di dov’era, che faceva nella vita.
    Miriam rispose a tutte le domande, tralasciando il dettaglio più importante, ovvero che lui fosse un Idol.

    “Posso farti una domanda?” le chiese, mentre spingeva il carrello.
    “Perché finora che hai fatto?” ribatté con tono sarcastico, “dai spara, una sola però!” l’avvertì ridendo.
    “Lui è il tuo ragazzo?” le chiese guardandola.
    Lei s’immobilizzò, non sapeva cosa rispondere, Masaki l’aveva definita la sua ragazza, ma una volta finita la vacanza avrebbero ripreso ognuno le proprie vite, lui sarebbe ritornato ad essere l’Idol più famoso del Giappone e come tale avrebbe dovuto ricominciare a seguire le regole dell’agenzia, secondo le quali, lui non poteva avere una ragazza e Miriam ne era perfettamente consapevole.
    Stefano la guardò e sorridente le mise un braccio intorno alle spalle, “andiamo Miri-chan!” esclamò ridendo.
    “Scusa, come mi hai chiamato?” chiese confusa.
    “Miri-chan. Ho sentito quel piccoletto chiamarti così l’altro giorno al ristorante” le rispose stringendola.
    “Ehm… Stè non chiamarmi così, per favore”.
    “Perché, solo lui, ti ci può chiamare?!” disse con tono infastidito.
    “Ma che ti prende?” gli chiese sempre più confusa.
    “Finiamo di fare la spesa” le ordinò.

    Uscirono in silenzio dal supermercato, lui l’aiutò a portare le buste, non le fece più domande su Masaki; ma per tutto il tempo non le staccò gli occhi di dosso.

    “Ehm, grazie, ora ce la faccio da sola” gli disse davanti all’ascensore.
    “Sicura? Posso portarle tranquillamente fino alla tua stanza”.
    “Si tranquillo” gli disse ridendo “sono forte io, anche se non sembra”.
    “Oh sì sì, fortissima” la prese in giro stringendole il braccio per sentire i muscoli.
    “Scemo!”
    Le porte dell’ascensore si aprirono, lei entrò e schiaccio il tasto del suo piano, lo salutò con la mano, mentre l’ascensore saliva.
    Miriam entrò nella suite, dopo aver poggiato le buste sul tavolo, si legò il grembiule intorno alla vita e si mise subito all’opera.
    Aveva deciso di preparare le omelette, che gli aveva insegnato suo padre, sandwich con tonno e maionese, mini panzerotti ripieni con pomodoro e mozzarella, i suoi adorati sofficini e per finire una variante del tiramisù classico, con latte, crema e panna; Masaki le aveva detto che gli piaceva il giorno in cui si erano conosciuti.
    Prima di mettersi a cucinare però, prese il lettore mp3 nello zaino, l’accese, infilò le cuffie nelle orecchie e abbandonandosi completamente alla musica, si concentrò sulla cucina.
    Le sue amiche l’osservavano sorridenti, era la prima volta dopo tanto tempo che la vedevano così felice, nonostante il suo strano problema, era felice.
    Masaki era riuscito a colmare il vuoto che aveva lasciato Marco, lentamente e senza neanche rendersene conto stava curando le sue ferite.

    “Itai!” esclamò per la terza volta.
    “Miriam, che succede?” le chiese Mary avvicinandosi.
    “Niente, continuo a bruciarmi le dita con l’olio e mi sono anche tagliata” le spiegò in imbarazzo.
    “Anto!” la chiamò Mary, “vieni a sostituirla un attimo, mentre io le metto un paio di cerotti”.
    “No, voglio finire io” le disse con tono insistente, “devo solo friggere questi panzerotti e poi ho finito”.
    “Va bene, d’accordo, ma dopo medichiamo queste ferite; i tuoi cerotti artigianali servono solo a peggiorare la situazione” aggiunse indicando il pezzetto di carta scottex appiccicato alle dita con il nastro adesivo.
    Lei rispose con un cenno della testa e si rimise subito ai fornelli.
    Anto e Mary la sentirono lamentarsi un altro paio di volte, ma rimasero in disparte senza intervenire.
    Per lei era importante preparare il pranzo per Masaki e, non le importava se continuava a bruciarsi o a tagliarsi, avrebbe continuato in qualsiasi caso.
    “Ho finito!” esclamò sistemando l’ultimo contenitore nel cestino da picnic, che aveva comprato quella mattina.
    “Sei stata bravissima!” si complimentò Mary.
    “Arigatou” le disse arrossendo, “ehm vado a fare la doccia, cosi dopo mettiamo i cerotti”.
    Dopo essersi lavata indossò il vestitino di Mary e, invece delle solite converse decise d’indossare un paio di ballerine color crema; sul lato più corto dei capelli sistemò un ferretto a forma di farfalla, che le aveva prestato Antonella.
    “Sei perfetta” le dissero in coro.
    “Ora vieni che ti medico” le ordinò Mary dopo aver preso disinfettante e cerotti. “Miriam, ma come hai fatto a conciarti così?” le chiese incredula, aveva tagli e scottature praticamente ovunque.
    “Ehm... qui mi sono tagliata con la carta” disse indicando un taglietto sul pollice, “mentre qui con il coltello” aggiunse indicandone un altro sul palmo della mano destra, “mi è sfuggito di mano” tentò di spiegare, notando l’espressione delle sue amiche.
    “Ricordami di non darti mai un coltello in mano” la prese in giro Antonella, “magari ti sfugge quando mi sei vicina” continuò, ma fu interrotta; erano arrivati i ragazzi.
    “Anto apri tu, mentre io finisco qui”.
    Lei si alzò come una molla e sperando che quel giorno fosse il turno di Jun andò ad aprire. “Oh! sei tu Nino” disse notandolo.
    “Ciao Anto, mi dispiace deluderti, ma il tuo Junnosuke sta lavorando con il mio Toshi, perciò oggi ti tocca la mia compagnia” gli disse entrando, e buttandosi sul divano iniziò subito a giocare con il Nintendo.

    Masaki la fissava, proprio come il giorno del pedinamento, non riusciva a staccarle gli occhi di dosso, “ehm… Miriam che hai fatto alle mani?” le chiese notando i cerotti con dei panda disegnati sopra.
    “Oh, niente, incidenti di percorso” gli disse sorridente, “ehm… ascolta ti va se oggi ci prendiamo una piccola pausa dalle ricerche e facciamo un picnic?” gli propose in imbarazzo, “ho cucinato io”.
    “È per questo che le tue mani sono piene di cerotti?” le chiese.
    “Ehm sì” rispose abbassando lo sguardo, si sentiva una scema per come si era conciata, ma lei e le cose affilate e taglienti non andavano d’accordo.
    “Certo che mi va di fare un picnic con te” le disse abbracciandola, “anche tu mi sei mancata” aggiunse in risposta al messaggio di stamattina. “E non devi scusarti di niente, mi aiuti anche solo stando al mio fianco”.

    Lei si strinse a lui, ora che l’aveva vicino si sentiva più tranquilla.
    Masaki prese il cestino da picnic e mano nella mano uscirono, andarono in un piccolo prato circondato da grandi alberi, non troppo distante dall’hotel.
    Miriam posizionò la coperta sotto l’ombra di un albero e si sedette facendo attenzione a non macchiare il vestito di Mary con l’erba, Masaki si sdraiò di fianco a lei e gli poggiò la testa sulle ginocchia. “Miri-chan, non essere come le altre” le disse dopo qualche minuto di silenzio.
    “Che vuoi dire?” gli chiese confusa.
    “Miriam, ehm… è vero quello che si dice di me” le disse in imbarazzo, “molte ragazze si sono prese gioco di me, perché mi vedono debole e sanno che sono buono; e ci sono rimasto male, perché mi affeziono subito alle persone, vedo solo i loro lati positivi e mai quelli negativi”.
    “Masaki non potrei mai prenderti in giro, non potrei mai approfittare di te” lo interruppe.
    “Ti amo Miriam!” le disse tutto d’un fiato.

    Lei non rispose, si abbassò e lo baciò; le sue labbra trovarono subito quelle di Masaki, nonostante gli occhi non le vedessero, ma ormai il suo corpo sembrava avere una vista tutta per se, riusciva a “vederlo” grazie alla memoria, e reagiva istintivamente.
    “Masaki, come faremo quando ritornerai in Giappone?” gli chiese accarezzandogli i capelli.
    “Non ti lascio, questo è sicuro. Continuerai ad essere la mia ragazza imbranata e amante dei peluche, anche quando riprenderò la mia vita da Idol”.
    “Scemo!” gli disse ridendo, “non sono poi così imbranata” cercò di giustificarsi, “sono le cose che ce l’hanno con me” stava continuando, ma Masaki la bloccò abbracciandola, “promettimi che qualsiasi cosa succederà, non ti allontanerai mai da me” le disse.
    “Prometto”.
    Si sdraiarono sulla coperta; Masaki continuava a tenerla stretta a se, lei si strinse sempre di più nel suo abbraccio, riusciva a sentire il suo profumo, “sai di buono” gli disse baciandolo sul collo.
    Rimasero sdraiati ad osservare il cielo, adoravano quella vista.

    “Non voglio ritornare a Tokyo” le confessò.
    “Devi tornare e anche se saremo distanti continueremo a guardare sempre lo stesso cielo” gli disse con tono serio, “quando sei triste, quando pensi che tutto stia andando per il verso sbagliato, alza lo sguardo verso il cielo e ricorda che l’abbiamo visto sfumarsi con i colori del tramonto, che l’abbiamo visto riempirsi di stelle e schiarirsi col sorgere del sole. Ricorda che anch’io guarderò il tuo stesso cielo, e non sarai mai solo. Io sarò sempre al tuo fianco, ad influenzare la tua vita, perché ormai siamo diventati un unico sistema”.
    Quelle parole lo fecero rabbrividire, “Itsumo!” le disse stringendola.
    “Itsumo!” gli sussurrò con voce dolce.

    Masaki mangiò tutto quello che gli aveva preparato, divorò anche il tiramisù.
    “Uma-umai!” esclamò, “non l’avevo mai provato con il latte” aggiunse dopo aver ingoiato l’ultimo boccone.
    “Davvero ti è piaciuto?”
    “Miriam è buonissimo” le rispose sorridente, “e non solo il tiramisù, ma anche tutto il resto”.
    “Sei la prima persona che apprezza la mia cucina, anche se in realtà non ho fatto niente” gli disse abbassando lo sguardo, si sentiva in imbarazzo.

    Masaki le spostò il ciuffo con le dita, lei alzò la testa e incrociando i loro sguardi percepirono di nuovo la sensazione di essere osservati, un brivido freddo gli attraversò il corpo.
    Miriam lo guardava incredula, gli afferrò le mani e l’alzò, non riusciva a crederci. “Che succede?” le chiese confuso.
    “Non sei più una macchia. Vedo i tuoi contorni, ehm… i tuoi lineamenti”. Alzò la mano e con il dito seguì la linea del suo profilo, dalla spalla fino alla mano, la guardava con sguardo curioso e ne seguì il contorno con le dita.
    “Miriam, dobbiamo ritornare subito in hotel, dobbiamo parlare con gli altri” le disse riportandola alla realtà, “c’è qualcosa che ci sfugge”, la sua espressione era seria, in un attimo capì tutto, iniziò a ricomporre il puzzle, “devo parlare con Sho, immediatamente”.
    “Hai trovato la soluzione?” gli chiese.
    “No, ma pensaci bene; quando abbiamo avuto l’incidente e tu mi hai confessato tutto, riuscivi a percepire di più la mia presenza. Quando io, Sho e Jun siamo scappati per venirci a scusare, sono diventato una macchia e ora riesci a vedere i miei lineamenti. Ci deve essere un legame fra queste cose” le disse, mentre rimetteva i contenitori nel cestino.
    Finalmente Miriam stava iniziando a capire il suo ragionamento, ogni volta che dicevano o facevano qualcosa di particolare lei migliorava “dobbiamo trovare il collegamento” aggiunse alzandosi.

    “Ah~!” si lamentò Nino.
    “Che succede?” gli chiese Antonella.
    “Si è scaricato il Nintendo” rispose disperato.
    “Oh Mio Dio!” esclamò lei prendendolo in giro, “questa è una tragedia”.
    "È veramente una tragedia” le disse sconsolato, “non è che per caso avete un carica batteria?” chiese speranzoso.
    “No, mi dispiace” intervenne Mary, “Miriam per fortuna l’ha lasciato a casa”.
    “Miri-chan, non puoi farmi questo” continuò a lamentarsi.

    Anto e Mary non riuscirono a trattenersi, scoppiarono in una risata contagiosa, avevano le lacrime agli occhi.
    Nino le guardò di traverso, loro si bloccarono e ripresero i compiti che gli avevano affidato Jun e Sho; Mary doveva fare alcuni riassunti per News Zero, così lui si sarebbe concentrato sui rap, mentre Antonella doveva preparare una scaletta con tutte le canzoni che avrebbe voluto sentire fra quelle che non avevano mai cantato.
    Nino annoiandosi, iniziò a girovagare per la stanza, “posso farvi una domanda?” chiese interrompendole.
    “Si certo” rispose Antonella.
    “Come mai avete scelto questa suite?”
    “Non l’abbiamo scelta” gli spiegò Mary, “quando siamo arrivate la stanza che avevamo prenotato non era più disponibile; perciò ci hanno dato la suite per scusarsi dell’inconveniente”.
    “Uhm, capisco...” disse continuando a guardarsi intorno, “cos’è?” chiese indicando un sacchetto bianco con su scritto The Palace.
    “Ah quello, non lo so”, rispose Antonella, “ce l’ha dato il tizio della reception, ma non l’abbiamo mai aperto”.
    Nino incuriosito lo aprì, all’interno c’erano alcuni gadget, una guida turistica e un libro.
    Fra tutte quelle cose ad attirare la sua l’attenzione fu proprio il libro, lo prese e l’osservò, rigirandolo fra le mani; la copertina era bianca e senza titolo, sempre più incuriosito iniziò a sfogliarlo.
    “Sono tornati Miriam e Masaki e sono anche in anticipo” disse Mary alzandosi, “allora com’è andata?” chiese aprendo la porta, ma si trovò lo sguardo di Ohno puntato addosso, era furioso.
    La spostò ed entrò nella suite.

    “Che avete combinato?” chiese a Miriam e Masaki.
    “Niente, siamo appena arrivati, ce lo siamo trovati davanti” le spiegò lui nel panico.
    “VAFFANCULO KAZU!” sentirono urlare, Ohno uscì dalla stanza come una furia.
    “Satoshi aspetta” disse Nino seguendolo con ancora il libro in mano, “ti vuoi fermare” aggiunse afferrandolo dal braccio.
    Ohno si voltò, il suo sguardo era deluso, arrabbiato “IO MI FIDAVO DI TE!” urlò liberandosi dalla sua presa.

    Bussò ripetutamente alla porta, appena Jun l’aprì, entrò e si chiuse nella sua stanza.
    “Che succede?” chiese confuso, ma Nino lo ignorò.
    “Ma insomma la pianti di fare il ragazzino” gli disse entrando.
    “Io mi fidavo di te” ripeté sempre più arrabbiato, “hai tradito la mia fiducia, tu l’hai aiutati a prendermi per il culo. Per tutto questo tempo mi hai mentito e scommetto che quel giorno che siamo andati a pranzare al ristorante l’hai fatto apposta a comportati in quel modo. Mi fai schifo”.
    Nino abbassò lo sguardo, “non ti avrei mai mentito, se tu non gli avessi vietato di vederle” rispose.
    “Ma che hanno di così speciale quelle ragazze?” chiese incredulo, “appena ritorneremo in Giappone le dimenticheranno”.
    “HANNO DI SPECIALE LE STESSE COSE CHE HO IO PER TE!” gli urlò, “perché cazzo non capisci quanto sono importanti per loro. Perché non vedi quanto ci stanno male per questa situazione”.
    “Perché con i miei divieti finalmente hanno iniziato a lavorare” rispose con tono acido, “perché finalmente abbiamo un maledetto palco per il tour”.
    “Oh sì, come no! Perché tu pensi che sia stato Jun a tirare fuori tutte quelle idee per il concerto. Come pensi che ci sia riuscito Sho a studiare tutta quella roba e a imparare contemporaneamente i rap. E da chi cavolo pensi che si sia ispirato Masaki per il design di quei maledetti cappelli?” gli chiese.

    Lui non riuscì a ribattere, distolse lo sguardo, si sentiva uno stupido.

    “Oh-chan, come ti sentiresti se ci vietassero di vederci?” aggiunse avvicinandosi, “quelle ragazze sono davvero importanti per loro”.
    “Ci starei malissimo” rispose abbassando gli occhi, “però loro…” iniziò a dire, ma Nino lo bloccò.
    “Quei tre sono innamorati e anche se continuerai a vietargli di vederle, sappi che io continuerò ad essere dalla loro parte e a coprirli tutte le volte che ne avranno bisogno” e andando verso la porta aggiunse, “il Satoshi di cui mi sono innamorato, non si sarebbe mai comportato così”.

    Ohno lo guardò uscire, “sono un coglione” pensò, prendendosi il viso fra le mani.
    Si guardò intorno incredulo, non aveva mai litigato con Nino. Il suo sguardo si fermò sul blocco da disegno, lo prese e lo sfogliò, c’erano tutti i disegni che aveva fatto da quando erano partiti; aveva creato una specie di diario di bordo.
    Aveva disegnato il loro viaggio in aereo, l’incontro con le ragazze, il concorso fra dj, il panorama di Malta che vedeva dalla sua suite; tutto.
    L’ultimo disegno era il palco che gli aveva chiesto Jun, era diverso dal solito, ma era ugualmente spettacolare, immenso; riusciva ad immaginarlo perfettamente, tutto illuminato e pieno di effetti speciali.
    Lo buttò a terra arrabbiato, le parole di Nino gli ritornarono in mente.
    Si era fatto prendere in giro come uno stupido; le ragazze li avevano aiutati nel loro lavoro e lui non si era accorto di nulla. Si sdraiò sul letto, fissando il soffitto con sguardo vuoto, non riusciva a capire com’era possibile che quelle ragazze l’influenzassero in quel modo.
    Loro non facevano parte della famiglia, non facevano parte del loro mondo, ma era proprio qui che Ohno si sbagliava. Anto, Mary e Miriam erano entrate con una facilità assurda nelle loro vite e anche nella sua, per quanto cercasse di nasconderlo gli mancavano, rivoleva indietro quei giorni trascorsi insieme, come una grande famiglia.
    Finalmente capì l’errore che aveva fatto, “Kazu!” lo chiamò precipitandosi fuori dalla stanza, lo trovò seduto sul divano, era immerso nella lettura. “Kazu, mi dispiace” gli disse avvicinandosi, “sono stato uno stupido. Ho rovinato tutto”.
    “Già! Ti sei comportato veramente da stupido; ma finalmente l’hai capito” gli rispose abbracciandolo.
    “Scusa per le cose che ti ho detto” disse dispiaciuto.
    “Non preoccuparti, so che non le pensavi e le hai dette perché eri arrabbiato” lo rassicurò.
    “Dove sono gli altri?”
    “Li ho mandati dalle ragazze”.
    “Perfetto andiamo, così mi scuso anche con loro”.
    “Aspetta, devo mostrarti una cosa” gli disse passandogli il libro.
    “Uhm, un libro” disse confuso, “che… che dovrei farci?”.
    “Lo devi leggere”.
    “D’accordo Kazu, ma può aspettare, prima voglio…”
    “Satoshi, sta zitto e leggi!” gli ordinò.
    Lui l’aprì e notò che Nino aveva iniziato a tradurre il testo.
    “Mi sono aiutato con il traduttore” disse notando la sua espressione, “leggi qua” aggiunse indicando una frase.
    Ohno la lesse velocemente, il suo viso s’illuminò, “dobbiamo dirlo a Masaki”.
    “No aspetta, prima dobbiamo fare un’altra cosa, vieni”.
    Insieme uscirono dalla suite, Nino voleva parlare con il tizio della reception, voleva essere sicuro che quello che aveva tradotto, fosse corretto.


    Capitolo 25
    “Perché quando succede qualcosa ci siete sempre voi due di mezzo?!” gli disse Jun entrando nella suite 11 seguito da Sho.
    “Ma questa volta non abbiamo fatto niente, davvero” si giustificò Masaki, “ce lo siamo trovato davanti”.
    Masaki aveva ragione, era successo tutto così velocemente, Sho e Jun l’avevano perso un attimo di vista, si erano distratti per un solo secondo, ma bastò proprio quel secondo per far decidere a Ohno di uscire.
    “Minna esco un attimo, vado giù ai negozietti, mi servono dei colori e vado a vedere se ci sono” gli disse uscendo.
    “SATOSHI ASPETTA VENGO CON TE” gli urlò Sho. “Se ci scopre è la fine” pensò correndogli dietro.
    Ohno camminava con la testa bassa pensando chissà a cosa e Sho stava quasi per raggiungerlo.
    “Beh in effetti i panda sono carini” disse Masaki ridendo.
    “Non sono carini, sono carinissimi, e tu li hai visti da vicino” gli rispose lei con sguardo sognante.
    Bastarono quelle poche parole per attirare la sua l’attenzione.
    Miriam e Masaki camminavano mano nella mano e l’avevano appena superato, Sho s’immobilizzò sul posto; Ohno capì tutto immediatamente, li raggiunse e busso alla porta 11 prima di loro; era furioso. Entrò nella stanza e lo vide seduto sul divano, i loro sguardi s'incrociarono per un attimo, “aspetta fammi spiegare” gli aveva detto Nino, ma lui l’aveva mandato a quel paese senza neanche ascoltarlo.


    “Non ho mai visto Oh-chan così arrabbiato” disse Antonella rompendo il silenzio, “speriamo che Nino riesca a calmarlo”.
    “Già” gli rispose Jun, “a proposito perché siete tornati prima?”
    “Oh, ehm, l’avevo quasi dimenticato” disse Masaki, “è successa una cosa”.
    “Che avete combinato?” gli chiese Sho preoccupato.
    “Niente” rispose Miriam, “perché siete sempre così prevenuti?”
    “Perché è la verità, fate sempre danni” li rimproverò Mary.
    “Si va bene, ora piantatela di parlare di cose inutili e ascoltate” intervenne Masaki spazientito. “Miriam vede i miei lineamenti”.
    Tutti e quattro si bloccarono all’istante, li guardavano sbalorditi.
    “È successo qualcosa di particolare?” gli chiese subito Sho.
    “No, è per questo che siamo tornati prima” gli rispose Miriam, “Masaki ha capito qualcosa”.
    Lui si schiarì la voce e velocemente iniziò a spiegare il suo ragionamento, “c’è qualcosa che ci sfugge”, continuò a dire.
    I ragazzi lo guardavano, aveva un’espressione seria, non l’avevano mai visto così.
    “Boh, non mi viene in mente niente” gli disse Sho alzando le spalle. Nessuno di loro riuscì a trovare un collegamento fra quegli avvenimenti, la situazione si stava facendo sempre più assurda e surreale.
    “E se…” iniziò Anto, “no, è troppo stupido, niente, lasciate perdere”.
    “Dai diccelo, ora siamo curiosi” le disse Jun.
    “No, davvero è troppo stupida come cosa” gli rispose, “a proposito, ho finito la scaletta” aggiunse per cambiare discorso.
    Jun si animò all’istante, “tieni” gli disse.
    Lui la lesse, c’erano alcune delle sue canzoni preferite.
    “Anche i tuoi riassunti sono pronti” intervenne Mary rivolgendosi a Sho, tutti e quattro ignorarono contemporaneamente Miriam e Masaki e iniziarono a parlare fra di loro; i ragazzi si complimentarono per l’ottimo lavoro che avevano fatto.

    Miriam si alzò e andò in camera sua seguita da Masaki, “tutto okay?”
    "Si tranquillo, mi aiuti?” gli chiese girandosi di spalle.
    Masaki la guardava senza capire.
    “Il vestito, la cerniera” gli disse.
    “Oh sì, scusa” rispose in imbarazzo.
    Alzò le mani, gli tremavano, lentamente abbassò la cerniera fino al fondo schiena.
    “Grazie” disse mentre se lo sfilava.
    Masaki si voltò, era diventato rosso come un pomodoro.
    Miriam percependo il suo imbarazzo, scoppiò a ridere, “non è la prima volta che mi vedi così; perché t’imbarazzi?”
    “L’altra volta era buio” le spiegò nervosamente.
    “Baka!” gli disse continuando a ridere.
    “Dimmi quando posso girarmi”.
    “Masaki per me puoi girarti anche ora, non ho nessun problema a farmi vedere cosi da te”.
    Lui si voltò lentamente, il suo viso stava iniziando a schiarirsi, Miriam era davanti a lui, indossava solo una maglietta, “hai la maglia di beautiful world?” le chiese stupito.
    “Sì, anche Anto e Mary ce l’hanno; è stupenda” rispose sorridente.
    “Avete altri goods?” continuò a chiederle.
    “Uhm si, il danchicchi, la tovaglia del The Digitalian, quella di Love, io ho un tuo uchiwa, e altre cose che ora non ricordo”.
    Masaki iniziò a sorridere, si sentiva onorato.
    “Perché ridi?” gli chiese.
    “Non sto ridendo, e che non ci è mai capitato di stare tutto questo tempo a contatto con le nostre fan e mi fa piacere sapere che comprate i nostri goods e che vi piacciano” le spiegò sdraiandosi sul suo letto.
    Miriam si sdraiò di fianco a lui, lo fissava intensamente, cercava di cogliere un minimo cambiamento, sperava di vedere anche solo una ciocca di capelli, ma non cambiò nulla.
    Continuava a vedere solo ed esclusivamente i suoi lineamenti.
    Masaki la strinse fra le sue braccia e si addormentò poggiando la testa sulla sua spalla, il suo respiro era irregolare.
    “Masaki ti amo anch’io” gli disse sottovoce, troppo bassa perché lui potesse sentirlo.
    Si alzò facendo attenzione a non svegliarlo e lo coprì con il lenzuolo, tirò la tenda in modo che il sole non gli desse fastidio, gli diede un bacio sulla fronte e uscì, si sedette con gli altri sul terrazzo.
    Parlarono del più e del meno, erano perfettamente in sintonia, ridevano e scherzavano come i primi giorni, non pensarono minimamente a Ohno e Nino.
    “Vi va di andare a mangiare qualcosa fuori?” propose Sho, dopo aver guardato l’orologio.
    “Volentieri, ma Ohno non s’incazzerà se uscite con noi?” chiese Mary perplessa.
    “Chi se ne frega” le rispose Jun, “non può tirarla tanto per le lunghe sta storia e, noi non siamo più dei ragazzini”.
    “Allora vado a svegliare Masaki” disse Miriam alzandosi.
    Entrò nella stanza silenziosamente, camminava facendo attenzione a non fare rumore, ma inciampò e cadde sulle ginocchia, “Itai!”.
    Masaki scoppiò a ridere, aveva assistito a tutta la scena.
    “Non ridere” gli disse piagnucolando.
    “Scusa, ma è stata una scena epica; ti sei fatta male?” le chiese aiutandola ad alzarsi.
    “No, ascolta, abbiamo deciso di andare a mangiare qualcosa fuori, tu vieni vero?”
    “E me lo chiedi pure, certo che vengo” le disse baciandola.
    “OHI PICCIONCINI, VI VOLETE DARE UNA MOSSA!” urlò Jun interrompendoli.
    “Arriviamo” gli rispose Masaki.
    Andarono a mangiare in un localino sul mare, per tutta la serata Ohno e Nino non li cercarono e a loro la cosa non gli diede per niente fastidio, anzi gli fece immensamente piacere, finalmente potevano passare tutto il tempo che volevano con le loro ragazze senza essere disturbati.
    Dopo la cena fecero una lunga passeggiata sul lungomare e nel centro di Malta, quella sera c’era la notte bianca perciò tutti i negozi rimasero aperti fino a tardi.
    Sho e Mary entrano in un piccolo negozietto artigianale, in cui realizzavano collane fatte a mano. Una in particolare attirò la loro attenzione, era una collanina in argento con un ciondolo a forma di goccia, “facciamo anche le incisioni” gli disse il proprietario del negozio.
    “Allora ne prendiamo due” gli rispose Sho.
    “Per la frase avete qualche idea?”
    “Sì, se mi dai un foglio te la scrivo”. Il ragazzo gli passò un pezzo di carta e un matita, Sho velocemente scrisse la frase, “si deve comporre quando uniamo i ciondoli” gli spiegò.
    “Perfetto non ci vorrà molto”.
    Uscirono dopo circa dieci minuti, trovarono gli altri seduti a un bar, si erano annoiati ad aspettarli, perciò avevano deciso di andare a bere qualcosa.
    “Avete comprato tutto il negozio?” gli chiese Jun sarcastico.
    “Ehm... no” rispose Mary, “abbiamo perso tempo perché abbiamo fatto incidere queste” aggiunse mostrandogli le due collanine.
    Jun unì i ciondoli così da poter leggere la frase, You’re my present and my future, “carina” gli disse passandogliela.
    Loro sorridenti se la misero subito al collo.
    Stavano bevendo tranquillamente i loro cocktail quando a un certo punto sentirono urlare “MIRIAM!” sia lei che Masaki si voltarono contemporaneamente, “certo che oggi c’incontriamo da tutte le parti” le disse un ragazzo avvicinandosi.
    “Sei una persecuzione” gli rispose ridendo.
    Masaki guardava quel tipo, l’aveva già visto da un’altra parte, ma non riusciva a ricordarsi dove.
    Lei continuava a parlare con lui ignorandolo completamente e, senza pensarci le strinse il polso.
    “Masaki, mi fai male, lasciami” gli ordinò.
    Lui la fissò, allentò la presa, ma non la lasciò.
    “Che ti prende?” gli chiese confusa.
    “Niente” rispose distogliendo lo sguardo.
    Lei iniziò a sorridere.
    “Che hai da ridere?” le chiese arrabbiato.
    “Niente” gli rispose abbracciandolo, “non devi essere geloso, non potrei mai tradirti” gli disse dopo avergli dato un bacio sul collo.
    I suoi muscoli si rilassarono e l’abbracciò, si voltò verso il ragazzo e lo fulminò con lo sguardo.
    “Credo che sia meglio se ora ce ne andiamo” disse Sho notando l’espressione del suo amico.
    Tutti risposero con un cenno della testa e si alzarono.
    Durante il tragitto si fermarono a guardare gli artisti di strada che affollavano le vie del centro, c’erano i giocolieri, i mangia fuoco, gli equilibristi, maghi e altri artisti vari.
    Ritornarono in hotel dopo le 2.00, erano stanchissimi, dormivano praticamente in piedi, entrarono in silenzio in ascensore, non ce la facevano nemmeno a parlare.
    MIRIAM RUSSO ACCESSO ESEGUITO!
    Entrò seguita dalle sue amiche, senza pensarci entrarono anche i ragazzi.
    “La vostra stanza è un pò più avanti” disse Mary rivolgendosi a Sho.
    “Sì, ma a quest’ora quei due staranno dormendo” iniziò a spiegargli, ma Miriam lo bloccò.
    “Rimanete a dormire qui” gli propose, “Ohno e Nino non si svegliano neanche con le cannonate”.
    “Noi siamo d’accordo con lei” dissero in coro Jun, Anto e Masaki.
    “Eh va bene, allora rimanete qua” gli disse Mary ridendo, “non possiamo mica lasciarvi dormire nel corridoio” aggiunse prendendo Sho per mano.
    "Eh no, sarebbe da maleducati” continuò Anto sorridente.
    Ognuno di loro entrò nelle proprie camere, Sho e Mary avevano la fortuna di avere la stanza tutta per loro, mentre Jun e Masaki dovevano condividerla e la cosa non gli piaceva per niente.
    Mentre stavano per infilarsi nel letto qualcosa attirò la loro attenzione, su ogni cuscino c’era una lettera.
    “L’avete anche voi?” gli chiese Sho entrando.
    “Si” risposero.
    L’aprirono, all’interno c’era un biglietto per il traghetto e un post-it.

    "Vi aspettiamo alle 10.00 nella hall.
    SK”



    “Marsily Island” lesse Sho, “non l’ho mai sentita e voi?” chiese confuso.
    “È la prima volta che la sento anch’io” gli rispose Mary. Neanche gli altri la conoscevano.
    “Beh arrivati a questo punto non ci resta che scoprirlo” disse Jun infilandosi nel letto, “quando uscite chiudete la porta” aggiunse sorridente, li stava praticamente buttando fuori.
    “Allora a domani” gli disse Mary tirando Sho dal braccio.
    “NOTTE RAGAZZI!” urlarono Jun e Masaki.
    “E FATE I BRAVI” aggiunsero Miriam e Antonella ridendo.
    “ANCHE VOI!” sentirono urlare dall’altra stanza.
    “Baka, noi non abbiamo la stanza per fatti nostri” rispose Jun, con un tono leggermente infastidito, avrebbe preferito dormire in una stanza singola.
    Si scambiarono la buonanotte e si addormentarono nel giro di qualche minuto.
    Per la prima volta dopo dieci giorni, Masaki riuscì a dormire tutta la notte, non si svegliò neanche una volta.

    “Satoshi, sta tranquillo, verranno” lo rassicurò Nino per l’ennesima volta, ma lui non riusciva calmarsi, era irrequieto.
    I suoi amici non erano tornati la sera prima e lui aveva paura che non lo perdonassero, aveva capito i suoi errori e ci teneva a scusarsi.
    “Stanno arrivando” gli disse indicando le scale, “mi raccomando, non dire niente di quello che abbiamo scoperto ieri”.
    “Tranquillo” gli rispose alzandosi, era nervoso.
    “Giorno” li salutarono in coro avvicinandosi.
    Jun, Sho e Masaki guardavano Ohno di traverso, erano pronti a rispondergli per le rime se gli avesse detto qualcosa, ma lui contrariamente da quello che si aspettavano, si inchinò.
    “Scusatemi” gli disse dispiaciuto, “non sono nessuno per vietarvi di vedere le vostre ragazze, mi sono comportato da egoista nel farlo e mi dispiace, ho capito di aver sbagliato spero che riuscirete a perdonarmi, sono stato uno scemo”.
    “Oh-chan, tirati su” gli disse Sho, vederlo in quel modo gli face male.
    “Non c’è bisogno che t’inchini” intervenne Jun.
    Lui si alzò e li vide sorridere, istintivamente li abbracciò, “mi siete mancati ragazzi. Scusatemi, mi sono comportato come un idiota. Mi dispiace” continuò a ripetere.
    Si capiva chiaramente che si era pentito per quello che aveva fatto, per colpa del suo atteggiamento li aveva messi anche uno contro l’altro facendoli litigare.
    “Okay ti perdoniamo, ma ora lasciami” gli rispose Jun, con finto tono infastidito.
    Ohno sciolse l’abbracciò, “ragazze chiedo scusa anche a voi” gli disse facendo un leggero inchino con la testa.
    “Oh… ehm tranquillo non devi scusarti” gli rispose Antonella in imbarazzo; non si aspettava delle scuse.
    “Bene, ora che ti sei scusato e tutto è ritornato alla normalità, possiamo andare” intervenne Nino “altrimenti faremo tardi”.
    “Ma dove andiamo?” gli chiese Sho curioso.
    “A Marsily” gli disse, “ora non fare più domande” aggiunse notando che stava per dire qualcosa.

    Uscirono dall’hotel e presero un taxi che li portò al porto, da dove sarebbero partiti per Marsily, un isolotto a 18.52 km a sud di Malta.
    “Miriam, tutto okay?” le chiese Masaki, da quando si erano svegliati non aveva detto una parola.
    “Uhm, si tranquillo” gli rispose distrattamente, mentre osservava il mare.
    “Lo sai che puoi dirmi tutto” le disse con tono rassicurante.
    “È tutto okay, davvero” gli ripeté accennando un sorriso, “vado un attimo in bagno”.
    Masaki la guardò allontanarsi, nascondeva qualcosa.
    “Che ha?” gli chiese Nino avvicinandosi.
    “Non lo so di preciso, ma oggi è il 1° di luglio” gli rispose.
    “Uhm capisco. Ascolta, perché non le organizzi qualcosa di speciale per domani?”
    “Ma sei matto?!” esclamò, “l’hai sentita, lei odia festeggiare e poi non voglio farle ricordare Marco”.
    “Baka!” gli disse dandogli uno schiaffo in testa, “è proprio questo il punto. Se le fai trascorrere un compleanno diverso dal solito, sicuramente non penserà a lui”.
    Masaki abbassò lo sguardo, Nino aveva ragione, ma lui non se la sentiva di costringerla a festeggiare, e in più ancora non lo vedeva e, questo sicuramente l’avrebbe fatta rattristare ancora di più.
    “Chi è quel tipo che gira intorno a Miri-chan?” gli chiese dandogli una gomitata per farlo guardare nella direzione che gli stava indicando.
    Lui alzò la testa e la vide, stava venendo verso di loro insieme a quel ragazzo che avevano incontrato al bar il giorno prima, e i sui amici.
    Lei si stava asciugando gli occhi, le erano uscite le lacrime per il troppo ridere.
    “Anto, Mary!” le chiamò avvicinandosi, “guardate chi ho incontrato” aggiunse sorridente.
    “Ehi raga che ci fate qua?” gli chiesero appena li videro.
    “Stefano voleva visitare l’isola e ci ha costretti a venire” gli rispose uno dei ragazzi salutandole con due baci sulla guancia.
    Gli Arashi li guardarono di traverso, soprattutto Jun e Sho che stavano parlando con le loro ragazze prima di essere interrotti.
    “Oh, ehm… dimenticavo, loro sono Nicolò, Jacopo e Stefano” disse Miriam presentandoli, “mentre loro sono Satoshi, Nino, Sho, Jun e Masaki, sono Giapponesi, ma se gli parlate inglese lo capiscono”.
    Tutti e cinque gli strinsero la mano in segno di cortesia.
    Quei tre ragazzi italiani, di Roma, sembravano essere usciti da un catalogo di moda, erano alti, mori e palestrati.

    “Perché non vi unite a noi?” gli propose lei, tutta raggiante, al contrario di com’era prima.
    “Volentieri” le rispose Stefano.
    Miriam si sedette vicino a Masaki e gli strinse la mano, ma esattamente come il giorno prima lo ignorò e iniziò a parlare con quel ragazzo.
    Anche Mary e Anto conversarono con Nicolò e Jacopo, ma contrariamente da Miriam, loro inserirono anche Jun e Sho nella conversazione, infatti fra di loro si creò una bella sintonia, a fatica riuscivano a farsi capire, ma le ragazze gli fecero da traduttrici ogni volta che ne avevano bisogno.
    Masaki strinse la mano di Miriam cercando di farle ricordare che lui era di fianco a lei, ma lei era così presa da quella conversazione che non si rese conto di niente.
    Dopo quasi tre ore di navigazione arrivarono a Marsily, un’isola piccola e calma, dove il tempo sembrava essersi fermato.
    L’isola era poco conosciuta dai turisti, infatti gli unici che l’affollavano erano gli abitanti di Malta, che approfittavano della tranquillità del posto per godersi un pò di relax sulle spiagge incontaminate, che al tramonto regalavano panorami bellissimi.
    “Pranzate con noi?” gli chiese Sho, mentre scendevano dal traghetto.
    “D’accordo” rispose Nicolò; fra quei due si era creata un’ottima intesa, andavano molto d’accordo.

    Anche lui come Sho, aveva studiato Economia alla Sapienza, e infatti per tutto il tempo non fecero altro che parlare di sviluppo economico, marketing, green economy e quant’altro.
    Pranzarono in un ristorantino tipico nel centro della città. Masaki guardava il panorama che si vedeva dalla finestra di fianco a lui, era infastidito dal comportamento di Miriam, non lo ignorava più come prima, ma cercava di farlo parlare con Stefano, e quei due non andavano per niente d’accordo; erano praticamente gli opposti, quello che piaceva a uno non piaceva all’altro, l’unica cosa che avevano in comune era il loro interesse per Miriam, e ormai anche Masaki l’aveva capito.

    “Beh ragazzi, mi dispiace, ma ora dobbiamo andare in un posto” gli disse Nino appena finirono di mangiare.
    “Se non avete niente da fare potete venire con noi?” gli propose Miriam. Stefano accettò immediatamente e i suoi amici non poterono far altro che acconsentire; quando si ci metteva quel ragazzo era davvero convincente.
    “Kazu, dobbiamo liberarci di loro” gli sussurro Ohno, mentre uscivano dal ristorante.
    “Lo so, ma non so come fare, su Sho e Jun non possiamo contare, ormai li abbiamo persi; Masaki è meglio se lo lasciamo fuori, basta un niente per farlo scattare” gli disse indicandolo; era un fascio di nervi, guardava Stefano con sguardo truce.
    Rassegnati a dover passare la giornata con quei ragazzi raggiunsero il posto in cui avevano appuntamento con una guida turistica locale, “voi dovreste essere gli amici di Mr. Smith” gli disse avvicinandosi, “io sono Alicya Brown” si presentò in perfetto giapponese, era una signora sulla cinquantina, non troppo alta e dal fisico asciutto.
    “Sì, siamo noi” gli rispose Nino stringendole la mano.
    Gli altri si scambiarono sguardi confusi, non ci stavano capendo niente “gli amici di chi?” chiese Masaki.
    Nino si voltò verso di lui e lo fulminò.
    “Okay, sto zitto” aggiunse alzando le mani in segno di resa.
    “Bene, allora possiamo andare” gli disse facendogli segno di seguirla.
    Li condusse attraverso un piccolo sentiero in un bellissimo giardino circondato da alberi di pino; il prato era perfettamente tagliato e al centro c’era una statua di due giovani sposi che si abbracciavano, la base era abbellita con rose rosse.
    “Questo è Il giardino di Marsilya” gli disse indicandolo con la mano, “conosciuto anche come Il giardino degli innamorati”.
    Gli fece segno di sedersi su una panchina e iniziò il suo racconto. “L’isola di Marsily, come del resto anche questo posto, prende il nome da Marsilya, una bellissima ragazza, figlia unica di un ricco proprietario terriero”, i ragazzi l’ascoltavano attentamente, pendevano dalle sue labbra.
    Masaki non riusciva a staccare gli occhi da quella statua, c’era qualcosa di familiare, lo sguardo della ragazza sembra essere vuoto, come quello di Miriam ogni volta che lo guardava.
    “Marsilya, contrariamente alla sua famiglia, non viveva di pregiudizi” continuò a raccontargli.

    “Un giorno mentre passeggiava in questo giardino, incontrò un ragazzo, e se ne innamorò a prima vista. Egli però non apparteneva alla sua stessa classe sociale, e ai due fu vietato di vedersi. Nonostante questo però, i due giovani innamorati ogni sera, all’insaputa dei loro familiari, s’incontravano in questo luogo.
    Si dice, che una sera, mentre gli Dei osservavano la Terra dall’alto dell’Olimpo, vennero attratti da un grande bagliore. Cupido, lo riconobbe subito, “è l'aura dell'Amore” esclamò agli altri Dei, ma Bellona, divinità della guerra gli disse “è impossibile, gli umani non sono capaci di amare in quel modo!”
    Decisero così di andare a vedere cosa stesse succedendo e con grande stupore, scoprirono che quel bagliore proveniva da una coppietta, ovvero Marsilya e il suo giovane innamorato.
    Ancora increduli da quella visione, Cupido ed Ermes decisero che dovevano far conoscere quell’amore cosi puro anche al resto del mondo, in modo tale che tutti sarebbero stati in grado d’amare come si amavano loro.
    Contro questa decisione però si schierarono gli Dei della guerra, se gli umani avessero scoperto questa grande energia, le guerre sarebbero scomparse. Allora egli ordinarono ad Efesto d’incendiare il prato, simbolo del loro amore. Poseidone però, si schierò dalla parte degli innamorati e grazie alle forze del mare, spense l’incendio.
    Un grande litigio scoppiò fra gli Dei, si crearono due fazioni; quelli che volevano far conoscere agli altri umani il loro amore e quelli che invece volevano eliminarlo.
    Incapaci di trovare un punto d’incontro chiesero aiuto a Zeus.
    Egli decise di porre sul loro cammino cinque ostacoli, per vedere quanto forte fosse il loro amore.
    Quella stessa sera fecero in modo che la famiglia di Marsilya scoprisse la verità e le vietarono di vederlo, chiudendola in casa, ma il giorno dopo, i due innamorati erano ancora sdraiati sul prato.
    La seconda sera, gli Dei mandarono un giovane affascinante a casa di lei, facendo ingelosire il ragazzo, il giorno seguente però, i due erano ancora nel prato.
    Gli Dei allora vollero dare un duro colpo alla coppia e, quella sera furono coinvolti in un brutto incidente. Marsilya per tutta la notte pregò per la vita del suo innamorato, e non si allontanò mai dal suo capezzale, e il giorno seguente, appena uscirono dall’ospedale, andarono di nuovo nel prato.
    Il quarto giorno, gli Dei si scagliarono di nuovo contro di loro, fecero credere al ragazzo, che Marsilya l’aveva tradito. Ma contro le loro aspettative, il ragazzo non credette a quel tradimento e quella sera mentre, erano sdraiati nel solito prato a guardare la luna, gli Dei sferrarono il loro ultimo colpo, tolsero la vista a Marsilya, fecero in modo che lei non riuscisse più a vederlo.
    Questa situazione creò un pò di problemi fra i due; nonostante lui avesse giurato di ridarle la vista, non ci riuscì. Iniziarono a litigare e nei giorni seguenti non andarono più nel giardino.
    Ares e Bellona iniziarono a festeggiare, i due non avevano superato tutti gli ostacoli, il loro amore non era poi così forte, lei non era in grado di amarlo se non poteva vederlo.
    “Guardate!” esclamò Ermes attirando l’attenzione degli Dei, tutti si sporsero per guardare; Marsilya era ritornata nel giardino e il ragazzo le veniva incontro, si sdraiarono ed entrambi giurarono che non si sarebbero mai più separati e che avrebbero continuato a stare insieme, nonostante tutto.
    Lei, alzando gli occhi al cielo ringraziò il destino e gli Dei per averli fatti incontrare e per l’amore che gli avevano donato. Era proprio grazie ad esso se erano riusciti a superare tutte le difficoltà, che avevano trovato sul loro cammino.
    Sentendo quelle parole alcuni Dei si commossero, tra i quali Bellona; Zeus che era seduto su una nuvola proprio sopra i due giovani, ridiede la vista alla ragazza e li fece ascendere al cielo dinnanzi a lui.
    I ragazzi non credevano ai loro occhi, “siamo noi Dei che vi dobbiamo ringraziare” disse loro Zeus, “eravamo talmente accecati dall'odio degli uomini, che non ci eravamo accorti che alcuni fossero capaci di così tanto amore. Da questo momento la vostra nuova dimora è l'Olimpo e il vostro compito sarà quello di proteggere e guidare gli innamorati, affinché possano trovare il vero amore”.


    Miriam e Masaki si voltarono contemporaneamente.
    Finalmente avevano trovato la leggenda giusta.
    Istintivamente Masaki la strinse fra le braccia “l’abbiamo trovata” continuava a sussurrargli nell’orecchio.
    “Sì, ma come faremo a farmi ritornare la vista?” gli chiese.
    Lui non rispose, non ne aveva idea.
    “In onore del loro amore fu costruita questa statua” continuò a dirgli la guida, “come simbolo di perseveranza e di fiducia. Perché possa ricordare ad ogni innamorato che, solo insieme si possono superare tutte le difficoltà che la vita ci riserva”.
    “Possiamo avvicinarci alla statua?” gli chiese Sho.
    Lei rispose con un cenno della testa.
    Prese Miriam e Masaki per un braccio e li trascinò fino ad arrivare davanti alla statua.
    Jacopo, Nicolò e Stefano non ci stavano capendo niente, Antonella gli aveva tradotto la leggenda ma loro continuavano a non capire.
    Arrivati davanti la statua notarono che alla base c’era una targa con delle incisioni.

    "Quando due persone si innamorano e riescono a dare sfogo a tutta l'energia che c'è nei loro cuori, il loro amore diventa divino e la sua aura risplende per tutto l'universo.
    Tutti noi abbiamo questa grande energia nel cuore, dobbiamo solo imparare ad usarla”.



    “C’è dell’altro” disse Masaki spostando i fiori che coprivano la scritta, Miriam si accovacciò di fianco a lui e schiarendosi la voce, iniziò a leggere:

    “Gli ostacoli di Marsilya e del suo giovane innamorato:
    1. Proibizione… se la ami, troverai sempre un modo per continuare a vederla, nonostante ti sia stato vietato;
    2. Gelosia… devi sempre tener conto della possibilità che ti possa venir portata via, perciò devi lottare ogni giorno affinché lei resti al tuo fianco;
    3. Incidente… ci si rende conto dell’importanza di una persona solo quando si rischia di perderla;
    4. Fiducia… è la cosa più importante, è alla base di ogni rapporto solido, senza di essa non si costruisce niente;
    5. Vista… devi saper amare e apprezzare le cose anche se non puoi vederle, così da poterne capire il vero significato”.

    Miriam si voltò verso Sho “due su cinque” gli disse alzandosi.
    “E ora che facciamo?” chiese Masaki prendendola per mano.
    “Non ne ho idea ragazzi, ma aver trovato la leggenda vuol dire tanto” gli disse e, notando le loro espressioni aggiunse, “almeno ora sappiamo su cosa dobbiamo concentrarci”.
    Miriam e Masaki risposero con un cenno della testa, in silenzio ritornarono dai loro amici.
    “Non c’era niente” disse Sho rispondendo alla domanda che tutti stavano pensando, ma che nessuno aveva il coraggio di chiedere.
    Masaki abbracciò Miriam “tranquilla cucciola” le disse con tono rassicurante.
    Lei si strinse nel suo abbraccio, “Masaki, scusami” gli disse sottovoce.
    “Per cosa?” le chiese confuso.
    “Perché sono difettosa” disse con voce strozzata, “mi amerai lo stesso, anche se non sarò in grado di vederti?”.
    Masaki le prese il viso fra le mani, “si Miriam, ti amerò lo stesso, e tu non sei difettosa, sei perfetta” le disse guardandola negli occhi.
    Lei si avvicinò e lo baciò, voleva dirgli che anche lei lo amava, ma non ci riuscì.
    Stefano li guardava con la coda dell’occhio, fino a quel momento era riuscito a tenerli separati, ad evitare qualsiasi contatto, ma ora, erano davanti a lui e si stavano baciando.
    “Ragazzi ora dobbiamo andare” gli disse Alicya guardando l’orologio.
    Si alzarono e silenziosamente ripercorse il sentiero.
    Miriam e Masaki guardarono per un’ultima volta la statua e mano nella mano seguirono gli altri; Stefano continuavano a fissarli.
    “Sta cambiando il tempo” disse Jacopo alzando gli occhi al cielo.
    Il sole che c’era quella mattina era sparito, era stato coperto da grossi nuvoloni neri e si stava alzando il vento, “ci conviene ritornare al porto e prendere il primo traghetto disponibile”.
    “Si hai ragione” gli rispose Jun “andiamo?” chiese ai suoi amici.
    Tutti acconsentirono, anche Miriam e Masaki, nonostante avessero preferito rimanere su quell’isola, dove c’era la soluzione al loro problema.
    “Miriam!” la chiamò Stefano, “prima di andare via, puoi venire un attimo con me. Vorrei mostrarti una cosa”.
    Lei lo guardò con aria confusa, “ehm si d’accordo” gli rispose.
    “Voi potete cominciare ad andare” gli disse notando l’espressione dei suoi amici, “vi raggiungiamo fra un attimo”.
    Miriam lo seguì senza fargli domande.
    Masaki la guardò andare via incredulo.
    “MASA, ANDIAMO!” urlò Sho distogliendolo dai suoi pensieri.
    Lui scosse la testa e lo raggiunse, camminava con la testa bassa di fianco a lui.
     
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    Capitolo 26
    “Ehm… Stè, dove stiamo andando?” gli chiese Miriam guardandosi intorno preoccupata; si stavano allontanando parecchio dal porto.
    “Perché stai con lui?” le chiese ignorando la sua domanda.
    “Che vuoi dire?”
    “Perché stai con Masaki!?” le ripeté arrabbiato.
    “Perché mi piace e poi questi non sono affari tuoi”.
    Stefano la guardava, “ma che ci trovi di bello, andiamo è cinese” le disse scioccato da quella risposta.
    “Non è cinese, è giapponese, il che è diverso” disse infastidita, “io me ne vado, qui non c’è niente da vedere e mi stai dando ai nervi”.

    Masaki camminava in silenzio insieme agli altri, continuava a pensare alla leggenda che gli avevano appena raccontato, dopo tante ricerche finalmente avevano trovato quella giusta. Voleva parlarne con Miriam, trovare una soluzione insieme a lei, ma lei invece di stare con lui aveva deciso di seguire quel ragazzo e la cosa gli aveva dato parecchio fastidio, era geloso. Stefano le girava sempre intorno e lui non sapeva come fare per fargli capire che Miriam era sua e perciò doveva lasciarla in pace.
    “Vado a cercare Miriam” disse ai suoi amici e senza neanche dargli il tempo di rispondere, si voltò e iniziò a correre.
    Ripercorse tutta la strada che avevano fatto senza mai fermarsi, neanche per riprendere fiato, imboccò la via che gli aveva visto fare; non aveva idee di dove portasse, era una viuzza stretta che si snodava fra le case.
    Guardò in ogni vicoletto, in ogni angolo, persino nei negozi, ma non li trovò. Scoraggiato imboccò una stradina fra due case, salì le scale di corsa, aveva il fiatone, si poggiò con le mani sulle ginocchia per prendere fiato, non aveva mai corso così tanto, gli facevano male i polmoni. Si portò una mano sullo sterno e massaggiandosi il petto alzò la testa, non riuscì più a muoversi, il suo corpo non rispondeva più agli stimoli che gli mandava il cervello, era bloccato, Miriam era davanti a lui e stava baciando Stefano.
    Quando finalmente riuscì a riprendere il controllo del suo corpo, andò dritto da loro, afferrò il ragazzo dal braccio e tirandolo gli diede un pugno in pieno viso. Stefano lo guardò con aria di sfida e in quel momento ricordò dove l’aveva visto, “il ragazzo della piscina” pensò e proprio come aveva fatto quella volta lo ignorò, prese Miriam per mano e la trascinò via. Come una furia uscì da quella stradina rimettendosi sulla via principale.

    “Masaki, fermati” gli disse sottovoce. “FERMATI!” gli urlò, lui s’immobilizzò. “Masaki…”
    “STA ZITTA MIRIAM!” le urlò arrabbiato voltandosi verso di lei.
    “Masaki, io… cioè lui” iniziò a dirgli, ma lui la bloccò.
    “Non voglio sapere niente, non so neanche perché ti ho trascinato via, dovevo lasciarti con quel coglione” le disse, nelle sue parole scaricò tutta la rabbia e il nervosismo che aveva addosso, “sei esattamente come le altre”.
    “Aspetta, fammi spiegare, ti prego” insistette, “io non…”

    Ma a Masaki non importava niente delle sue spiegazioni. In quel momento provava solo disgusto per lei. Si sfilò il braccialetto che aveva al polso e lo buttò per terra, “torno a Malta, non voglio più vedere la tua faccia. Mi fai venire il volta stomaco” gli disse, si voltò e se ne andò.

    Miriam si lasciò scivolare per terra, le parole di Masaki le fecero più male di un pugno nello stomaco. Raccolse il braccialetto e asciugò il ciondolo con le dita, si era bagnato sotto la pioggia, che stava iniziando a cadere.

    Masaki senza mai fermarsi, arrivò davanti alla biglietteria del porto, aveva ancora quella scena davanti agli occhi. Miriam l’aveva usato, proprio come tutte le altre e lui come al solito si era fatto ingannare dalle belle parole. Anzi, questa volta era anche peggio, si era innamorato, si era fatto coinvolgere in quell’assurda situazione e per lei aveva messo da parte anche il suo lavoro.
    Sentì una fitta al petto e un nodo formarsi in gola, alzò lo sguardo al cielo cercando inutilmente di fermare le lacrime che scivolavano lentamente sul suo viso camuffandosi con la pioggia, si sentiva un’idiota per quella reazione, ma stava male e non riuscì a controllarsi.

    “Biglietto prego”.
    Aprì il portafoglio per prenderlo e un petalo rosso cadde a terra volteggiando, era il petalo di Miriam. Lo raccolse e se lo passo fra le dita lisciandolo; in quel momento tutte l’emozioni che aveva provato dal giorno in cui l’aveva conosciuta, gli ritornarono alla mente. L’amava più di qualsiasi altra cosa, lei era il suo “porto sicuro”, con lei poteva essere se stesso, ma non riusciva a perdonarla per quello che aveva fatto, era deluso. Miriam baciava Stefano esattamente come faceva con lui. “E se invece era lui che stava baciando lei?” gli disse una vocina nella sua testa, non aveva considerato quell’opzione e ora che ci pensava, la cosa poteva essere plausibile, in fondo lui non faceva altro che girarle intorno, come un cane che gira intorno all’osso.

    “Scusi, il biglietto” gli ripeté il controllore.
    “Non posso” gli disse sottovoce, distogliendo lo sguardo dal petalo.
    “Come scusi?” gli chiese confuso.
    “Non posso” ripeté con un tono di voce più alto.
    Uscì dalla fila e iniziò a correre per andare da lei, convinto di trovarla dove l’aveva lasciata, ma lì non c’era. Si guardò intorno sperando di vederla, ma di Miriam non c’era neanche l’ombra, provò a chiamarla sul cellulare, ma per colpa del mal tempo non c’era segnale. La paura si fece largo dentro di lui, pensava a come l’aveva trattata, a come lei gli chiedeva d’ascoltarla. L’immagine del suo sguardo gli ritornò alla mente, Miriam era spaventata, terrorizzata e nei suoi occhi si percepiva benissimo quella sensazione, ma lui lo capì solo ora, prima era troppo arrabbiato per rendersene conto.
    Riprese a correre, la pioggia si faceva sempre più fitta e si era alzato anche il vento, ma lui non si fermò, la cercò ovunque, ritornò anche al giardino di Marsilya, ma Miriam non era neanche lì.
    Scoraggiato si sedette su un marciapiede sotto il balcone di una casa, cercando di ripararsi dalla pioggia; gli facevano male le gambe, aveva freddo e faceva fatica a respirare. Si poggiò con i gomiti sulle ginocchia prendendosi il viso tra le mani, tremava come una foglia; guardava la strada sperando di vederla passare; era così concentrato che a fatica sentì il telefono che gli squillava in tasca, “Miriam!” esclamò rispondendo.
    “No, brutto idiota, sono Kazu. Si può sapere dove cazzo sei? È un’ora che ti stiamo cercando. E come cazzo ti viene in mente di lasciare Miri-chan in quel modo?”.
    “È con voi?” gli chiese animandosi.
    “Sì, è qui con noi”.
    “Qui dove?” continuò a chiedergli.
    “Siamo al Ringo hotel, vicino al porto; i traghetti non partono e abbiamo deciso di passare la notte qui”.
    “Arrivo!”

    Si rimise il telefono in tasca, e di corsa raggiunse l’hotel; lo trovò con un pò di fatica, era nascosto da alcune case.
    “Ehm Sakurai?” chiese alla reception, sperando che come al solito la stanza fosse prenotata a nome di Sho.
    “Wait a moment” gli rispose prendendo il telefono, compose un numero e coprendosi la bocca con la mano iniziò a parlare.
    Masaki non capì una parola di quello che stava dicendo, la guardava impaziente; lei riagganciò e senza dargli una spiegazione riprese il suo lavoro.
    Dopo qualche minuto vide Sho venirgli incontro, gli fece segno di seguirlo; in silenzio percorsero il corridoio fino ad arrivare alla loro camera, “entra” gli disse dopo aver aperto, era una stanza piccola, ma carina con tre letti e un divano.
    Aveva gli occhi di tutti puntati addosso, erano arrabbiati, “dov’è Miriam?” chiese guardandosi intorno.
    “Si può sapere che cazzo ti passa per la testa?” gli chiese Nino fiondandosi verso di lui, era molto più arrabbiato rispetto agli altri, “perché cazzo l’hai lasciata lì”.
    “Abbiamo litigato, ero arrabbiato, lei baciava con quel tizio e non c’ho visto più” gli spiegò.
    “Masaki, lei non ha baciato Stefano” gli disse Sho.
    “Certo che l’ha baciato, li ho visti con i miei occhi”.
    “Aiba-chan si l’hai visti” intervenne Ohno, “ma lei non stava baciando nessuno. Stefano, ehm come dire, l’ha presa con la forza e se non fossi arrivato tu a fermarlo chissà cosa sarebbe successo”.

    Masaki l’ascoltò incredulo, la verità lo investì in pieno come un tir ad alta velocità. Si sentiva un’idiota per come si era comportato, non le aveva dato neanche la possibilità di spiegarsi, aveva dato tutto per scontato, scaricandole la colpa addosso.
    “Dov’è Miriam?” chiese di nuovo.
    “È giù nella hall, vuole stare da sola” gli spiegò Antonella, “ha bisogno dei suoi spazi”.
    “Vado da lei… io… devo scusarmi, le devo chiedere scusa” disse confuso.
    “Aiba-chan!?” lo chiamò Mary “grazie per essere arrivato in tempo”.

    Masaki le rispose con un sorriso, anche se non meritava i suoi ringraziamenti. Non era stato in grado di proteggerla, l’aveva lasciata da sola sotto la pioggia e l’aveva insultata inutilmente.
    Uscì dalla stanza, camminava lentamente e a fatica raggiunse la hall, con lo sguardo percorse tutta la stanza e solo dopo aver guardato per la seconda volta la vide, era accovacciata davanti all’acquario e faceva le smorfie ai pesci, Masaki non poté far altro che sorridere.
    “Miriam” la chiamò avvicinandosi, lei sobbalzò, guardò per un attimo nella sua direzione e poi abbassò gli occhi. “Miriam, scusa” le disse accovacciandosi di fianco e lei e prendendole il viso tra le mani.
    “Lasciami” gli ordinò, “non vorrei che ti venisse da vomitare vedendo la mia faccia” aggiunse liberandosi dalla sua presa, si alzò e se ne andò.
    “Aspetta, ti prego” le disse e alzandosi gli girò la testa.
    “Oh certo come no, ti aspetto e ti ascolto proprio come hai fatto tu con me”.
    “Miriam, per favore” la supplicò.
    Lei si voltò, voleva mandarlo a quel paese, ma lo vide poggiarsi al muro e accasciarsi a terra. “Che hai?” gli chiese avvicinandosi.
    “Scusa Miriam” gli ripeté, la sua voce era debole.
    “Masaki, che hai?” continuò a chiedergli, “Masaki!” lo chiamò strattonandolo dal braccio, ma lui non rispose, tremava e il suo respiro era affannoso. Istintivamente gli poggiò una mano sul fronte, era bollente, “ce la fai ad alzarti?” gli chiese, lui rispose con un verso, che Miriam prese per un sì.
    Con un pò di fatica sì alzò e le passò un braccio intorno alle spalle.
    “Devi assolutamente toglierti questi vestiti” gli disse.
    Masaki si poggiò a lei, il suo respiro era sempre più affannoso “scusa” continuava a ripetere.
    “Sh~! Sta zitto, basta scusarsi okay? Ho già dimenticato tutto” gli disse cercando di rassicurarlo, lui accennò un sorriso.
    Miriam barcollando arrivò davanti la porta della loro stanza e iniziò a bussare con i piedi, per farsi aprire.
    “Ti sembra questo il modo di bussare?” le chiese Jun aprendo.
    “Jun sta zitto e aiutami, credo che stia per svenire”.
    L’afferrò dal bracciò e insieme a Miriam lo portarono dentro.
    “Che è successo?” le chiese Mary preoccupata, appena li vide.
    “Credo gli sia venuta la febbre” le spiegò, “e anche bella alta. Dobbiamo togliergli questi vestiti, sono fradici” aggiunse dopo averlo sistemato sul letto.

    Lei lo guardava, non sapeva cosa fare, non li vedeva e non poteva aiutarlo.

    “Lascia facciamo noi” le disse Nino avvicinandosi, seguito da Ohno e Sho.
    Miriam si spostò per non essere d’intralcio, si guardava le mani, le tremavano, si sentiva inutile, non poteva fare niente per aiutarlo, neanche le cose più semplici, come sfilargli una maglietta.
    “Anto, nel mio zaino dovrebbero esserci le aspirine per l’influenza” le disse Jun mentre lo spogliavano, “sciogline due in mezzo bicchiere d’acqua”.
    Lei eseguì i suoi ordini, “tieni” gli disse passandoglielo.
    “Bevi” gli ordinò.
    Masaki la bevve tutta, faceva schifo; Mary andò in bagno, prese un asciugamano e dopo averla bagnata gliela sistemò sulla fronte.
    “Miriam!” la chiamò lui con un filo di voce.
    Lei non rispose, continuava a guardarsi le mani, con sguardo vuoto. Antonella le diede un gomitata riportandola alla realtà, “ti sta chiamando Masaki” le disse indicandolo.
    “Sì, dimmi?” gli chiese, rimanendo in disparte, nel suo angolino, con la testa bassa.
    “Oh~! Ma insomma, piantala!” le disse Antonella spingendola verso il letto.

    Lei in imbarazzo si avvicinò e si sedette di fianco a lui, “scusa” le ripeté spostandole il ciuffo con le dita.
    “Basta scusarsi” gli disse stringendogli la mano, lui si alzò di scatto e l’abbracciò, “non volevo dirti quelle cose” gli sussurrò.
    Lei lo strinse.
    “Beh…mi è venuta fame!” esclamarono Ohno e Nino contemporaneamente.
    “Sì, anche a noi” concordarono gli altri, velocemente uscirono dalla stanza, e ripresero il discorso che avevano lasciato a metà, stavano organizzando una festa a sorpresa per il compleanno di Miriam.
    Quando finalmente smise di piovere, Anto e Mary, uscirono per andare a comprare una torta al cioccolato, la sua preferita.
    I ragazzi invece si occuparono delle bevande, il che fu un problema, perché comprarono solo birre e alcolici vari, secondo loro non era una vera festa senza alcol.
    Ritornarono in hotel e aspettarono la mezzanotte nella hall, dandogli così tutto il tempo possibile per chiarirsi. -

    “Masaki, sdraiati ora” gli disse Miriam sciogliendo l’abbraccio, lui si sdraiò e lei lo coprì subito col lenzuolo, “hai freddo?” gli chiese, riusciva a percepire il tremore del suo corpo.
    “Un pò”. Miriam aprì l’armadio sperando di trovare una coperta, la presa e lo coprì, “grazie” le disse accennando un sorriso.
    Lei non rispose, gli spostò i capelli e gli sistemò di nuovo l’asciugamano bagnata sulla fronte. “Che hai fatto al polso?” le chiese, aveva notato dei segni che la mattina non c’erano.
    “Oh, ehm tranquillo non è niente” disse cercando di nasconderlo con la mano.
    “Te l’ha fatto lui?” continuò a chiederle.
    “Sì, ma per favore, non ne parliamo, voglio dimenticare tutto il prima possibile”.
    “Mi dispiace per quello che è successo” le disse mortificato, “sono stato uno stupido”.
    “Masaki, non è colpa tua, non sei tu che ti devi scusare. E la stupida sono io, sono troppo ingenua e finisco sempre nei casini”.
    Lui non rispose, le prese la mano e gliela strinse, le passò le dita su quel livido, aveva la forma della mano di Stefano, “scusa” le disse di nuovo.
    “Sh~! Sta tranquillo” gli disse sistemandogli meglio la coperta, “dormi adesso”.
    Masaki le rispose con un cenno della testa e girandola di lato si addormentò.
    Miriam rimase di fianco a lui per tutto il tempo, ogni mezz’ora bagnava l’asciugamano e gliela rimetteva sulla fronte, in modo da tenerla sempre fresca; nella cassettina del pronto soccorso che era in bagno trovò un termometro, lo prese e con un pò di fatica riuscì a misurargli la temperatura, 39° C.
    Si svegliò intorno alle undici, gli veniva da vomitare, lei l’aiuto ad alzarsi e lo portò in bagno, gli tenne la testa alta mentre vomitava e a fatica riuscì a trattenersi, non era brava in queste cose.
    “Grazie Miri-chan” le disse, mentre ritornavano a letto.
    “Masaki dovevi cercare un riparo dalla pioggia, non me” gli disse avvicinandosi alla finestra per guardare il cielo, cercava la sua stella, ma per colpa delle nuvole non si vedeva niente.
    “Tu sei più importante” le disse alzandosi.
    “Torna a letto” gli ordinò appena lo vide.
    “Miriam, ascoltami, ti prometto che d’ora in poi non dubiterò più di te. Sono stato uno scemo e ti ho detto cose che non meritavi. Non è vero che non voglio più vedere la tua faccia… io, voglio vederla ogni giorno, sempre” le disse abbracciandola e prendendola per mano si avvicinarono al letto.
    In quel momento una folata di vento aprì la finestra ed entrò nella stanza, Miriam si sentì di nuovo invadere da quella strana sensazione, come se il vento l’attraversasse.
    Masaki lasciò la sua mano e si avvicinò alla finestra per chiuderla, quando si voltò Miriam lo fissava.

    “Mancano dieci minuti a mezzanotte” osservò Antonella guardando l’orologio.
    “Ci conviene andare, allora” disse Jun alzandosi.

    Avevano organizzato tutto nei minimi dettagli. Sulla torta avevano sistemato due candeline verdi, un due e un cinque. Avevano comprato lo spumante da farle stappare e anche le scintille da accendere sul balcone.
    Camminavano in silenzio, Nino davanti a tutti teneva la torta, facendo attenzione a non farla cadere.

    Miriam fissava Masaki sbattendo le palpebre incredula.
    “Che ti prende?” le chiese, ma lei non rispose. Si avvicinò, gli prese il viso fra le mani e iniziò a studiarlo.
    Masaki la guardava confuso, non capiva quello che stava facendo.

    Il suo viso era un pò più magro rispetto a come se lo ricordava, ma era ugualmente bello. I capelli erano tagliati esattamente come le piacevano a lei, corto, sfumato sul collo e leggermente più lungo sulle orecchie e sulla fronte; erano castani, con riflessi più chiari provocati dal sole. La sua pelle aveva preso colore, era diventata bronzea. Con mani tremanti gli sfiorò i due nei sulla guancia destra e sorridente passò a quello vicino l’occhio. Tracciò il contorno delle labbra, sembravano disegnate, erano lisce, morbide e leggermente carnose; le teneva socchiuse, riusciva a sentire il suo respiro passargli fra le dita.

    “Miriam, che…” iniziò, ma lei lo zittì, mettendogli un dito sulla bocca.
    Dal viso le sue mani scivolarono lungo il collo, fino alle clavicole, ne seguirono la linea fino alle spalle, il suo sguardo si spostò su quella sinistra, fissava la voglia che gliela copriva per metà. Delicatamente gli sfiorò le braccia, erano sottili, ma nonostante questo la facevano sentire protetta, al sicuro ogni volta che la stringevano. Gli prese le mani, erano calde, rassicuranti. Guardò attentamente quelle mani che la facevano sentire bene tutte le volta che si intrecciavano con le sue, quelle mani che le avevano asciugato le lacrime e che le avevano sfiorato delicatamente il corpo, quella notte in spiaggia, lasciandole una traccia addosso.
    Quelle mani, che avrebbe voluto continuare a stringere per sempre.
    Il suo sguardo si spostò sul petto, sulla piccola cicatrice che portava dal 2002, “non stare più male” gli disse sfiorandola.
    Masaki le alzò il viso; lei si perse nel castano dei suoi occhi. Il suo sguardo era come una calamita, non riusciva a distogliere lo sguardo da quegli occhi, che tante volte aveva sperato di vedere e che ora li aveva davanti e la guardavano curiosi.
    Masaki era bello, bello da mozzare il fiato.
    “Miriam che succede?” le chiese, ma lei continuò a non rispondere, era troppo concentrata.
    “Masaki sei bellissimo” gli disse dopo qualche minuto di silenzio.
    “Come scusa?”
    “Sei bellissimo” gli ripeté, “i tuoi lineamenti, sono perfetti” continuò a dirgli, “non riesco… non riesco a non guardarti… sei bellissimo”.
    “Mi-mi vedi?! Riesci a vedermi?” le chiese incredulo.
    Miriam rispose con un cenno della testa, “ti vedo Masaki! Riesco a vedere tutto. Il tuo viso. Il tuo corpo. Le tue mani. Tutto!” gli disse.
    Lui l’abbracciò, non riusciva a crederci; finalmente quell’incubo era finito. Miriam si era “svegliata”, riusciva a vederlo.
    Lei si strinse nel sul abbraccio, “carini i boxer con i panda” gli disse ridendo.
    “Oh… ehm me li hanno regalati i ragazzi dopo la puntata dello Shimura” le spiegò, le sue guance stavano diventando rosse e non per colpa della febbre. “Ti sembra il momento di guardarmi le mutande?” le chiese cercando di nascondere l’imbarazzo.
    “Si” gli disse sorridente; e alzandosi sulle punte dei piedi lo baciò.
    Era un bacio diverso da quelli che gli aveva dato finora, era dolce, delicato, romantico… unico. Nel momento in cui le loro labbra erano entrate in contatto il tempo intorno a loro si era fermato; non percepivano più niente, se non il desiderio l’uno dell’altro crescere dentro di loro. Si sentirono invadere il corpo da una sensazione di calore, qualcosa che non avevano mai provato prima, qualcosa a cui nessuno dei due sapeva dare un nome.
    Miriam si strinse forte nel sul abbraccio, “Ti amo Masaki” gli disse sottovoce, ora che finalmente lo vedeva, riusciva anche ad esprimere meglio i suoi sentimenti.
    “Ti amo anch’io cucciola” le disse dopo averle dato un bacio sulla fronte. “Ach~!”
    “Ora ritorna a letto” gli ordinò lei ridendo
    “Hai!” rispose lui.
    Miriam gli si sdraiò affianco, continuava a fissare il suo viso.

    ♪Happy birthday to You, happy birthday to You.
    Happy birthday dear Miriam.
    Happy birthday to You! ♪



    I ragazzi entrarono nella stanza, con un’enorme torta, sia Miriam che Masaki li guardarono sbalorditi. “OTANJOUBI OMEDETO, MIRI-CHAN!” esclamarono in coro.
    “Ragazzi ma che vi salta in testa” gli disse Masaki, convinto che Miriam si arrabbiasse, ma lei lo bloccò, “Arigatou” gli disse sorridente e un pò in imbarazzo.
    “Esprimi un desiderio” le disse Nino prima di farle soffiare le candeline.
    “Il mio desiderio si è già avverato” gli rispose guardando Masaki, chiuse gli occhi e soffiò. “Grazie ragazzi” continuò a dirgli sorridente, si sentiva stranamente felice.
    Anto, Mary e gli Arashi le fecero recuperare otto anni di compleanni persi, festeggiarono fino a tardi.

    “Allora Miriam, ne devi accendere una per ogni anno” le disse Ohno, mentre andavano sul balcone.
    “Ragazzi voglio venire anch’io; mi sento meglio ora” insistette Masaki.
    “No, tu resti a letto” gli ordinò Sho, “a proposito, lì c’è un pigiama” aggiunse indicando una busta poggiata sul comodino.
    “È enorme!” esclamò guardandolo, “ci entro tre volte” ma i ragazzi lo ignorarono.

    Velocemente lo indossò e si rannicchiò sul divano vicino la finestra, li guardava con aria triste; anche lui voleva essere lì fuori a divertirsi, ma invece l’avevano costretto a rimanere dentro. Per tutto il tempo guardò Miriam giocare insieme a Nino con le scintille; quei due andavano molto d’accordo, sembravano veramente fratello e sorella; iniziò a sorridere ripensando a come aveva dubitato di Nino, ma era geloso di Miriam e allora ancora non conosceva il suo segreto.
    “Come facciamo con i letti?” chiese Jun entrando.
    “Ce la giochiamo a jankan” rispose Ohno, “chi perde dorme sul divano, chi vince invece, si prende il letto matrimoniale”; avevano dovuto prendere per forza una stanza tutti insieme, l’hotel era pieno e l’unica disponibile era una tripla, ma l’avevano presa solo perché c’era il divano, perciò due di loro avrebbero dovuto dormire lì.
    A vincere fu Jun, mentre a perdere fu Miriam, che aveva giocato al posto di Masaki.
    “Miri-chan, ci dormiamo noi sul divano” le disse Nino lanciandole un cuscino addosso, “così stiamo più vicini” gli sussurrò a Ohno nell’orecchio.
    “Baka!” gli rispose dandogli uno schiaffo in testa.
    “Allora buonanotte ragazzi” disse Mary spegnendo le luci.
    Si infilarono ognuno nel proprio letto, si addormentarono nel giro di qualche minuto, tutti tranne Miriam.
    Lei non riusciva a prendere sonno; guardava Masaki che gli dormiva affianco tutto rannicchiato. Il suo viso era illuminato dalla luce di un lampione che penetrava attraverso le tende; con le dita gli spostò i capelli e facendo attenzione a non svegliarlo gli accarezzò il viso, era caldo, nonostante la febbre fosse scesa; dormiva profondamente, sembrava un bambino.
    Decise di alzarsi e andare sul balcone, cosi da farlo stare più comodo; si sedette sul piccolo divanetto e alzò gli occhi al cielo, si stava aprendo, riusciva a vedere le stelle, “buon compleanno Miriam” pensò guardandole.
    Si rannicchiò sul divano stringendosi le braccia intorno alle gambe, il suo sguardo si poggiò su quel livido e in un attimo le ritornò alla mente tutto quello che era successo quel pomeriggio; si sentì invadere di nuovo da quella sensazione di paura e alcune lacrime le rigarono il viso. Non riusciva a smettere di pensare a come Stefano l’aveva afferrata dal polso e con forza l’aveva attirata a se, si sentiva ancora le sue mani e il suo sguardo addosso, si sentiva sporca.

    “Miriam tutto okay?”
    Lei sobbalzò, “Masaki non dovresti uscire” gli disse asciugandosi gli occhi.
    “Fammi spazio” le ordinò ignorando completamente quello che gli aveva detto; si sedette di fianco a lei e abbracciandola la copri con la coperta. “Sta tranquilla, quel tipo non si avvicinerà più a te; io non gli permetterò di farti del male” le disse stringendola.
    Lei si accoccolò fra le sue braccia e gli diede un bacio sul collo, “scusami, non sarei dovuta andare con lui” gli disse con tono dispiaciuto, “sembrava un bravo ragazzo, non pensavo che…”
    “Miriam” la bloccò, “mi devi promettere una cosa” le disse serio.
    “Cosa?”
    “Fra cinque giorni, quando questa vacanza sarà finita, ognuno di noi riprenderà la propria vita, tu ritornerai in Italia e io a Tokyo. Da lì non sarò in grado di proteggerti, perciò promettimi che non farai niente di stupido, che cercherai di stare lontano dai guai e soprattutto che non sarai così ingenua. Non posso rischiare di perderti”.
    “Te lo prometto Masaki” gli disse abbassando gli occhi mortificata.
    Lui le diede un bacio sulle tempie e lei poggiò la testa sulla sua spalla “posso farti una domanda?” le chiese.
    “Si certo”.
    “Perché non hai detto agli altri che riesci a vedermi”.
    “Oh, beh… ecco… mi avrebbero, anzi ci avrebbero riempiti di domande. Avrebbero voluto sapere tutti i dettagli. E non credo di essere pronta a condividere quel momento con loro” gli disse, “e tu perché non l’hai detto?”
    “Per le stesse ragioni” rispose serio, “voglio che rimanga una cosa fra me e te, una cosa solo nostra” aggiunse abbracciandola.
    “Grazie!” gli disse ricambiando il suo abbraccio, “grazie per tutto quello che hai fatto e che continui a fare per me”.
    Masaki si sdraiò e poggiò la testa sulle sue gambe, lei gli accarezzò il viso dolcemente, lo guardò per tutto il tempo; voleva recuperare tutti quei giorni in cui non l’aveva visto.
    “Masaki” lo chiamo dolcemente svegliandolo “vieni torniamo a letto” gli disse, “stai tremando e non voglio che stai di nuovo male”.
    “No tranquilla, sto bene” le disse con la voce impastata di sonno.
    “Sì come no, stai benissimo” rispose sarcastica.
    Masaki non rispose, Miriam aveva ragione, per quanto cercasse di nasconderlo, aveva freddo.
    Si sdraiarono uno di fronte a l’altro, abbracciati, “perché non dormi?” le chiese sottovoce notando che cercava di tenere gli occhi aperti.
    “Perché ho paura” gli confessò, “ho paura che se chiudo gli occhi, poi non riesco più a vederti”.
    Masaki iniziò a sorridere, “dormi cucciola” le disse con voce dolce, “domani sarò ancora qui al tuo fianco e riuscirai a vedermi anche meglio di ora”. Le diede un leggero bacio sulle labbra e la strinse a se, le fece i grattini fino a farla addormentare.
    La guardò mentre dormiva fra le sue braccia, fino ad addormentarsi anche lui.


    Capitolo 27

    “Siamo usciti
    M²”



    Lesse Jun, dopo aver preso un bigliettino sul letto di Miriam e Masaki; quella mattina si erano svegliati prima degli altri e avevano deciso di andare un’ultima volta nel giardino di Marsilya, c’era una cosa che ancora non capivano.
    Arrivati davanti la statua, lessero di nuovo la targa su cui erano incisi gli ostacoli-
    “Uhm la vista okay, l’incidente anche, ma tutto il resto manca” gli disse Miriam per la terza volta e, alzandosi iniziò a girare intorno alla statua ripetendo gli ostacoli come un mantra.
    “Miriam sta ferma, per favore” la pregò Masaki, “mi gira la testa solo a guardarti”.
    Ma lei lo ignorò, era così concentrata da non riuscire a sentire quello che le stava dicendo, “ho capito!” esclamò accovacciandosi di fianco a lui. “Proibizione, Ohno ci ha vietato di vederci, ma grazie a Nino e a gli altri ci siamo visti lo stesso. Gelosia, eri geloso di Stefano” gli disse guardandolo.
    “Se dobbiamo dirla tutta ero geloso anche di Nino” le confessò in imbarazzo.
    “E perché?” gli chiese confusa.
    “Perché con lui scherzavi e ridevi, mentre con me eri sempre triste, non parlavi e mi trattavi malissimo” rispose abbassando gli occhi; “lui è stato il primo a sapere quello che ti stava succedendo, e con lui facevi le cose che volevo facessi con me”.
    “Scusa se non te l’ho detto prima” gli disse dispiaciuta, “ma veramente non ci riuscivo, c’ho provato un sacco di volte, ma o mi bloccavo o veniva qualcuno ad interromperci. E con Kazu non facevo le cose che faccio con te” aggiunse spingendolo.
    Masaki perdendo l’equilibrio cadde a terra, “questo con Kazu non l’ho mai fatto” disse sdraiandosi sopra di lui, “e neanche questo” continuò, dopo avergli dato un bacio all’angolo della bocca, “e figurati se facevo questo” concluse dandogli un leggero bacio sulle labbra. “Solo con te faccio queste cose, e non voglio farle con nessun’altro”.
    Masaki la strinse forte a se.
    “Il tuo cuore batte velocissimo” gli disse poggiando la testa sul petto.
    “È colpa tua” le rispose serio “ogni volta che mi sei vicino mi fai quest’effetto. Miriam” la chiamò dopo qualche minuto di silenzio, “non m’importa di trovare una spiegazione a questa storia, anche perché non la troveremo mai. A me importa solo che finalmente riesci a vedermi; non ce la facevo più a sopportare questa cosa, stavo diventando matto. Da quando me l’hai detto sono diventato insicuro su tutto, non ero sicuro neanche di me stesso. Avevo tremila dubbi, avevo paura e ce l’ho anche ora” le confessò.
    “Di cosa avevi e hai paura?”
    “Tu mi hai visto solo in televisione, e sono diventato il tuo ichiban grazie alle cose che vedevi, ti sei interessata all’Aiba Masaki Idol” le spiegò, “fino a ieri non mi avevi mai visto dal vivo, non avevi mai visto l’Aiba Masaki normale e non sapere quello che pensi di me come persona normale e non famosa, mi fa paura”.
    “Masaki guardami” gli ordinò sedendosi a cavalcioni su di lui, “a me non importa se sei un Idol, un barbone o chissà cosa” gli disse, guardandolo negli occhi, “io mi sono innamorata di te da quando sei venuto a presentarti su quel balcone. Mi sono innamorata di te perché nonostante ti rispondevo e trattavo male, tu non mi hai mai lasciata sola e hai cercato sempre di farmi sorridere, anche se delle volte meritavo di essere mandata a quel paese. Mi sono innamorata di te perché quel giorno in spiaggia mi hai fatto toccare il cielo con un dito. Tu mi fai sentire importante, amata, protetta. Hai rimesso insieme i pezzi della mia vita, hai riempito quella voragine che avevo nel petto. Tu mi hai fatto capire che la mia vita non può fermarsi per una persona, che per quanto importante sia, io devo continuare a vivere. Io ti amo Masaki e ti amo da sempre!”
    “Ti amo anch’io Miriam” le disse stringendola forte e sdraiandosi di nuovo sul prato ascoltarono in silenzio i loro respiri unirsi.
    “Forse dovremmo ritornare in hotel” le disse, mentre le accarezzava i capelli.
    “Si fra poco” gli rispose accoccolandosi fra le sue braccia.
    “Dobbiamo andare cucciola, dobbiamo ritornare a Malta”.
    “Non voglio, voglio rimanere qui fra le tue braccia” gli disse con tono lamentoso.
    “Baka!” le rispose sorridente, “fra le mie braccia puoi starci anche a Malta”.
    “Sì, ma non è la stessa cosa, io voglio stare qui”.
    “E come farà Danny-chan senza di te?” le chiese prendendola in giro.
    “Oh mio Dio! Danny!” esclamò alzandosi di scatto, “dobbiamo ritornare immediatamente” disse nel panico.
    Masaki scoppiò a ridere, aveva le lacrime agli occhi, “non ridere” lo sgridò, “anche tu dovresti preoccuparti per Danny”.
    “Sono preoccupatissimo” continuò a prenderla in giro.
    “Antipatico” gli disse con tono offeso. Masaki si alzò e l’abbracciò, “non fare il ruffiano, non ti perdono”.
    “Neanche ora?” le chiese dopo averle dato un bacio sul collo.
    “Forse” rispose voltandosi verso di lui.
    “E ora?” chiese baciandola.
    “Perdonato” gli rispose ricambiando il suo bacio.
    “Ora però, dobbiamo andare cucciola” le disse prendendola per mano.
    “Aspetta! Perché non scriviamo anche noi qualcosa?” gli chiese indicando una targa sul lato sinistro della statua, che finora nessuno dei due aveva notato.
    Masaki si avvicinò, su quella targa vi erano incise tutte le iniziali delle persone che erano state lì, “che scriviamo?”.
    “Uhm, ho un idea” gli rispose, mentre prendeva un foglio e una matita nel suo zaino.
    “Miriam, ma quanta roba hai lì dentro?!” le chiese incredulo.
    Quello zaino era strapieno, se avevi bisogno di qualcosa, sicuramente nello zaino di Miriam la trovavi.
    C’erano quaderni, un kit da disegno, il computer, il lettore mp3, cavi usb, un hard disk, un mini vocabolario, un paio di libri nel formato tascabile, alcuni fumetti e altre cianfrusaglie varie, ma ad attirare l’attenzione di Masaki, furono tre confezioni di cerotti e guardandoli sorrise.
    “Che ne pensi?” gli chiese mostrandoglielo.
    “Mi piace, ma riesci ad inciderlo?”
    Lei rispose con un cenno della testa, poggiò il foglio sulla targa e con la penna per le incisioni iniziò a ricalcare il disegno, tolse il foglio e con forza calcò l’impronta.
    Masaki la guardava in silenzio, il suo viso era serio, concentrato, era la seconda volta che vedeva quell’espressione; l’aveva vista per la prima volta durante la caccia alla bandiera, mentre cercava di trovare il cofanetto giusto e, proprio come quella volta non riuscì a staccarle gli occhi di dosso.
    “Ho finito!” esclamò soddisfatta, “com’è venuto?” gli chiese.
    “Ehm cosa?!” rispose confuso.
    “Il disegno, com’è venuto?”
    “Benissimo” le rispose sorridente.
    Miriam aveva inciso due pezzi di un puzzle incastrati fra di loro, con una piccola “M²”; perché loro erano esattamente come quelle tessere, combaciavano alla perfezione, si completavano a vicenda.
    Si guardarono un’ultima volta intorno e mano nella mano uscirono dal giardino.
    “Aspettiamo loro per ritornare a Malta” chiese Jun mentre scendevano nella hall.
    “Certo, non mi fido a lasciarli qui” gli rispose Sho, “comunque, voi sapevate tutto vero? E per questo che ci avete portato qui” disse rivolgendosi a Nino e a Ohno.
    “Si, Kazu ieri ha trovato la leggenda e il signor Smith, il tizio della reception, ci ha detto di venire qui” gli spiegò Ohno.
    “Come hai fatto a trovarla?” gli chiese Antonella, “non sei mai uscito dalla stanza”.
    “Non era necessario uscire” le rispose, “avevano la soluzione a portata di mano e non lo sapevano, per tutto questo tempo hanno cercato nel posto sbagliato”.
    “Che vuoi dire?” intervenne Mary.
    “Fra gli omaggi che vi ha dato il signor Smith, c’era un libro” le disse mostrandoglielo, “qui è riportata la leggenda di Marsilya”.
    “C’è scritto anche cosa dobbiamo fare per farle riacquistare la vista?” gli chiese Sho speranzoso.
    “Si” rispose lui serio, “dobbiamo preparare un intruglio con acqua piovana, succo di zucca e radici di qualche pianta. E la devono bere a mezzanotte precisa” concluse scoppiando a ridere.
    “Baka!” esclamarono in coro.
    “Nino stiamo parlando di una cosa seria, non è il momento di scherzare” lo rimproverò Jun, “ora dai il libro ad Antonella” gli ordinò, “così lo legge e vediamo se trova qualcosa”.
    “Non ce n’è bisogno” rispose Ohno, “Kazu l’ha già letto, parla solo della leggenda”.
    I ragazzi rimasero sbalorditi, “Kazu che legge un libro?” chiese Sho incredulo.
    “Non leggo solo manga” gli rispose offeso.
    Arrivati nella hall, Sho e Mary si avvicinarono alla reception, mentre gli altri li aspettarono fuori; grazie alla pioggia del giorno prima l’aria era diventata più fresca, nonostante ci fosse il sole.
    “Ohi raga, dove siete stati?” chiese Jun notandoli.
    “Al giardino di Marsilya” gli rispose Miriam senza mai staccare lo sguardo da Masaki.
    Tutti e quattro li guardarono un pò confusi, c’era qualcosa di diverso in loro, erano più allegri e sorridenti del solito.
    “È successo qualcosa?” chiese Antonella, dando voce alla domanda che tutti pensavano.
    “Riesce a vedermi” le rispose Masaki.
    “Cosa?!” esclamò Mary incredula dopo averli raggiunti “quando è successo?”
    “Ieri sera” le rispose Miriam, e proprio come avevano previsto il giorno prima, li bombardarono di domande, volevano sapere tutti i dettagli, ogni minimo particolare, gli fecero il terzo grado; e solo dopo che risposero a tutte le loro domande decisero che potevano ritornare a Malta.
    Masaki guardava Miriam dormirgli accanto, con la testa poggiata sulla sua spalla; l’abbracciò così da farla stare più comoda, lei si rannicchiò sempre di più su di lui e un leggero sorriso le comparve sulle labbra. Masaki iniziò a sorridere, fra le sue braccia Miriam sembrava così piccola e indifesa, spostandole il ciuffo notò una piccola cicatrice sulla fronte e la sfiorò delicatamente con le dita.
    Si soffermò sugli occhi, quegli occhi l’avevano sempre fregato fin dal primo momento. Aveva delle ciglia lunghissime e, fino a quel momento non ci aveva mai fatto caso; adorava quel suo taglio così insolito per un occidentale, il suo colore, il modo in cui lo guardava, quel suo sguardo da cucciolo, così intenso, profondo, dolce.
    Quello sguardo che nascondeva un intero mondo; capace di dire tutte quelle cose che la sua bocca non riusciva a dire.
    Inevitabilmente iniziò a pensare che fra cinque giorni tutto quello sarebbe finito, che non si sarebbe più trovato i suoi occhi addosso, che non avrebbe più sentito il suo profumo e che non l’avrebbe più potuta stringere fra le sue braccia tutte le volte che voleva.
    I ricordi di quella vacanza per loro non sarebbero stati dei migliori, per colpa di quell’assurda situazione Miriam non era riuscita a vederlo per la maggior parte del tempo, e ora erano rimasti cinque giorni, solo cinque, maledettissimi, giorni.
    Decise così di farle rivivere quei momenti che per lui erano stati importanti, quei momenti che per lui, ma anche per lei erano stati speciali.
    “Ragazze!” le chiamò sottovoce, facendo attenzione a non svegliarla, “ho bisogno del vostro aiuto”.
    “In cosa?” gli chiese Antonella.
    “Oggi è il compleanno di Miriam” rispose lui continuando a guardarla.
    “Sì, questo lo sappiamo” s’intromise Nino con tono pungente.
    “Fallo finire” lo rimproverò Mary, “stavi dicendo Aiba-chan?”
    “Sì, voglio organizzarle qualcosa per stasera” disse con tono serio e imbarazzato allo stesso tempo.
    “Hai già in mente qualcosa?” chiese Jun intromettendosi.
    Masaki rispose con un cenno della testa e velocemente gli spiegò quello che aveva pensato, “oggi dovete tenerla il più lontano possibile da me”.
    “Non sarà facile” l’avvertì Mary, “ma faremo del nostro meglio”.
    “Lo so” le rispose interrompendola, “inventate qualsiasi cosa, non m’importa cosa, ma tenetela lontana da me” ripeté con tono deciso.
    “D’accordo” risposero in coro.
    Arrivati a Malta Jun, Sho, Ohno e Nino con una scusa trattennero Masaki nella hall dell’hotel, mentre le ragazze trascinarono Miriam nella loro stanza. In tutti i modi cercarono di tenerla chiusa lì dentro, ma non fu per niente facile, con qualsiasi scusa cercava sempre di scappare.
    Voleva stare con Masaki e non riusciva a capire perché le sue amiche glielo impedissero.
    “Vado da lui” disse infastidita dopo un paio d’ore.
    “NO!” esclamarono in coro Anto e Mary nel panico.
    “Oh, ma insomma, si può sapere che problema avete?” chiese furiosa, “non potete chiudermi qui dentro, io voglio andare da Masaki, voglio vederlo, finora non ho fatto altro che vedere la sua ombra e ora che finalmente riesco a vederlo voi me lo impedite”.
    “Non ti vietiamo di vederlo Miriam” le rispose Mary.
    “Allora vado da lui” insistette.
    “No Miriam!” intervenne Antonella, “in realtà abbiamo bisogno di un tuo consiglio” le disse cercando d’inventare qualcosa, ma fu preceduta da Mary, “si giusto” le disse, “voglio comprare un regalo a Sho, ma non so cosa prendergli, tu hai qualche idea?”
    “Uhm, un regalo per Sho” ripeté fra se e se, buttandosi sul divano.
    Anto e Mary si guardarono, “bingo!” pensarono scambiandosi sorrisetti, quando Miriam iniziava a pensare niente e nessuno sarebbero stati in grado di smuoverla, si concentrava così tanto da chiudersi nel suo mondo escludendo tutto il resto.
    Per più di mezz’ora rimase ferma in quella posizione a fissare il soffitto con sguardo pensieroso, “una cravatta!” esclamò facendo sobbalzare le sue amiche, intende a fare altro.
    “Come scusa?” le chiese Mary confusa.
    “Il regalo per Sho” le ricordò, “potresti prendergli una cravatta, così può metterla per News Zero”.
    “Buona idea” concordò Anto “usciamo” aggiunse andando verso la porta.
    “Però forse potremmo chiamare Masaki e chiedergli un consiglio” disse, con sorriso furbo sul viso.
    “No” rispose Mary, “non deve saperlo nessuno”.
    Velocemente uscirono dalla suite Miriam le seguì sconsolata, ma non disse niente; Mary doveva avere un buon motivo per non volerlo far sapere agli altri, sicuramente si sentiva in imbarazzo.
    Andarono nello stesso negozio dove Sho, Jun e Masaki comprarono i loro vestiti per la serata di gala, ma Mary non trovò niente che le piacesse; non fu facile scegliere, tutte quelle che le piacevano, venivano bocciate una dietro l’altra da Anto e Miriam, perché non adatte a Sho.
    “Forse una cravatta non è il regalo giusto” le disse Miriam, mentre mangiava un’enorme gelato al pistacchio, “chiamiamo Masaki e ci facciamo aiutare da lui” propose allegra, “sicuramente lui conosce i gusti di Sho, comprano negli stessi negozi”.
    “Ma se l’hai proposto tu” rispose Mary leggermente infastidita, “e no, non chiameremo né Masaki, né gli altri. Perciò, piantala di ripeterlo in continuazione”.
    “Okay, va bene. Scusa non ti arrabbiare” le disse mortificata, abbassando gli occhi.
    Camminarono in silenzio davanti le vetrine dei negozi, Mary le guardava attentamente, il regalo per Sho era una scusa per tenere Miriam occupata, ma ora, più ci pensava, più si convinceva che voleva veramente regalargli qualcosa.
    Voleva che gli rimanesse un ricordo di lei, non sapeva se lo avrebbe rivisto; perciò quella le sembrò un’ottima idea.
    “Ragazze entro un attimo in questo negozio” disse Miriam.
    Era il tipico negozio da nerd che tanto le piaceva, piccolo, ma ben fornito; c’erano magliette della Marvel appese da tutte le parti, cappellini da skater, videogiochi per qualsiasi tipo di console, cuffie e tutte quelle cose che solo a un nerd patentato potevano piacere.
    Miriam le guardava con area sognate, le sue amiche le camminavano dietro guardandosi intorno, quello sicuramente era un negozio in cui non sarebbero mai entrare, se non per farle piacere.
    “Carini i cappellini” disse Mary sorprendendo Antonella, non si sarebbe mai aspettata che le potesse piacere qualcosa, “dai sono carini” ripeté, notando la sua espressione.
    “Io non ci trovo niente di bello” rispose, mentre guardava sorridente alcune cuffie da dj.
    “Ragazze!” le chiamò Miriam distogliendole dai loro pensieri, “possiamo andare”.
    Ma loro non risposero, erano intende a guardare alcuni articoli, “sono carini” disse avvicinandosi; Anto e Mary li guardavano un pò incerte, “sono perfetti per loro” continuò a dire, “gli piaceranno e sono sicura, anzi sicurissima, che li useranno”.
    “E va bene, ci hai convinte” le rispose Anto sorridente.
    “Miriam, non è un pò piccola quella maglietta per Masaki?” le chiese Mary indicando la t-shirt che aveva in mano.
    “Non è per lui, è per Kazu” rispose sorridente, “non credo che Masaki metterebbe mai una maglietta con la faccia di Mario stampata sopra”.
    “Solo tu e Nino avete il coraggio di mettere magliette così orrende” s’intromise Antonella avvicinandosi alla cassa ridendo.
    Pagarono e andarono dritte in hotel, Miriam provò di nuovo ad andare nella suite dei ragazzi con la scusa di dare la maglietta a Nino, ma Anto e Mary riuscirono a tenerla nella loro camera.
    Non ne poteva più di quel comportamento; decise così di aspettare il momento adatto, in cui entrambe si sarebbe distratte, per poter scappare e andare finalmente dal suo Masaki.
    “Miriam!” la chiamò Antonella avvicinandosi, “Mary ha trovato questo vicino la porta” le disse consegnandole un sacchetto.
    Lei l’aprì; all’interno c’era una maglietta verde con cappuccio, sull’angolo basso a sinistra c’era stampata una M² e due piccoli panda, la guardò sorridente.
    Prese il bigliettino e dopo essersi schiarita la voce iniziò a leggere:

    “Buon compleanno Miriam!
    Ti aspetto alle 21.00 dove tutto ha avuto inizio”



    “Che intende con “dove tutto ha avuto inizio?” le chiese Antonella incuriosita da quella frase.
    “Nel giardino tropicale” rispose sorridente “ehm dopo la serata di gala siamo andati nel giardino e mentre eravamo sdraiati sull’amaca si è dichiarato” le spiegò.
    Le brillavano gli occhi, continuava a guardare quella maglietta e il bigliettino, Masaki l’aveva letteralmente sorpresa, “ehm credo sia meglio che vada a prepararmi allora” disse guardando l’orologio.
    “Lo penso anch’io” le rispose sorridendo e scompigliandole i capelli.

    Masaki si abbottonava la camicia lentamente; si sentiva nervoso, ma anche un pò emozionato. Con mani tremanti infilò la giacca e si sistemò i capelli, si guardò un ultima volta allo specchio, prese un respiro profondo ed uscì.
    “Allora… io vado” disse rivolgendosi ai suoi amici.
    “Aspetta” gli disse Sho avvicinandosi, “l’hai messo storto” aggiunse, sistemandogli il papillon.
    “Uhm arigatou” rispose in imbarazzo.
    “Sta tranquillo, okay?” lo rassicurò Jun, “andrà tutto bene”.
    “Mi raccomando non fare danni” intervenne Ohno.
    “E non trattare male Miri-chan” continuò Nino.

    Masaki li guardò e scoppio a ridere, anche se non aveva detto niente, quei quattro “scemi” erano riusciti perfettamente a capire il suo stato d’animo e con quelle poche parole avevano placato il suo nervosismo.
    Senza dubbio loro erano quelli che lo conoscevano meglio di tutti, erano la sua seconda famiglia, anzi no erano la prima; perché lui non faceva nessuna differenza, provava per loro le stesse e identiche cose che provava per i suoi genitori e per suo fratello, gli voleva bene incondizionatamente.
    Continuò a guardarli, ridevano anche loro; il suo pensiero lo riportò a quei giorni, in cui avevano litigato e ancora non riusciva a capire com’era stato possibile. Quella sicuramente era stata la settimana più difficile per gli Arashi, ma proprio grazie a quella lite, ora si sentivano più forti di prima, più uniti. Si sentivano in grado di superare qualsiasi ostacolo che si fosse presentato in futuro.

    “Ora va” gli disse Sho tirandolo dal braccio.
    Lui rispose con un cenno della testa, “ittekimasu” esclamò aprendo la porta, prese un paio di respiri profondi e uscì.
    “Itterashai!” gli risposero in coro.
    “Beh, allora andiamo anche noi” disse Jun.
    “Fate i bravi” li salutò Sho seguendolo.
    Avevano organizzato una cenetta romantica con Anto e Mary; le portarono in un ristorantino sul mare dal quale si poteva ammirare la bellissima baia di St. George.

    Miriam prese un respiro profondo e uscì dall’ascensore, lentamente attraversò l’ala sinistra della balconata e facendo attenzione a non cadere scese le scale, attraversò la hall fino ad arrivare alla porta che dava sul giardino. “Sta calma” pensò prima di uscire, prese un altro respiro profondo e l’aprì.

    Masaki guardò l’orologio, Miriam era in ritardo. Era impaziente, gli sudavano le mani e l’ansia cominciava a prendere il sopravvento, si sentiva nel caos assoluto. Camminava avanti e indietro davanti l’amaca e scompigliandosi i capelli si voltò.
    Miriam era davanti a lui e lo guardava da lontano, lentamente gli si avvicinò, “grazie per il regalo” gli disse arrossendo.
    Masaki non rispose, continuava a guardarla, si sentiva incapace di fare qualsiasi movimento, anche respirare gli sembrava una cosa impossibile da fare.
    “Ehm… pre-prego” le rispose dopo qualche secondo, “ti è piaciuta?”
    “Tantissimo, grazie” gli ripeté sorridente.
    Quel sorriso lo mandò ancora di più in confusione. Era la prima volta che lo vedeva e se ne innamorò all’istante, le aveva illuminato il volto fino a raggiungere gli occhi. E quegli occhi, dio se adorava quegli occhi che brillavano come due enormi fari, come due torce e quel sorriso, quel sorriso gli mozzò il fiato in gola. Con un movimento rapido le prese la mano e l’avvicinò a se abbracciandola.
    “Masaki, tutto okay?” gli chiese un pò preoccupata.
    “Si” rispose stringendola sempre di più, “voglio solo stare un pò così” le spiegò mentre cercava d’ingoiare quel nodo che gli si era formato in gola e che gli impediva di respirare.
    “Masaki che hai?” gli chiese di nuovo.
    “Non lo so neanch’io Miriam” le confessò, mentre alcune lacrime gli bagnavano il viso.
    Senza neanche rendersene conto scoppiò in un pianto liberatorio, tutta l’agitazione, la preoccupazione e la paura che aveva accumulato in quei giorni finalmente sparirono, lasciando posto a un sentimento nuovo, forte, folle, che lo invase come una tempesta.
    Quel sentimento era la cosa più bella e pulita che avesse mai provato in vita sua e in quel momento capì quanto fosse importante Miriam per lui.
    Capì che nessuno sarebbe stato in grado di prendere il suo posto e di fargli provare quell’emozioni, che solo lei era riuscita a tirargli fuori.
    Lei era il suo ikigai, ovvero la sua ragione di vita, il motivo per cui alzarsi la mattina; era l’insieme di tutte quelle piccole cose che aveva sempre desiderato. Era la persona che avrebbe continuato a scegliere altre cento volte, nonostante la distanza, nonostante tutte le difficoltà che avevano affrontato e che ancora dovevano affrontare.
    Lei era la persona con cui desiderava trascorrere il resto della sua vita.
    “Koishiteru” le sussurrò in un orecchio, fra un singhiozzo e l’altro.
    Il cuore di Miriam saltò un battito sentendo quella parola. Sapeva perfettamente il suo significato. Masaki con quella piccola e semplice parola le aveva giurato tutto il suo amore, le aveva giurato di rimanere al suo fianco per sempre. “Anch’io” gli rispose sciogliendo l’abbraccio e con le dite gli sfiorò le guance asciugandogli le lacrime che imperterrite continuavano a rigargli il viso.
    Si guardarono negli occhi e non ci fu bisogno di dire niente; i loro occhi parlarono per loro.
    “Andiamo?” le chiese dopo qualche minuto, mentre cercava di riprendere il controllo di se stesso.
    Miriam rispose con un cenno della testa, lui la prese per mano e la guidò all’interno dell’hotel. Entrarono nella sala ristorante, per poi uscire da una porta finestra che dava sul prato; Miriam si guardò intorno incredula.
    Il prato era addobbato esattamente come la serata di gala; il padiglione al centro, sotto il quale avevano sistemato il loro tavolo, era illuminato da piccole lucine bianche.
    Masaki le fece segno con la testa di seguirlo e dopo averla aiutata a sedersi, si accomodò di fronte a lei.
    “Grazie” gli disse con un velo d’imbarazzo sul viso, “è la prima volta che qualcuno mi fa una sorpresa così bella”.
    Lui non rispose, ma un sorriso sghembo gli comparve sul viso.
    “Perché ridi?” le chiese dopo aver notato che sorrideva anche lei.
    “Non sto ridendo, ma adoro quando sollevi l’angolo destro della bocca e ti si forma quel sorrisino”.
    Masaki arrossì come un peperone, non era abituato a ricevere i suoi complimenti, “Miriam come te la sei fatta la cicatrice sulla fronte?” chiese incuriosito, cercando di cambiare discorso.
    “Quando avevo 11 anni sono caduta dalle scale con i pattini” gli spiegò, questa volta fu lei a diventare rossa, mentre lui si copriva inutilmente la bocca con la mano per non ridere. “Non prendermi in giro anche tu” gli disse abbassando la testa, “non so perché, ma cado sempre; ho l’equilibrio che fa schifo”.
    “Il mio è peggio del tuo, cado anche da seduto”.
    “È vero, quando ho visto quel video non riuscivo più a smettere di ridere”.

    Durante la cena parlarono tantissimo, Masaki le fece domande sulla sua famiglia, scoprendo così che era figlia unica, che sua madre si chiamava Maria Giuseppina, ma che tutti la chiamavano Pina, che aveva un buon rapporto con lei, ma che ogni tanto litigavano.
    Scoprì che da piccola era un maschiaccio, a differenza di tutte le altre bambine, lei preferiva giocare a calcio invece che con le bambole; questo suo strano interesse fu coltivato grazie all’aiuto di suo padre, Marcello.
    “All’epoca non ammettevano le ragazze alla scuola calcio, perciò è grazie a lui se so giocare” gli aveva detto, “e anche se mia madre non era d’accordo, non me l’ha mai vietato”.
    Da quelle poche parole e dal suo sguardo, Masaki era riuscito a percepire tutta l’ammirazione che aveva nei confronti dei suoi genitori.
    “Loro sono il mio punto fermo” continuò a dirgli distogliendo lo sguardo, “non sono mai stata una figlia perfetta; li ho fatti preoccupare così tante volte che ormai ho perso il conto. Sono sempre stata insicura e indecisa su tutto, ma loro mi hanno sempre supportato nelle scelte che ho fatto, anche se erano sbagliate. Come quando ho deciso di non continuare gli studi, quando gliel’ho detto ci sono rimasti davvero male. Forse quella è stata la prima volta in cui ho sentito di averli delusi”.
    “Non penso che tu li abbia delusi”.
    “Credimi, è così; il loro sguardo non lo dimenticherò mai” gli rispose asciugandosi gli occhi e tirando su con il naso, “e forse è per questo che ho deciso di ricominciare. Lo faccio anche per me certo, ma voglio che loro siano fieri, voglio che mi guardino con orgoglio”.
    “Miriam, tutti sbagliano almeno una volta nella vita, ma sono sicuro che i tuoi genitori sono orgogliosi di te” disse cercando di tirarle su il morale.
    Lei sorrise, ma il suo sguardo era rivolto da un’altra parte.
    Masaki guardò nella sua stessa direzione, “mi sarebbe piaciuto ballare di nuovo con te” ammise in imbarazzo, “ma i musicisti erano impegnati, e poi non conosco il titolo di quella canzone, sicuramente non sarei riuscito a spiegargliela”.
    Miriam senza neanche rispondergli si alzò e andò dritta verso il pianoforte, si sedette e prese un respiro profondo.
    Masaki la guardò e stupito si avvicinò a lei.
    “È questa?” gli chiese guardandolo mentre suonava alcune note.
    “Si” rispose allegro.
    “È la soundtrack del film Forrest Gump” gli spiegò.
    “Suonala ancora” le disse sedendosi di fianco a lei.
    “Metti le tue mani sulle mie” gli ordinò.
    Masaki la guardò un pò confuso, allungò le braccia e poggiò le mani sulle sue.
    Le loro dite si muovevano leggere su quei tasti, il silenzio intorno a loro, fu rotto da quella melodia così dolce, intensa, che li circondò provocandogli un vortice d’emozioni.
    Miriam si fermò, Masaki la guardava negli occhi, nella sue orecchie risuonava ancora quel suono, “da quanto tempo sai suonare?”
    “Ho imparato alle scuole medie, ma non ho mai continuato”.
    “Come mai?”
    “Non c’è un perché, sentivo che stava diventando un’imposizione, una forzatura. Così ho deciso di smettere”.
    “Ti va di suonare qualcos’altro?” le chiese desideroso di sentirla ancora.
    “D’accordo, ma non sono così brava” gli rispose ridendo.
    Prima di suonare, provò un paio di volte per cercare la tonalità giusta, quando finalmente la trovò cominciò a suonare.
    Era una melodia dal ritmo lenta, ma aumentava d’intensità man mano che andava avanti, “voglio che questo momento non finisca mai, dove tutto è niente senza di te. Aspetterò qui per sempre solo per vederti sorridere, perché è vero, io non sono niente senza di te” sussurrava mentre suonava.
    Masaki la bloccò e prendendola per mano si alzò, si strinsero uno nell’abbraccio dell’altro, iniziando a ballare sulle note di quella canzone che sentivano solo loro, che risuonava leggera nella loro testa, si guardarono negli occhi e si dissero tutte quelle parole che le loro bocche non riuscivano a pronunciare.
    “Ti va di andare in spiaggia?” le chiese.
    “Sì, ma possiamo passare un attimo dalla suite; i miei piedi mi stanno chiedendo pietà” rispose in imbarazzo.
    Masaki scoppiò a ridere, “andiamo cucciola”.
    Camminavano tranquillamente nella hall, quando Miriam si bloccò, “che ti prende?” le chiese preoccupato.
    Ma lei non rispose, non riusciva a parlare, tremava e il suo sguardo era terrorizzato. Masaki alzò la testa, davanti a loro c’era Stefano che li guardava con indifferenza e superiorità. Come si permetteva quell’essere di guardali in quel modo; Masaki non ci vide più, si avvicinò a lui come una furia.
    “Chiedile scusa”.
    “Masaki, andiamo via per favore” lo pregò Miriam.
    Ma lui non si mosse da lì, pretendeva delle scuse da parte sua, “scusati” gli ripeté con un tono di voce più alto, attirando l’attenzione delle persone che affollavano la hall.
    “Okay, non c’è bisogno che ti scaldi” gli rispose con disprezzo, dandogli una pacca sulla spalla, “Miriam scusami”; dalla sua voce però, si percepiva chiaramente che non erano scusa sincere.
    “Stè non me ne frega niente delle tue scuse” gli disse in tutta sincerità, “solo, sta lontano da me”.
    Si voltò e tirando Masaki dal braccio, salirono le scale per raggiungere l’ascensore.
    MIRIAM RUSSO, ACCESSO ESEGUITO.
    “Masaki grazie per quello che hai fatto” gli disse entrando.
    “Era il minimo che potesse fare”.
    “Sì, ma se non lo pensi veramente, è inutile scusarsi” gli spiegò mentre si spogliava.
    Lui l’abbracciò da dietro, si sentì invadere dal suo profumo; era inebriante, dolce, gli offuscò la mente, mandandolo in confusione; la voltò.
    “Che ti prende?” gli chiese.
    Ma lui non rispose, le prese il viso fra le mani e l’avvicinò al suo. Le sue labbra si muovevano fameliche su quelle di Miriam, desiderose. La prese in braccio e si avvicinò al letto, si sdraiarono uno sull’altro.
    “Danny-chan, va a dormire da un ‘altra parte” disse afferrando il peluche e lanciandolo dall’altra parte della stanza.
    “Baka!” gli disse Miriam e incrociando le gambe dietro di lui l’avvicinò a se “baciami Masaki” gli sussurrò nell’orecchio stringendosi sempre di più a lui.


    Capitolo 28
    Come ormai succedeva da quattro giorni, Antonella si svegliò fra le braccia di Jun; si voltò mettendosi di fronte a lui. Il suo viso era rilassato, dormiva profondamente; lo guardò sorridente, ma un pizzico di malinconia iniziò a prendere il sopravvento.
    Quella vacanza, si era rivelata la migliore in assoluto, superando di gran lunga le sue aspettative. Per caso era riuscita ad incontrare gli Arashi, ma non fu uno di quegli incontri stupidi e banali, come quando incontri il tuo cantante, attore preferito per strada, a una premier o in qualsiasi altro posto.
    “Sono una tua fan, facciamo una foto? Mi fa l’autografo?” chiedi speranzosa che lui ti noti in mezzo a una marea di gente, che ti guardi e che riesca a cogliere dal tuo sguardo tutta la stima e l’ammirazione che provi nei suoi confronti.
    Lui ti guarda, ti sorride, fa la foto e controvoglia ti firma quel poster, quel cd, che terrai come una reliquia, su una mensola, sotto una campana di vetro per non fargli prendere polvere, appesa al muro in un quadro, per evitare che quello scarabocchio incomprensibile sbiadisca. E magari invece di scrivere il suo nome, ti ha scritto un bel vaffanculo, perché hai interrotta la sua passeggiata in centro. E la cosa bella è che mentre lo fa, il suo sguardo è felice e ti ringrazia pure, quando invece ti vorrebbe dire “ma va al diavolo; dammi tregua”.

    No, decisamente no; quell’incontro casuale non era stato così.

    Quell’incontro avvenuto in quell’ascensore di 2.80mq, era stato l’inizio di tutto. Okay insieme a Miriam avevano fatto la figura delle deficienti e sicuramente una persona normale vedendole, le avrebbe spedite direttamente nel reparto di psichiatria, prendendole per pazze. Ma in quell’ascensore fortunatamente per loro, non c’era una persona normale.
    In quell’ascensore c’era Matsumoto Jun, l’Idol più famoso e ambito del Giappone. Che quel giorno preso dal panico totale, le aveva trascinate portandole con se in quell’enorme suite e inconsapevolmente aveva acceso la miccia di quella bomba che avrebbe scatenato tutta quella serie d’eventi che l’avrebbero spinta inevitabilmente fra le sue braccia.

    Lui decisamente era quello che più odiava fra gli Arashi; il suo modo di fare, da prima donna, sempre al centro dell’attenzione le dava ai nervi. Ma ora dormiva di fianco a lei come un bambino e lei non poteva far altro che guardarlo e amarlo incondizionatamente, perché quell’uragano di nome Matsumoto Jun le era entrato dentro, stravolgendo tutti i suoi schemi, tutta la sua vita.

    Entrò silenziosamente nella stanza di Sho e Masaki, che ormai era diventata quella di Mary e Sho.

    Sho si era rivelato una sorpresa per Mary. Onestamente non l’aveva mai considerato più di tanto; gli era sempre stato indifferente sin dal primo momento. Se c’era o non c’era per lei non faceva alcuna differenza. Gli era simpatico, l’ammirava per tutti i sacrifici che aveva fatto, ma non era mai andata oltre. “Bel viso, bel cervello, ma parla troppo” questo era quello che pensava di lui. O almeno era quello che pensava fino al 15 giugno.
    Sho la guardava dalla soglia della porta “vedi Jun anche io rompo le ragazze” aveva detto facendola sentire la persona più ridicola sulla faccia della terra e in quel momento avrebbe voluto tirargli uno schiaffo così forte su quel viso perfetto, sul quel viso incorniciato da quei capelli neri sistemati alla perfezione, senza mai una ciocca fuori posto. Su quel viso che inaspettatamente l’aveva colpita, che trovava affascinante, bellissimo.

    E quella sua voce, le era entrata in testa e come un fastidiosissimo martello pneumatico le risuonava nelle orecchie, ma la sua voce era tutt’altro che fastidiosa, la trovava attraente, calma, tranquilla e in un certo senso le trasmetteva una sensazione di calore.
    Per tutto il giorno Sho non aveva fatto altro che cercare la sua compagnia e dentro di lei l’istinto e la razionalità stavano facendo letteralmente a pugni. Una parte di se, infatti, adorava il modo in cui le parlava, sempre posato, misurato. Il modo in cui ponderava le parole e l’importanza a cui dava a ognuna di esse; mentre l’altra l’odiava. Sho parlava sempre con cognizione di causa, non diceva mai una parola di troppo, ma ogni parola che diceva la mandava in confusione.
    Il suo cervello era andato in panne e davanti ai suoi occhi, quella lucina rossa non faceva che lampeggiare “pericolo-pericolo”, ma ormai qualsiasi cosa ella facesse, era inutile. Senza neanche rendersene conto, Sho l’aveva mandata fuori rotta.
    Mary si era innamorata; si era persa nella profondità di quegli occhi che non si staccavano mai da lei, che la seguivano ovunque. In quegli occhi aveva visto il mare e quando vedi il mare in un paio d’occhi marroni è la fine.
    L’aveva giudicato male, si era fatta un’opinione sbagliata su di lui, che si era rivelata la cazzata del secolo e nel momento in cui si era seduta su quel divano a parlare con lui se n’era resa conto.

    Sho era sicuramente un bel viso e un bel cervello, ma era anche un bel carattere, educato, rispettoso, gentile, premuroso e affidabile. Era la classica persona che, anche se ci passavi un secondo insieme, alla fine non riuscivi più a farne a meno. Certo era anche pieno di difetti, era puntiglioso su qualsiasi cosa, organizzava tutto nei minimi particolari, prima di fare una cosa ci pensava dieci volte e solo dopo aver preso in considerazione tutti i pro e i contro, allora decideva se poteva o non poteva farlo; e ti faceva venire i nervi quand’era così meticoloso da far venire il volta stomaco, ma Mary aveva imparato ad amare quei suoi difetti e ormai non riusciva più a stare senza di lui.

    “Mary svegliati” la chiamò dolcemente Antonella, cercando di non svegliare Sho.
    “Che c’è?” le chiese con un occhio chiuso e l’altro aperto a metà.
    “Ti devo parlare vieni”.
    Mary si alzò un pò controvoglia e la seguì, “perché dobbiamo parlare in bagno?” le chiese chiudendo la porta a chiave.
    “Perché così nessuno ci disturba” le spiegò.
    “Okay, va bene però ora dimmi perché mi hai svegliato”
    Antonella le rispose con un cenno della testa, “domani tutto questo sarà finito” le disse con tono triste, “oggi è l’ultimo giorno che passiamo insieme a loro”.

    Antonella quella mattina guardando Jun, si era resa conto di come gli Arashi avevano reso quella vacanza indimenticabile e che nel giro di tre settimane avevano provato emozioni forti, intense. Ne avevano passate di tutti i colori; tutti e sei si erano ritrovati immischiati in quell’assurda situazione di Miriam e Masaki, che nonostante fosse stata risolta, nessuno era riuscito a trovare una spiegazione che sicuramente di logico avrebbe avuto ben poco.
    Si rese conto di come avevano trascorso quegli ultimi giorni, stando praticamente sempre insieme a loro, della sensazione di vuoto che stava iniziando a farsi largo dentro di lei, mandando a quel paese tutte quell’emozioni che le aveva fatto provare Jun. E in fine si rese conto che quella sarebbe stata l’ultima notte in cui poteva dormire fra le sue braccia.

    “Non voglio rimanere in hotel stasera” continuò a dirle, “se rimaniamo qui, non faremo altro che deprimerci sempre di più”.
    “Perciò che hai intenzione di fare?” le chiese, sedendosi sulla vasca da bagno; aveva capito che quello sarebbe stato un discorso tutt’altro che corto.

    E infatti Antonella iniziò a parlare a raffica per più di mezz’ora, illustrandole la sua idea, “voglio che sia una serata divertente, che per un pò ci impedisca di farci pensare che domani loro saranno su un volo diretto in Giappone, mentre noi su uno per l’Italia, però loro non devono sapere nulla; dev’essere una sorpresa”.
    “Mi piace come idea, ma l’unico modo per non fargli sapere niente, è tenere Miriam all’oscuro di tutto. Lo sai com’è, si fa prendere dall’entusiasmo, sotto pressione non durerebbe più di tre secondi e inconsapevolmente spiffererebbe tutto ai quattro venti”.
    “Si, su questo hai ragione, ma ci servirà anche il suo aiuto” le disse perplessa.
    “Facciamo così allora, glielo diciamo solo quando ci servirà”.
    “Perfetto, allora è deciso” disse, “ora usciamo prima che vengano a trascinarci fuori da qui”.

    Masaki si girò nel letto infastidito, qualcosa gli faceva il solletico sulla schiena, “ohayou Danny-chan” disse con voce impastata di sonno.
    Miriam l’aveva fatto di nuovo, si svegliava sempre prima di lui e gli metteva quel peluche appiccicato addosso, “e per non farti sentire la mia mancanza” gli diceva ogni volta.

    Si alzò e iniziò a cercare i pantaloncini che indossava la sera prima, Miriam li aveva lanciati chissà dove all’interno della stanza. Li trovò sulla sua valigia aperta, li prese e velocemente l’indosso. Quei due ormai vivevano in simbiosi, erano riusciti a convincere Anto e Mary a trasferirsi nella suite 16 così da poter avere la stanza tutta per loro. Ovviamente, in quella stanza ci stavano poco e niente, più che altro la usavano solo per dormire, perché passavano la maggior parte del tempo a divertirsi in giro per Malta con i loro amici. Un giorno ritornarono anche sull’isola di Gozo, ma questa volta niente giro in motorino, visti i precedenti non ci tenevano a fare un’altra visita in ospedale. Visitarono invece le tanto agognate Grotte di Calipso e dovettero ammetterlo, Sho aveva ragione, erano belle. Anche se non si poteva entrare, viste da fuori, l’interno di quelle grotte creava una sorta di mistero e fascino che inconsapevolmente ti faceva avvicinare sempre di più e tu ti avvicinavi incapace di respingere l’attrazione che suscitavano; fin quando la guida non ti faceva fare la figura del perfetto idiota davanti a tutti, sgridandoti come si fa con i ragazzini cocciuti, che più gli dici di non fare una cosa, più loro la fanno.

    Masaki la guardava da lontano, era seduta intorno al tavolo, sul suo viso c’era quell’espressione che tanto gli piaceva, “ohayou!” le disse avvicinandosi.
    “Ohayou!” gli rispose, affrettandosi a chiudere il quaderno e a raccogliere tutte le matite sparpagliate sul tavolo.
    “Avrò l’onore di vederlo prima o poi?” le chiese speranzoso.
    Più di una volta l’aveva sorpresa a pasticciare su quel benedetto quaderno con la faccia di Doraemon stampata sopra, ma ogni volta che le si avvicinava e le chiedeva cosa stesse facendo lei lo chiudeva e rispondeva con un niente.
    “Forse” rispose ridendo.
    “Ma perché non vuoi farmelo vedere, sono curioso”.
    “Perché è imbarazzante da morire” gli spiegò, “comunque ti ho comprato i muffin; a quest’ora il ristorante è chiuso” aggiunse, mentre gli preparava la colazione, latte freddo e Nesquik, con due muffin al cioccolato.

    In quelle tre settimane si era abituato alla colazione italiana.

    “Arigatou!” le disse sorridente, “sei uscita apposta per comprarli?”
    “In realtà no; dovevo andare in un negozio e passando dal bar li ho visti e ti ho pensato” gli rispose e rannicchiandosi sulla sedia lo guardò fare colazione.

    Aveva un modo strano di mangiare i muffin, una persona normale, toglierebbe il rivestimento di carta e poi li mangerebbe, lui no. Lui prima li studiava, cercando di capire quali tra i due avesse più pezzetti di cioccolato all’interno, dopo aver scelto quello giusto lo scartava con una lentezza e una precisione assurda, lo apriva a metà, tirava tutti i pezzetti di cioccolato che erano all’interno e li metteva su quella carta che avvolgeva il muffin perfettamente aperta. Solo dopo aver fatto tutte queste cose, finalmente cominciava a mangiarlo, poi prendeva il secondo e ripeteva tutta quell’operazione che sicuramente avrebbe fatto saltare i nervi a chiunque, ma non a Miriam.
    Lei adorava tutte quelle piccole cose che faceva senza neanche rendersene conto.

    “E con quei pezzetti di cioccolato che ci fai?” gli aveva chiesto la prima volta che l’aveva visto fare quella cosa.
    “Li mangio per ultimo” le aveva risposto, come se quella potesse essere la risposta più ovvia del mondo.

    E quando doveva mangiarli era anche peggio della sua vivisezione del muffin; li guardava, li separava in base alla dimensione, che solo lui riusciva a notare e poi cominciava a mangiarli. Prima i più piccoli, poi quelli medi e per finire quelli più grandi; e li mangiava uno per uno, assaporando tutto il gusto di cioccolato fondente che gli riempiva la bocca.

    E il momento in cui doveva scegliere i vestiti, quello era il momento catartico della giornata. Si concentrava tre ore davanti l’armadio, poi prendeva alcuni pantaloni e un paio di maglie, li metteva sul letto, provava un paio di combinazioni, ma incapace di decidere alla fine prendeva le prime cose che gli capitavano a tiro e Miriam non faceva che ridere guardandolo andare in confusione. Lui la guardava di traverso e le faceva il broncio, ma finivano sempre per fare la lotta e farsi il solletico ridendo fino ad arrivare alle lacrime, fino a sentire gli zigomi e la pancia dolorante.

    Quella vacanza per loro non era iniziata nei migliori dei modi, gli erano successe cose che non avrebbero mai immaginato. Chi l’avrebbe mai detto che quelle leggende, quelle storie assurde che ti vengono raccontate dai tuoi genitori, dai tuoi nonni quando sei un bambino per farti addormentare o per farti spaventare, così da poterti tenere sempre sotto controllo ed evitare di farti scappare a destra e a sinistra, avessero un fondo di verità.
    Sicuramente non loro.
    Loro non ci avevano mai creduto e invece dovettero ricredersi; tutte quelle leggende che loro consideravano come inutili racconti di un vecchio che non avendo niente da fare dalla mattina alla sera inventava boiate assurde, erano reali più di quanto immaginassero e loro ne erano la prova tangibile.
    Il destino per Miriam e Masaki aveva già scritto la trama di quella storia che loro avrebbero dovuto sviluppare, che avrebbero dovuto arricchire con tutti quei piccoli dettagli e con tutte quell’emozioni che solo loro erano in grado di provare.

    “Sbaglio o quella è la mia maglietta?” le chiese distogliendola dai suoi pensieri.
    “No, non ti sbagli”.
    Miriam indossava una t-shirt con collo a giro bianca con righe orizzontali nere e con un taschino bianco sulla parte alta, a sinistra. Adorava quella maglia, le era sempre piaciuta, fin dalla prima volta in cui gliel’aveva vista addosso su quella rivista di "Non-no".
    “Mi sta bene, vero?” gli chiese sorridete, mentre il suo sguardo diceva “ti prego fammela tenere”.
    “E va bene, te la regalo” le disse incapace di rifiutare quella richiesta silenziosa, che le aveva letto negli occhi.
    “Arigatou!” esclamò buttandosi addosso a lui.
    “Però in cambio mi prendo il tuo cappello” le disse facendola sedere a cavalcioni sulle sue gambe.
    “Ma, ma… ti sei già preso il mio polsino e la mia felpa di Capitan Tsubasa” gli disse con tono lamentoso.
    “Mi piace quella felpa” ribatté, “e poi è maschile, mi sta perfetta”.
    “Masaki tu stai bene anche con il sacco della spazzatura addosso” disse e notando che stava per dire qualcosa aggiunse, “e non dire che non l’hai messo, perché ti ho visto”.
    E guardandosi scoppiarono a ridere. “Che vuoi fare oggi?” le chiese.
    “Uhm, non lo so. Andiamo a vedere che fanno gli altri?”
    “D’accordo”.

    Insieme agli altri decisero di andare al Museo nazionale della Guerra, facendo contento Sho e mantenendo fede a quella promessa che gli avevano fatto il secondo giorno che erano arrivati, “tranquillo Sho, prima che questa vacanza finisca ti ci portiamo” gli avevano detto per convincerlo, quel giorno non ne potevano più di passare da un museo all’altro.
    Il giro al museo era durato più del previsto, li tenne occupati per tutta la mattina. L’edificio in origine era una polveriera, ma dal 1975 fu convertito a museo; rimasero affascinati da tutti quegli strumenti civili e militari che erano stati utilizzati dalla popolazione maltese durante la prima e la seconda guerra mondiale, ma la cosa che li affascinò di più fu quell’entrata stile bunker.
    Andarono a mangiare al “The Harbour club” un ristorante situato lontano dal caos e dalla zona più frequentata dai turisti, a pochi metri dal mare; che si era rivelato una perfetta combinazione di buon cibo e panorama stupendo.

    “Kazu, noto che la maglia che ti ha regalato Miriam ti è piaciuta” gli disse Antonella.
    “L’ho notato anch’io” s’intromise Ohno, “da due giorni non fa che indossare sta maglia” aggiunse ridendo.
    Due giorni fa infatti, Nino era sgattaiolato nella camera di Miriam e per farle un dispetto le aveva rubato la sua maglietta di Super Mario. Credendo di averla persa, Miriam aveva messo a soqquadro la camera per cercarla, sparpagliando vestiti ovunque. La cercò un pomeriggio intero, fin quando capì che gliel’aveva presa Kazu.
    “Miriam, ma poi come hai fatto ha riavere la tua maglietta?” le chiese Mary.
    “Semplice, ho usato quella che sta indossando come riscatto”.

    Quella sera a cena si era presentata con una maglietta nuova, nera a mezze maniche, con stampato Mario in sella a Yoshi, “è un’edizione limitata” aveva detto per attirare la sua attenzione. Nino sgranò gli occhi, “ridammi la mia maglia e questa sarà tua” gli aveva sussurrato all’orecchio. Kazu saltò in piedi come una molla e dritto filato andò in camera sua a prendere la sua adorata maglietta.

    “Voi due non siete normali” gli disse Sho ridendo, “siete fissati con questo gioco”.
    Miriam e Nino si voltarono contemporaneamente “attenzione a come parli di Mario” gli dissero con tono minaccioso.
    “Uh~! Che paura!” rispose lui sarcastico.

    Le stranezze di Miriam e Nino diventarono l’argomento principale del pranzo. Nino aveva sorpreso un pò tutti per il modo in cui si comportava con Miriam. Lui era sempre stato un tipo solitario, non parlava mai di se stesso e faceva fatica a fidarsi delle persone.
    Ma con lei era diverso; lo era stato fin dal primo momento, fin da quando Ohno l’aveva fatta cadere per sbaglio. Erano appena entrati nella suite e Nino stava spintonando Satoshi solo per il gusto di dargli fastidio, “piantala Kazu!” l’aveva sgridato, perché esasperato. Contrariamente dal solito, quel giorno gli diedero fastidio quei modi strani che aveva per dimostrargli il suo affetto. Nino era un genio a scrivere canzoni, ma quando si trattava di esprimere i suoi sentimenti per Satoshi, diventava una frana, si bloccava, andava nel pallone e non riusciva ad esprimersi; così ricorreva all’unico modo che conosceva, ovvero quello di appiccicarsi a lui e di fargli continuamente dispetti. E quel giorno, dopo che gli aveva detto quella frase inaspettata dalla rabbia, l’aveva spinto un pò troppo forte facendolo inciampare e cadere sopra Miriam che stava uscendo dal bagno ignara della loro presenza. Vederla appiccicata a Ohno gli aveva dato ai nervi, come si permetteva quella ragazzina di mettere le mani sul suo Toshi e soprattutto come si permetteva di prenderlo in giro, quel “Oh… no” che aveva detto, suonava molto simile a quello che aveva detto quell’attrice americana, di cui non si ricordava neanche il nome, durante una puntata di Arashi ni Shiyagare; ed esattamente come quella volta gli aveva dato fastidio, solo lui poteva prenderlo in giro.
    L’odiava, è questa era una certezza.
    Ma mentre ascoltava quella storia assurda, si era scoperto a guardarla, a studiarla e ne rimase al quanto sorpreso. Era seduta a gambe incrociate sul divano e guardava fuori dalla finestra, fregandosene altamente della loro conversazione, fin quando a un certo punto si voltò verso di lui, gli guardò le mani e iniziò a sorridere, e inaspettatamente quel sorriso fece sorridere anche lui. Lo sentiva familiare e questo gli sembrò ancora più strano. Con quello stupido gesto, quella ragazzina impertinente gli era entrata dentro e senza neanche rendersene conto l’aveva iniziata a chiamare Miri-chan.
    Aveva cominciato a sentire affetto nei suoi confronti e non riusciva a capire il perché.

    Com’era possibile che un’estranea gli faceva quell’effetto?

    Finora solo Ohno l’aveva fatto sentire in quel modo. Ma ora più stava con lei e più sentiva di volergli bene, sentiva di potersi fidare ed evidentemente lo sentiva anche Miriam; senza neanche pensarci due volte gli aveva confessato quella storia assurda e l’aveva fatto senza fare tutti quegli stupidi giri di parole, che tanto gli davano fastidio, ma era andata dritta al punto. E mentre gli diceva quelle cose, aveva sempre il desiderio di stringerla fra la sue braccia e quando l’aveva abbracciata per la prima volta tranquillizzandola, gli aveva detto quella stupida frase che lo fece morire dalle risate, “le tue mani sembrano un hamburger”.

    Normalmente avrebbe reagito male a quella frase, aveva sempre odiato quelle sue manine piccole e tozze, e odiava ancora di più chi glielo faceva notare, ma quando glielo aveva detto lei era stato diverso, Miriam era sempre stata diversa.
    Miriam era come la sorellina minore a cui fare continuamente i dispetti, solo per il gusto di farla innervosire, ma anche la sorellina minore da proteggere e aiutare quando era in difficoltà.

    Ritornarono in hotel dopo aver fatto una lunga passeggiata nell’Upper Barakka Gardens, un bellissimo parco situato nel punto più alto delle mura della città, immerso tra piante e monumenti storici con visuale sul porto naturale, conosciuto come Grand Harbour e le tre città: Cospicua, Vittoriosa e Senglea e la Basa Navale.

    Con un pò di fortuna riuscirono ad assistere anche allo sparo del cannone, che si tiene due volte a giorno al The Saluting Battery.


    Edited by green <3 - 6/1/2020, 11:50
     
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    Capitolo 29
    Camminavano in silenzio nella hall di quell’hotel che aveva visto nascere la loro amicizia e il loro amore; tutti e otto avevano ancora nelle orecchie il rombo di quel cannone. Quel rombo aveva segnato la fine della loro vacanza, la fine di tutto. Nessuno sapeva se si sarebbero rivisti, se avessero potuto continuare a stare insieme.
    Entrarono nella suite 16 e sedendosi sul divano iniziarono a guardarsi intorno, ad osservare ogni piccolo particolare di quella stanza, come a volerla imprimere in maniera indelebile nelle loro menti. Quella suite ne aveva viste di tutti i colori; ogni singolo metro quadrato riportava alla mente quelle tre settimane passate insieme all’insegna del divertimento e delle risate; e gli ultimi giorni erano stati i più divertenti di tutti. Una sera, Antonella aveva proposto di giocare a Babanuki, ma con una piccola variante, per rendere il gioco più divertente, quello che perdeva doveva fare una penitenza. All’inizio non ci furono problemi, le penitenze erano abbastanza tranquille, nei limiti della decenza, ma più giocavano, più ci prendevano la mano e le penitenze peggioravano sempre di più. Al quinto giro perse Nino e a decidere la penitenza, purtroppo per lui fu Jun.
    “Corri per tutto il corridoio in mutande, mentre canti il ritornello di Happiness” gli ordinò; non l’avesse mai fatto, quella penitenza fu l’inizio della fine.
    Nino si spogliò alla velocità della luce e iniziò a cantare come un pazzo mentre correva a destra e a sinistra nel corridoio, provocando l’ira degli altri ospiti, che quella sera esasperati dai loro modi poco consoni alle regole dell’hotel, chiamarono più di una volta la reception per lamentarsi. Loro sì scusarono e giurarono di non creare più problemi, ma quella promessa durò meno di venti minuti.
    “Facciamo che chi perde beve” avevano proposto Sho e Ohno, nei loro occhi c’era uno strano luccichio, si erano fatti prendere un pò troppo la mano dal quel gioco.
    Iniziarono a giocare e a giro bevvero un bicchiere dietro l’altro, Jun, Sho e Mary reggevano l’alcol abbastanza bene, Masaki, Miriam, Ohno e Nino se la cavavano, Antonella invece non reggeva l’alcol per niente; era bastato un mezzo bicchiere per mandarla in tilt. Antonella ubriaca era come una mina vagante; era imprevedibile, non stava un attimo ferma e soprattutto non stava un attimo zitta. I suoi freni inibitori erano andati letteralmente a farsi friggere, diceva tutto quello che le passava per la testa passando da un argomento all’altro senza seguire alcun filo logico.

    “Lo sapevate che Jun ha paura dei ragni!?” esclamò, “ieri sera un ragnetto microscopico è entrato dalla finestra e lui si è messo a saltare e a correre per tutta la stanza come un pazzo” aggiunse, mentre lo imitava.
    Tutti scoppiarono a ridere, chi l’avrebbe mai detto, che l’uomo perfetto aveva paura di un minuscolo ragnetto.
    “È arrivato il momento di andare a letto” esclamò lui, che per l’imbarazzo era diventato rosso come un peperone.
    “Oh no, non se ne parla di andare a letto” s’intromise Nino, “dicci qualcos’altro d’imbarazzante su Jun” la incitò.
    “Era geloso di Oh-chan, perché è il mio ichiban” continuò lei, “quando siamo andati a Comino, mi ha fatto una scenata…” stava dicendo, ma Jun non la fece finire di parlare, la prese in braccio e la portò nella sua camera da letto. “Mettimi giù!” continuò a urlare lei, mentre gli graffiava la schiena.
    “Sh~! Non urlare” le disse mentre cercava di metterla a letto, “sta ferma!”
    Ma lei non voleva saperne, né di stare zitta, né di stare ferma; prese un cuscino e iniziò a lanciarglielo addosso e rompendolo una marea di piumette invase la stanza. Saltellando sul letto iniziò a cantare una canzone incomprensibile e a lanciare qualsiasi cosa le capitasse a tiro e per poco un cuscino non finì fuori dalla finestra. Dopo circa mezz’ora riuscì finalmente a farla dormire, “niente più alcol per te” le disse, prima di chiudere gli occhi e addormentarsi anche lui.
    Il giorno dopo però, Nino in vena di fare scherzi, andò a comprare alcuni ragnetti di gomma. Senza far rumore entrò nella camera di Jun e li sparpagliò per tutta la stanza e sul letto, si chiuse nell’armadio in attesa di riprendere tutta la scena col cellulare. Jun ancora intontito di sonno, si ritrovò circondato da un esercito di ragni e nel panico totale urtò la lampada sul comodino che cadde a terra rompendosi in mille pezzi.
    “Con questo video ti ricatterò a vita!” esclamò uscendo dall’armadio.
    “Kazu, io ti uccido!” ribatté lui sempre più arrabbiato; lo afferrò dal braccio e buttandosi sul letto iniziarono a fare la lotta, ignorando completamente Antonella che dormiva dalla parte destra del letto. Si rotolarono da una parte all’altra, Jun cercava in tutti i modi di prendergli il telefono dalle mani per cancellare quel maledetto video, che sicuramente Nino non si sarebbe fatto scrupoli a mostrare a tutti.
    “PIANTATELA DI URLARE!” li sgridò Antonella, “ho mal di testa. BASTA FARE CASINO!”
    Tirò il lenzuolo e li fece cadere uno sull’altro, ma loro non si fermarono, mentre erano a terra continuarono a rotolarsi, quando finalmente Nino riuscì a sfuggirgli, iniziò a correre per tutta la suite. Jun gli stava dietro seguendolo ovunque, ma quel piccoletto era veloce. L’inseguimento andò avanti per un’ora, ma alla fine Jun non riuscì a prendere il telefono, in compenso però fecero cadere sedie, sparpagliarono cuscini da tutte le parti, buttarono a terra tutto quello che gli capitava fra le mani; nella suite sembrava essere scoppiata la terza guerra mondiale, regnava il caos assoluto, come potevano due persone fare tutto quel casino. Quella mattina ricevettero più di una chiamata dalla reception, ma alla fine anche loro si arresero, qualsiasi cosa gli dicessero era tutto inutile.

    Senza dirsi neanche una parola si alzarono e andarono nelle loro rispettive camere per iniziare a fare quella valigia e dentro non misero solo i vestiti, ma anche le emozioni, le risate, le lacrime e i divertimenti di quelle tre settimane.

    “Anto, Mary potete venire ad aiutarmi, non riesco a chiudere la valigia” le chiamò Miriam, ma nessuno le rispose. Nella depressione totale prese il suo adorato Danny e andò nella stanza dei ragazzi. Masaki aprì la porta, Miriam stava con la testa bassa e stringeva quel peluche, “dai entra” le disse facendola sobbalzare.
    Lei in silenzio lo seguì nella sua stanza e si rannicchiò sul letto.
    “Miri-chan che hai?” le chiese Sho perplesso, negli ultimi cinque giorni sembrava un terremoto umano, non stava un attimo ferma e ora rannicchiata su quel letto sembrava un vegetale.
    “Anto e Mary sono sparite” rispose con voce così triste da far venire la depressione solo a sentirla.
    “In che senso sono sparite?” continuò a chiederle.
    “Sono uscite senza di me e io non riesco a chiudere la mia valigia senza di loro” rispose sempre più sconsolata.
    Masaki e Sho la guardarono cercando di trattenere le risate.

    Per tutto il tempo Miriam passò da una stanza all’altra e li guardò fare la valigia. Ognuno di loro aveva un modo diverso e anche da questo si notava la diversità dei loro caratteri. Sho aveva preparato una lista dettagliata di tutte le cose che aveva portato e man mano che le metteva nella valigia le spuntava. Jun prima sistemava tutti i vestiti perfettamente piegati sul letto e seguendo l’ordine: scarpe, maglie e pantaloni li sistemava nella valigia tipo Tetris, riuscendo a far entrare tutto in quella sua valigia di 45x64 cm. Ohno aveva portato il minimo indispensabile e riuscì a far entrare senza problemi le cose che avevano comprato nella sua piccola valigia. Nino e Masaki erano i più divertenti da guardare, entrambi partivano con le buone intenzioni, piegavano per bene i vestiti e li sistemavano seguendo l’ordine che gli aveva consigliato Jun, ma si stancavano dopo neanche cinque minuti e alla fine mettevano tutto alla rinfusa, poi si buttavano sulla valigia e a fatica riuscivano a chiuderla e quella cerniera sembrava scoppiare da un momento all’altro per quanto era piena e sistemata male quella valigia.

    “Miriam che fai?” le chiese Masaki raggiungendola sul terrazzo.
    “Quella nuvola somiglia a paperino” gli rispose senza mai staccare gli occhi dal cielo.
    Masaki si sedette vicino a lei e Miriam gli poggiò immediatamente la testa sulla spalla. Rimasero in silenzio a guardare quel cielo che tanto gli piaceva, cercando le forme più strane nelle nuvole, che si stavano tingendo di rosso-arancio.

    “Anche a Tokyo le nuvole hanno le forme?” gli chiese rannicchiandosi sopra di lui.
    “Certo!” le rispose sorridendo, “e se il cielo è limpido, alcune volte si vedono le stelle; anche se con le luci dei grattacieli non si vedono bene come qua” le stava spiegando, ma lei l’abbracciò, “non partire” gli sussurrò.
    Masaki la strinse fra le braccia, incapace di risponderle; anche lui avrebbe preferito rimanere con lei, ma purtroppo i suoi impegni lavorativi lo costringevano a ritornare in Giappone.
    “Guarda quella nuvola somiglia a una foca” le disse cercando di cambiare discorso, sapeva che entrambi si sarebbero messi a piangere se avessero continuato l’argomento.
    “È un tricheco” gli rispose ridendo, “le foche non hanno le zanne”.
    “Baka!” le disse scompigliandole i capelli. “Miriam perché guardi sempre il cielo?” le chiese incuriosito da quel suo strano passatempo.
    Miriam passava ore e ore a guardare quell’enorme macchia celeste, come la chiamava lei. “Perché ti fa sentire a casa”.
    “In che senso?”
    “Perché il cielo è l’unica cosa che non cambia mai” gli spiegò, “l’alba precederà il tramonto, che si susseguirà alla notte e questo sarà sempre così. In qualsiasi parte del mondo tu ti trovi, la macchia celeste sarà sempre sopra di te e sarà sempre uguale e tu ti sentirai a casa guardandola”.
    Masaki la guardò stupito, non aveva mai pensato al cielo in quei termini, per lui era semplicemente lo spazio in cui si muoveva la Terra. Senza rendersene conto iniziò a parlarle di come il cielo si tinge di colori appena s’intravede quell’angolino sferico fare capolino dietro l’orizzonte, illuminando tutta la baia di Tokyo con la sua luce che fa quasi male agli occhi guardarla. Le parlò di quell’atmosfera magica che si crea quando il sole si nasconde dietro il monte Fuji, illuminando per l’ultima volta la sua cima quasi sempre imbiancata; e di tutte le luci dei grattacieli che si accendono all’unisono. Di come il Rainbow Bridge e la Tokyo Tower si vestono di colori e della vista mozzafiato che si vede dallo Sky Tree Tower. “Ma il momento più bello è il Sunset Panda” continuò a dirle con sguardo sognante.
    “Cos’è?” gli chiese curiosa.
    “Due giorni all’anno, mentre il sole sta tramontando, passa dietro l’antenna della televisione nel quartiere di Tarumayachi e in quel breve momento grazie alla disposizione dei ricevitori, il sole si trasforma nella faccia di un panda”.
    “Woh! Voglio vederlo!”
    “Certo che lo vedrai e quando verrai a Tokyo, ti porterò anche a Chiba”.
    “Sulla spiaggia dove hai portato Sho?” gli chiese interrompendolo.
    “Sulla spiaggia dove ho portato Sho” ripeté euforico, “ma anche al ristorante dei miei, a casa mia. Ti porterò ovunque” le rispose e per evitare che gli si formasse quel groppo in gola, che sentiva già minacciarlo, parlò a raffica della sua adorata Chiba.

    Miriam ascoltava attentamente ogni singola parola, le sembrava di riuscire a vedere tutte quelle meraviglie che le stava raccontando, di riuscire a percepire il profumo degli alberi e dei fiori che circondavano quel parco vicino casa in cui giocava da ragazzino e di vederlo sfrecciare in sella alla sua bicicletta. Le sembrava di riuscire a sentire il rumore delle pentole sui fornelli nella cucina del Keikarou e il chiacchiericcio delle persone nella sala. Davanti ai suoi occhi prendeva vita quella casa che le raccontava nei minimi dettagli, era un attico su due piani circondato da vetrate, dal quale si poteva vedere tutta la città, Chiba ovviamente. Masaki il suo paese non l’avrebbe cambiato per nessun motivo e non gli importava se doveva fare continuamente avanti e indietro da Tokyo. Per lui Chiba era il centro del mondo.

    “E c’è anche Disneyland” stava dicendo quando Sho e Jun si precipitarono sul terrazzo nel panico totale, “che vi prende?” chiese preoccupato.
    “Anto e Mary non ci rispondono al telefono” gli disse Sho.
    “Magari sono occupate”.
    “È tutto il pomeriggio che le chiamiamo e ci rifiutano le chiamate” intervenne Jun interrompendolo, “ci stanno ignorando”.

    Per tutto il pomeriggio infatti, Anto e Mary erano sparite dalla circolazione, per organizzare al meglio la loro ultima sera a Malta e soprattutto la loro ultima sera con gli Arashi. Miriam notando la preoccupazione di Sho e Jun, iniziò a preoccuparsi anche lei, era la prima volta che le sue amiche si comportavano così, di solito era lei quella che spariva senza dire niente a nessuno facendo preoccupare tutti.

    “Non so niente” ripeté per l’ennesima volta, Sho e Jun l’avevano bombardata di domande, ma più lei diceva di non sapere niente, più loro continuavano con quell’interrogatorio che le stava facendo saltare i nervi. Secondo loro era impossibile che non si fosse resa conto di niente.
    “Ora basta ragazzi” intervenne Masaki, “ha detto di non sapere niente, perciò basta con tutte queste domande”.
    “Miri-chan!” la chiamò Nino precipitandosi sul terrazzo, “ti sta squillando il telefono”.
    “Grazie Kazu!” rispose prendendolo, “sono loro” aggiunse leggendo il nome sullo schermo. “Si può sapere che fine avete fatto, Sho e Jun stanno andando in paranoia” disse rispondendo, ma dopo qualche minuto si allontanò e iniziò a parlare in italiano, tutti e quattro la guardavano un pò straniti, davanti a loro non aveva mai parlato in italiano e questo li fece sentire ignorati. “Devo uscire!” gli disse, dopo aver riagganciato e senza dargli alcuna spiegazione uscì di corsa dalla suite.

    Che stavano nascondendo quelle tre? Perché si comportavano così?
    Quello era il loro ultimo giorno, la loro ultima sera e li stavano completamente ignorando.
    Tutti e cinque camminavano intorno al tavolo ipotizzando a turno teorie su quello che stavano nascondendo, ma le loro teorie erano una più stupida dell’altra. Erano così presi che non si resero conto che da più di quindici minuti bussavano alla loro porta.

    “Vi fidate di noi?” esclamarono tutte e tre in coro.
    “Se lo dite così, no” rispose Nino.
    Senza aggiungere altro li bendarono e li trascinarono fuori, guidandoli lungo il corridoio fino all’ascensore e poi giù per la scala.
    “Si può sapere dove stiamo andando?” continuò a chiedere Sho, per uno come lui che aveva sempre la situazione sotto controllo, non vedere e soprattutto non sapere dove stesse andando lo terrorizzava.
    “Siamo quasi arrivati” lo tranquillizzò Mary.

    Li portarono su una piccola spiaggetta nascosta fra gli scogli, un autentica bellezza naturale.

    “SORPRESA!” esclamarono in coro, mentre li sbendavano.
    Gli Arashi rimasero per un attimo senza parole, sbattevano le palpebre increduli e i loro occhi a fatica si adattarono alla flebile luce di quel fuocherello che scoppiettava davanti a loro.
    Anto e Mary avevano organizzato un falò in spiaggia per trascorrere in maniera divertente la loro ultima sera.
    Un piccolo sentiero era stato creato con delle candele e intorno al fuoco erano stati sistemati otto teli da mare. Le ragazze avevano pensato a tutto, avevano comprato da mangiare e da bere, i fuochi d’artificio e le scintille; erano riuscite persino a procurarsi una chitarra con la speranza che Nino suonasse qualcosa.

    Antonella aveva centrato il bersaglio, quel falò era sicuramente il miglior modo per concludere la vacanza a Malta, regalandogli quella gioia, quel divertimento e quell’emozione che solo un falò in spiaggia poteva donargli. Non pensarono minimamente al viaggio che avrebbero dovuto affrontare il giorno dopo, fino a tardi si divertirono indisturbati su quella spiaggia; fecero il bagno a mezzanotte, arrostirono i murshmallows sul fuoco, spararono i fuochi d’artificio e accesero le scintille.

    Ascoltavano Nino cantare e suonare quella canzone che sembrava scritta apposta per quel momento, erano seduti tutti intorno al fuoco, tranne Mary. Lei era seduta sul bagnasciuga, guardava la luna riflettersi nel mare, mentre l’acqua le bagnava dolcemente i piedi.
    “Tutto okay?” le chiese Sho, “perché stai in disparte?”
    “Ti va di venire un attimo con me?” gli disse ignorando le sue domande.
    “Si certo, ma è successo qualcosa?”
    Mary non rispose, lo prese per mano e insieme iniziarono a passeggiare sulla spiaggia.

    Anto e Miriam la guardarono sorridenti allontanarsi insieme a Sho; erano davvero contente per la loro amica. Gli ultimi mesi per lei non erano stati dei migliori, la sua vita aveva preso una strana piega, le andava tutto storto, qualsiasi cosa facesse e per quanto s’impegnasse non riusciva mai ad ottenere dei risultati positivi. E tutti quegli avvenimenti negativi, l’avevano resa insicura di se stessa e delle sue capacità; e si sa, l’insicurezza quando arriva non lo fa mai da sola, si fa accompagnare dai suoi amici, il dubbio e il senso di colpa, che la fecero piombare nel timore di non riuscire a trovare un senso alla sua vita, di non riuscire a realizzare quei sogni che custodiva segretamente dentro di se proteggendoli con tutte le sue forze.
    Ma con Sho sembrava aver trovato la tranquillità, la serenità e la fiducia che ormai aveva perso.

    “Dove stiamo andando?” continuò a chiederle, ma Mary gli rispose anche questa volta con un sorriso. Sho non chiese altro, le strinse forte la mano e proseguì con lei in silenzio.
    “Furbo il ragazzo!” esclamò Nino, aveva notato Sho e Mary uscire dalla spiaggia, “ne minna, ma secondo voi si organizza anche per il sesso, come fa con tutto il resto?” chiese facendo rimanere tutti di stucco.
    Ovviamente Jun, Ohno e Masaki erano abituati alle sue battutine sul sesso e ormai non ci facevano più caso, ma quella era la prima volta che le faceva davanti a Miriam e Antonella, che quella sera oltre ad assistere allo scambio di battute sarcastiche e allusive fra gli Arashi, assistettero anche alla prima scena Ohmiya.
    Satoshi e Nino in quelle tre settimane si erano sempre trattenuti per paura di non essere accettati, ma ormai avevano capito che anche loro facevano parte di quella strana famiglia, che potevano fidarsi e che non li avrebbero giudicati male; perciò comportarsi normalmente, dando libero sfogo alle loro voglie non fu più un problema.

    MARY ALOE ACCESSO ESEGUITO!

    Mary lo guidò all’interno della suite Infinity senza lasciargli mai la mano, appena entrarono nella sua camera Sho notò un pacchetto da regalo poggiato sul letto.
    Mary lo prese “questo è per te”.
    Sho la guardò un pò confuso e sorpreso allo stesso tempo.
    “Aprilo” gli disse, ma lui continuava a guardarla, ricevere un regalo da lei gli aveva fatto uno strano effetto, provava una sensazione che non riusciva a spiegarsi.
    Scosse la testa e lentamente strappò la carta, l’aprì, all’interno c’era un cappellino da skater color amaranto.
    Lo passò fra le mani sfiorando con le dita la scritta sulla parte frontale “Always”, prima di provarlo e di prendere il secondo pacchetto; non riusciva a capire cosa fosse, sembrava un libro, la copertina era bianca con disegnati due cuori incastrati l’uno con l’altro nell’angolo in basso a destra. L’aprì e rimase per un attimo immobile, fissava quella foto che li ritraeva, quella che avevano scattato durante la serata di gala. Iniziò a sfogliarlo guardando attentamente le foto che Mary aveva raccolto in quell’album.
    “Così potrai ricordare tutto quello che abbiamo fatto insieme” gli disse respingendo le lacrime che le stavano offuscando la vista.
    Sho poggiò l’album sul letto e con un movimento rapito l’abbracciò stringendola forte fra le sue braccia, non disse niente, non riusciva a parlare, per la prima volta si trovava a corto di parole. Le sue dita accarezzarono delicatamente la schiena di Mary, facendola rabbrividire; le prese il viso fra le mani, lo guardò attentamente, imprimendo nella sua memoria quel viso che gli aveva mozzato il fiato. Stava per dire qualcosa, ma Mary lo bloccò dandogli un bacio, Sho la prese improvvisamente in braccio, finora si era sempre trattenuto, ma ora non riusciva a frenare quella voglia e quel desiderio che aveva sempre represso. Mary l’abbracciò sempre più forte e sdraiandosi sul letto si fecero trasportare da quella passione e da quell’amore che li aveva travolti.

    “Forse dovremmo ritornare anche noi in hotel” disse Jun dopo aver guardato l’orologio.
    Era tardi e il momento di partire si stava avvicinando sempre di più, ricordandogli che le cose belle non durano mai per sempre, che purtroppo a tutto c’è una fine. Prima di ritornare in hotel, accesero le lanterne cinesi e abbracciati l’uno nell’altro, le guardarono librarsi in volo. A quelle sei lanterne avevano affidato i loro desideri, i loro sogni più nascosti, i segreti più intimi, i timori più profondi e le paure più infide e meschine. Ma ad esse affidarono anche quella piccola speranza di poter continuare a stare insieme e di rivedersi un giorno, magari non troppo lontano. Le guardarono fin quando non diventarono un puntino quasi invisibile nel cielo di Malta.


    5.27


    5.28


    5.29


    “Ti prego non suonare!”


    5.30

    Il suono di cinque telefoni ruppe il silenzio di quella mattina, Masaki si voltò e svegliandosi guardò quella scricciola dormigli accanto avvinghiata al suo peluche. Era finito, era tutto finito. Quella notte era passata velocissima, gli sembrava di essersi messo a letto meno di cinque minuti fa e ora doveva già alzarsi per prendere quell’aereo che l‘avrebbe portato lontano dalla sua Miriam. Nel giro di cinque minuti gli passarono per la testa le idee più strane e stupide per poter rimandare quella partenza a un domani che sperava non sarebbe mai arrivato. Non voleva separarsi da lei e si malediceva da solo per essere nato dall’altra parte del mondo. L’abbracciò forte, come se volesse far ricordare alle sue braccia la sensazione che si provava stringendola; le sue mani scivolarono sulla sua pelle nuda, come a voler far ricordare alle sue dita quanto fosse morbida e liscia la sua pelle. Miriam aprì gli occhi e si ritrovò il viso di Masaki a pochi centimetri dal suo, le loro labbra si sfiorarono in un contatto leggero, quasi timido, ma quel bacio tutt’altro che timido scatenò in entrambi una sensazione di vuoto. Rimasero abbracciati nel letto cercando di colmarlo inutilmente, i loro cuori avevano capito prima di loro che da quel momento in poi si sarebbero dovuti separare e che forse non si sarebbero più visti.

    “Ehm… ragazzi” li chiamò Nino, “è ora di alzarsi”.
    “Si, ora ci alziamo” gli rispose Masaki con la voce più rauca del solito.
    Nino chiuse la porta in silenzio, “ora si alzano” disse a Ohno che lo guardava dalla soglia della loro camera.
    “Faremo tardi se non si sbrigano” gli rispose lui.
    “Lo so, ma dagli tempo, non è facile per loro”.
    Nino aveva ragione, per Miriam e Masaki non era per niente facile e la stessa cosa valeva per Sho e Mary, e per Jun e Antonella. Non è facile separarsi dalla persona che si ama, dalla persona a cui si affida la propria vita, a cui sai di essere legato dal quel sottile filo rosso, per sempre.
    Le loro vite si erano incrociate per caso, per anni avevano vissuto come due linee parallele, correndo uno di fronte all’altro senza mai unirsi, ma in quel fatidico giorno, che ormai sembrava così lontano, il destino aveva deciso di giocare con loro, mettendoli sullo stesso aereo, nello stesso hotel. Facendoli incontrare, pur sapendo che quell’incontro sarebbe stato una lama a doppio taglio. E quell’amore era stato anche più crudele del destino; li aveva letteralmente travolti, facendoli sentire come in balia delle onde e loro erano incapaci di respingerlo, perché si sentivano legati l’uno all’altro, si sentivano come se si conoscessero da una vita, come se per tutti quegli anni si fossero guardati da lontano ed ogni passo che avevano fatto fin da quando avevano imparato a camminare li aveva inconsapevolmente spinti l’uno verso l’altro.

    Si guardarono un’ultima volta intorno prima di uscire in silenzio da quella suite.
    Antonella sfiorò la scritta sulla porta Beyond, “che nome strano per una suite” pensò prima di seguire Jun.

    “Infinity and Beyond” disse Sho mentre entrava nell’ascensore, che quel giorno con le loro valigie sembrava piccolissimo.

    In quel momento quelle parole messe insieme diedero a tutti una sensazione di tranquillità, di pace; e si resero conto di quanto quelle due piccole paroline, che magari per tutti gli altri non avevano alcun significato, per loro fossero importanti. Quelle parole, racchiudevano perfettamente quello che provavano e che avevano provato in quelle tre settimane.
    Oltre, perché le ragazze erano riuscite a guardare dietro quella maschera costruita con le apparenza che gli Arashi erano costretti a portare per proteggersi e, buttando giù quella barriera invisibile, che avevano innalzato davanti a loro, riuscirono a fidarsi completamente di quelle tre ragazze che per giunta erano loro fan.
    Infinito, perché si erano sentiti esattamente come l’infinito. Perché quei sentimenti che provavano l’uno per l’altro non erano descrivibili a parole, perché erano forti e immensi proprio come l’infinito.

    Le ragazze li accompagnarono all’aeroporto, cercando di rimandare sempre di più il momento in cui si sarebbero dovuti salutare.
    “Miri-chan era necessario portare anche Danny?” le chiese Nino, mentre si guardava intorno imbarazzato; per colpa di quel peluche, tutte le persone che attendevano impazienti i loro voli che li avrebbero portati verso chissà quale avventura, l’indicavano al loro passaggio.
    “Lasciala in pace Kazu” gli rispose Masaki, che ormai aveva imparato a leggere l’espressione del suo viso.
    Miriam era nervosa, arrabbiata con tutto e tutti e anche con se stessa. Era arrabbiata per come le cose stessero per finire senza che lei potesse fare qualcosa per evitarlo, per la seconda volta si ritrovò a doversi separare da una delle persone più importanti della sua vita. Si bloccò sul posto, incapace di muoversi, di continuare a camminare verso quel gate a pochi metri da loro, cercava inutilmente d’ingoiare quel nodo che aveva in gola, non voleva piangere. Mary e Anto le si avvicinarono e la guardarono abbozzando un sorriso, ma nei loro occhi si vedevano quelle lacrime nascoste che cercavano in tutti i modi di reprimere.

    “Non c’è bisogno che ci accompagnate fino al gate” gli disse Ohno, quella situazione si rivelò difficile anche per lui.
    Si salutarono senza dirsi neanche una parola, Sho e Mary non riuscirono più a trattenere le lacrime, si abbracciarono piangendo l’uno sulla spalla dell’altro. Jun stringeva Antonella, sussurrandole all’orecchio alcune parole che solo lei era in grado di sentire, “ti aspetto a Tokyo”.
    Nino strinse Miriam in un abbraccio stritola ossa, “mi raccomando Miri-chan non fare danni senza di me” le disse cercando di farla sorridere almeno per un attimo. L’angolo destro della sua bocca si sollevò formando un sorrisino sghembo e furbetto, “sei stata troppo tempo con Masaki” aggiunse, “sorridi proprio come lui”.
    “Baka!” gli rispose lei.

    Dopo aver salutato tutti arrivò il momento più difficile per Miriam e Masaki; si guardarono negli occhi, entrambi cercavano di trovare il coraggio di parlare, ma nessuno dei due riusciva a farlo. Gli addii erano sempre stati un problema per loro e in quell’occasione si rivelarono ancora più difficili. Masaki l’abbracciò e dopo averle dato un bacio, s’incamminò insieme agli altri verso il gate. Miriam lo guardò allontanarsi, e in quel momento le lacrime che finora era riuscita a trattenere presero il sopravvento, “MASAKI!” lo chiamò correndo verso di lui.
    Masaki si voltò, la vide inciampare e cadere, rialzarsi e a fatica riprendere a correre. Correva il più veloce possibile verso di lui, mentre quelle lacrime calde gli offuscavano la vista. Si buttò fra le sue braccia, stringendosi forte a lui, “non dimenticarmi” gli disse fra un singhiozzo e l’altro.
    “Non potrei mai dimenticarmi di te Miriam”.
    “Non so cosa mi hai fatto” continuò a dirgli, “ma tu… tu sei come una malattia di cui non si conosce la cura, e io… io sono gravemente malata di te, della Masakite”.

    Masaki la strinse più forte, scoppiando a piangere, ma inaspettatamente, un sorriso gli comparve sul viso, l’avevano chiamato in tanti modi diversi, ma nessuno l’aveva mai paragonato a una malattia incurabile.
    “Miriam, grazie!” le disse prendendole il viso fra le mani, “grazie, perché riesci ad accettare i miei difetti e perché sei il regalo più bello che il destino potesse mai farmi”.
    Quelle parole la fecero piangere ancora di più e ora sicuramente non voleva separarsi da lui, ma purtroppo doveva farlo, sciolse l’abbracciò si sfilò lo zaino da sopra le spalle e in silenzio l’aprì.
    Masaki guardava ogni suo movimento “prendilo” gli disse porgendogli quel quaderno che lui riconobbe subito, era il famoso quaderno di Doraemon.
    “Ehm sei sicura?” le chiese, sapeva quanto fosse gelosa di quel quaderno.
    “Si” e dopo aver preso il minions poggiato a terra glielo mise fra le braccia, “Danny-chan prenditi cura di lui, okay?” disse dopo aver tirato su col naso. “E tu vedi di riportarmelo prima o poi” aggiunse con un finto tono minaccioso, che fra le lacrime, sembrava tutto, tranne che tale.
    “Te lo prometto” le rispose “e ricordati che anche tu mi hai promesso qualcosa”.
    “Non la dimenticherò. Ora và, ti stanno aspettando”.
    Masaki l’abbracciò e la baciò per l’ultima volta e asciugandosi gli occhi raggiunse i suoi amici.

    Il volo partì con qualche minuto di ritardo, Jun dopo essersi seduto aprì lo zaino e notò un sacchetto da regalo. Lo prese, c’era attaccato un bigliettino:

    “Le fenici rinascono sempre dalle loro ceneri e spiccando il volo segnano l’inizio di una nuova era.
    Trova il coraggio di aprire le tue ali e librandoti in cielo, fatti trasportare dal vento che ti aiuterà a superare quella montagna che ora sembra insormontabile”


    Jun rilesse un paio di volte quel biglietto, non riusciva a coglierne il significato, se lo mise in tasca e aprendo il sacchetto tirò fuori delle cuffie da dj, “Baka!” sussurrò a voce così bassa che nessuno riuscì a sentirlo. “Baka! Baka! Baka!” si ripeté, ora aveva capito perché Antonella ieri, appena ritornati dalla spiaggia, trafficava davanti al suo zaino. In un attimo di distrazione gli aveva nascosto quel regalo che per uno strano motivo, incomprensibile anche per lei, non riusciva a dargli di persona, perché si sentiva in imbarazzo.
    Jun le guardò attentamente, quelle cuffie erano le più belle che avesse visto, erano nera, ma sui padiglioni c’era una lavorazione particolare, ovvero una fenice stilizzata che risorgeva dalle fiamme, stringendole fra le mani sentì di aver ritrovato un pò di quella fiducia che aveva perso. Perché esattamente come l’aveva definito Antonella, lui era come quella fenice fra le fiamme che risorgeva creando un nuovo inizio.

    Masaki per tutto il volo strinse quel peluche impregnato del profumo di Miriam, qualcosa di rosso attirò la sua attenzione, legato al braccio del peluche infatti c’era quel braccialetto che aveva gettato via quel giorno in cui avevano litigato. Glielo sfilò e se lo mise subito intorno al polso, giurando di non toglierselo mai più. Accarezzò quel pezzo del puzzle su cui Miriam aveva fatto incidere quella “M²” che ormai era diventata la loro firma. Guardando il cielo attraverso l’oblò, si ricordò del quaderno, si alzò di scatto per prendere lo zaino nella cappelliera.

    “Masa, ma che ti prende?” gli chiese Sho seduto dietro di lui che fino a quel momento non aveva rivolto la parola a nessuno tranne che a Jun. Da quando erano saliti sull’aereo infatti, non aveva fatto altro che sfogliare quell’album raccontandogli i particolari di ogni foto e anche se lui non l’ascoltava Sho continuava a parlare. Parlare di Mary gli faceva sentire di meno la sua mancanza, in qualche modo la sentiva vicino.
    Masaki non rispose, prese quel quaderno e iniziò a sfogliarlo; su quelle pagine c’era tutta la loro storia. Miriam aveva realizzato un fumetto utilizzando la loro vacanza come trama, c’erano tutti, Anto e Jun, Sho e Mary, gli Ohmiya e per finire c’erano lui e Miriam. I I disegni erano curati nei minimi particolari, colorati alla perfezione e i personaggi erano molto simili agli originali, ma disegnati in stile manga: occhi grandi, viso ovale e qualche riflesso nei capelli. Quella ragazza lo sorprendeva sempre di più, qualsiasi cosa facesse, anche la più stupida, riusciva a fargli trovare sempre il sorriso; e quel quaderno che ora stringeva al petto, gli fece ritrovare quel sorriso che sentiva di aver lasciato in quell’aeroporto insieme a Miriam.
    Le aveva detto di non dimenticarsi mai di lei, ed era esattamente quello che aveva intenzione di fare. Avrebbe continuato a pensarla, aspettando con ansia e trepidazione il momento in cui avrebbe potuto stringerla di nuovo fra le braccia, di unire i loro mignoli al quale era legato l’Akai Ito, che li aveva destinati a stare insieme dal momento in cui erano nati. Guardando quel tappeto bianco di nuvole, si giurò di fare tutto il possibile per rendere Miriam felice e stare insieme a lei per sempre, anche se questo significava mettersi contro Johnny Kitagawa.


    Capitolo 30
    Erano passati tre mesi da quando erano ritornate da Malta e le cose non andavano esattamente come Antonella, Mary e Miriam avevano immaginato. Ovviamente sapevano che gli Arashi erano impegnatissimi e non si aspettavano di certo, di sentirli tutti i giorni, ma almeno speravano in una loro email una volta ogni tanto, e invece niente, silenzio totale. In quei tre mesi non avevano mai risposto né ai loro messaggi, né alle loro chiamate. “Saranno impegnati” si dicevano, cercando di giustificarli; ma quella, più che una giustificazione, era un incoraggiamento, che le faceva andare avanti, che le dava la forza di sopportare la loro assenza, che le convinceva che gli Arashi non le avevano dimenticate. Ma la dura verità, bussò presto alle loro porte. Un giorno fra i nuovi progetti del forum in cui lavorava Miriam, caricarono alcune puntate recenti dei loro programmi e a lei affidarono due puntate del Vs, una del mese di luglio e una di settembre. Mentre le revisionava, un piccolo particolare attirò la sua attenzione, nella puntata di luglio, infatti, Masaki, Jun e Sho portavano rispettivamente il braccialetto, l’anello e la collana; nella puntata di settembre invece, non li avevano più; questa cosa la incuriosì. Iniziò a cercare sul web tutte le puntate che avevano trasmesso in quei mesi, scoprendo così che li avevano indossati solo per quella puntata, che combinazione doveva revisionare lei. Quello poteva essere un campanello dall’allarme o comunque una minima spiegazione sul perché non si facevano sentire, ma Miriam decise di non dare molta importanza alla cosa e infatti non disse niente neanche alle sue amiche. Si sentiva ridicola per essersi fissata così tanto su quel piccolo e insignificante particolare, in fondo potevano aver deciso di toglierli durante le registrazioni per evitare di perderli e più ci pensava, più si convinceva che quella era l’unica spiegazione possibile. Un paio di giorni dopo però, successe l’imprevedibile, che fece aprire gli occhi a tutte e tre.

    “Masaki continua a non rispondere” disse Miriam, buttandosi sul divano di Mary.
    “Saranno impegnati” la rassicurò Antonella, “fra poco c’è il tour”.
    “Uffa, mi manca da morire!” continuò a lamentarsi.
    “Ehm… ragazze ho trovato una cosa” intervenne Mary interrompendo il monologo depressivo di Miriam.
    Entrambe si avvicinarono al computer per guardare meglio, “non credo che il concerto centri qualcosa con il loro silenzio”.
    Mary, infatti, aveva trovato un sito web con alcune foto degli Arashi, in particolare di Sho, Jun e Masaki con delle ragazze. Le guardavano incredule, erano letteralmente sconvolte. Si sentivano umiliate, tradite. Per tre mesi non avevano fatto altro che pensarli, immaginando il momento in cui si sarebbero rivisti e loro invece, avevano pensato solo a divertirsi con quelle ragazze. Su quel sito infatti, c’erano una marea di articoli che li riguardavano, che ipotizzavano una loro possibile relazione e contrariamente dal solito la Johnny’s non aveva messo a tacere quei rumors che circondavano gli Arashi. Quella verità che avevano evitato come la peste, le investì in pieno. Ora si spiegava tutto; le avevano dimenticate, avevano dimenticato tutto il tempo passato insieme a Malta, le promesse e le parole dette. Tutte quelle belle parole per gli Arashi non avevano avuto alcun significato, le avevano semplicemente usate per trascorrere quei giorni in maniera diversa, per divertirsi e metterle da parte appena arrivati a Tokyo. La paura che avevano represso diventò reale, facendole sentire delle stupide per come si erano fidate; dovevano immaginarlo che sarebbe andata a finire così. Figuriamoci se quei tre non si sarebbero fatti un’altra vita appena ritornati in Giappone. Loro non erano nessuno, non erano bellissime come quelle attrici e modelle, che li circondavano ogni giorno e non avevano niente di speciale, era scontato che si sarebbero dimenticate di loro alla prima occasione, e non avevano aspettato molto per farlo.
    Lentamente e a fatica, iniziarono a farsene una ragione, cercando di dimenticare il prima possibile quella vacanza a Malta, che ora maledicevano, ma Miriam non ci riusciva. Pensare a Masaki era vietato, ma dimenticarlo era doloroso. Faceva così male, che le sembrava che qualcuno le avesse conficcato una lama nel petto. Miriam non poteva dimenticare, non poteva fare finta che tutto quello non fosse mai successo e il suo cuore glielo ricordava ogni giorno, riportandole alla mente quelle emozioni che credeva non sarebbe mai riuscita a provare. Lei non poteva dimenticare la frustrazione e la rabbia provata nei giorni in cui non riusciva a vederlo e soprattutto, non poteva dimenticare la felicità che aveva provato nel momento in cui i sui occhi avevano incontrato per la prima volta quelli di Masaki. La flebile luce di una fiammella si accese in lei e Miriam si aggrappò a quella speranza con tutte le sue forze; Masaki non poteva averla tradita, non poteva aver dimenticato tutto quello che avevano passato, non poteva aver annullato tutti i momenti che avevano trascorso insieme e non poteva averla cancellata come se fosse un inutile scarabocchio su un foglio bianco. “Quelle foto non significano niente” continuava a ripetersi per darsi forza, per auto convincersi, e proprio quando stava per perdere anche quel briciolo di speranza l’uscita dei goods, uno in particolare, confermò la sua teoria. Come al solito furono affidati a Masaki, il design che aveva scelto seguiva uno stile abbastanza semplice e monocromatico, tutti però erano caratterizzati da una striscia rossa che ricordava vagamente un filo. Questa volta, oltre ai soliti: penlight, uchiwa, pamphlet, asciugamano e foto, c’erano cose diverse, invece della borsa, c’era lo zaino; i cappellini da skater e quelli di lana con il pompon; la t-shirt e la felpa; le polsiere, i peluche e i cuscini; i ritratti di tutti e cinque disegnati da Ohno con i loro rispettivi autografi; c’erano una marea di cose, ma quello che attirò la sua attenzione fu quel fumetto di cui riconobbe subito la copertina. Masaki aveva realizzato un altro dei suoi sogni, aveva reso quel fumetto reale, era riuscito a farlo pubblicare, dandogli quel titolo, che lo rispecchiava alla perfezione, Akai Ito.
    Per due settimane Miriam cercò in tutti i modi di convincere le sue amiche, che Sho e Jun non le avevano dimenticate, che non le avevano tradite, ma loro erano più cocciute di un mulo, si erano impuntate così tanto da non voler sentire ragioni.

    “Miriam piantala di parlare di loro” la sgridò Mary, “okay Masaki ha pubblicato il tuo fumetto e forse non ti ha dimenticato, ma… Sho e Jun, alla prima occasione ci hanno tradite” le disse; pronunciare il nome di Sho le provocò una strana sensazione nello stomaco.
    “Ma quelle foto non significano nulla” continuò a insistere, “nel Vs di luglio avevano anche le vostre cose”.
    “MIRIAM BASTA!” urlò Antonella esasperata, “le hanno portate per un giorno. Che pensi, che non l’abbiamo notato, non siamo stupide! Non ci serve lavorare in un forum per guardare le puntate dei loro programmi”.
    “Okay, li avevano solo per una puntata, ma magari quelle che hanno trasmesso erano vecchie, che avevano registrato prima di partire” ribatté, difendendoli in tutti i modi.
    “Ma se erano abbronzatissimi” le rispose Mary, “Miriam per favore non parlare più di loro”.

    Per Anto e Mary anche sentire i loro nomi era un problema; le faceva stare male. Facevano le forti, facendo finta di averli dimenticati, ma in realtà ogni sera, quando si ritrovavano da sole, in quel letto freddo e la loro testa decideva di non farle dormire, i ricordi le riportavano inevitabilmente a tre mesi fa, facendogli rivivere quei momenti, che cercavano in tutti i modi di cancellare.

    Miriam dopo quel giorno non parlò più di Sho e Jun, non cercò più di convincerle, sapeva che prima o poi sarebbe arrivato il momento in cui entrambe si sarebbero rese conto dell’errore che avevano fatto dando tutto per scontato, senza dargli neanche un briciolo di fiducia. E quel momento non tardò ad arrivare. Quel giorno Miriam era sommersa da una marea di libri, quaderni e fogli vari, sparpagliati su tutta la scrivania e quel telefono non faceva altro che vibrare facendole saltare i nervi.
    Stava studiando per quell’ultimo esame che doveva dare tra un paio di giorni e Mary non faceva altro che chiamarla a ripetizione, nonostante lei continuava a non rispondere e a rifiutare le sue chiamate.

    “Che c’è?” le rispose infastidita.
    “Controlla l’email”.
    “Mi hai chiamato per dirmi di controllare l’email?” disse sempre più nervosa “io sono invasa dai libri e tu mi chiami da tre ore solo per dirmi questo”.

    Quando si avvicinava il periodo degli esami Miriam era sempre tesa come una corda di violino, era perennemente arrabbiata e se la prendeva con chiunque per qualsiasi cosa.

    “Miriam sta zitta e leggi sta benedetta email”.
    “Okay, aspetta”.

    Miriam accese il pc e aprì immediatamente la sua casella di posta, c’era un email di un indirizzo che non aveva mai visto, [email protected].
    “Chi sei?” disse, mentre aspettava che si caricasse, quel suo computer era lento da morire. Quando finalmente si aprì, gli occhi le uscirono letteralmente dalle orbite.
    “Miriam, ohi Miriam! Ci sei?!” la chiamò Mary, cercando di attirare la sua attenzione.
    “To-To... Di-di” le rispose, incapace di formulare una frase di senso compiuto.
    “Fra dieci minuti siamo da te” le rispose Mary chiudendo la conversazione.

    Dopo dieci minuti esatti insieme ad Antonella, arrivò a casa sua. Salirono di corsa le scale e si fiondarono nella sua camera, la trovarono ferma immobile a guardare lo schermo del computer con la bocca aperta.

    “Avevo ragione” disse, quando finalmente riuscì a mettere insieme due parole.
    Tutte e tre, infatti avevano ricevuto un email da Sho, Jun e Masaki con un biglietto aereo per Tokyo; questo gesto mandò Antonella e Mary in confusione.

    Perché avevano mandato quel biglietto e soprattutto, perché l’avevano fatto dopo mesi che non si facevano sentire?

    “Dobbiamo andare” disse subito Miriam.
    “Ma che senso ha?” ribatté Antonella, “sono mesi che non si fanno sentire e ora pensano di sistemare tutto invitandoci a Tokyo, proprio nel bel mezzo del concerto?”
    “Perché devi essere sempre così cocciuta” le rispose Miriam esasperata da quel suo lato del carattere, “che cavolo devono fare, per farvi capire che vi amano? Ci hanno comprato un biglietto aereo; ci vogliono là!”.
    “Si certo, ci vogliono là” ripeté Mary interrompendola, “ma con tutte le cose che hanno da fare non verranno neanche a salutarci e andare a Tokyo in questo momento, mi farebbe stare ancora più male e non voglio più soffrire per lui”.
    “Sono pienamente d’accordo con lei, noi ormai li abbiamo dimenticati, proprio come hanno fatto loro. Io non vengo, non ho intenzione di passare il giorno di Natale, passando da un aereo a l’altro per loro. Mary, tu che hai intenzione di fare?”
    “Ovviamente non vado. Non accetterò il biglietto, dopo quello che ha fatto”.
    “Ma vi sentite quando parlate?” le chiese Miriam scioccata da quelle parole, “vi rendete conto di quanto sono false le parole che dite? Loro non vi hanno dimenticate. E se per una volta mi deste retta e ascoltaste quel maledetto cd lo capireste anche voi che ho ragione. Anto, dici di averlo dimenticato, allora perché porti ancora il suo anello? E tu Mary, parli di non voler più soffrire per colpa di Sho, quando sai benissimo che l’unico che riesce a non farti stare male è proprio lui. Vi state comportando da stupide, dando retta a quell’orgoglio che non vi porterà da nessuna parte”.

    Queste parole fecero a tutte e due uno strano effetto; aveva ragione, si erano intestardite, ma avevano paura ad accettare quei sentimenti.

    Per più di un’ora cercò di convincerle, ma quella sera quando andarono via da casa sua, il loro pensiero non era cambiato, non avrebbero mai accettato quel biglietto per nessun motivo.

    Miriam non era riuscita a fargli cambiare idea, però era riuscita a farsi promettere che avrebbero ascoltato il cd e quando lo fecero, dovettero inevitabilmente darle ragione. I testi di quelle canzoni scatenarono ad entrambe le stesse sensazioni provate a Malta e furono proprio quelle a convincerle a partire insieme a Miriam.

    Il giorno della partenza arrivò alla velocità della luce, quei giorni sembravano essere volati; partirono da Lamezia intorno alle 9.00 e quel volo sembrava non finire mai. Erano stanchissime, avevano passato un’intera giornata passando da un aereo all’altro, si erano dovute subire tre ore di ritardo a Roma, per colpa del mal tempo e un’altra ora a Mosca, per via del traffico aereo.
    Arrivarono a Tokyo che era pomeriggio inoltrato. Camminavano guardandosi intorno, l’aeroporto di Narita era enorme e c’erano cartelloni pubblicitari degli Arashi da tutte le parti. Non sapendo dove andare, seguivano quella marea di gente, con la speranza che le avrebbe condotte verso l’uscita.

    “DANNY!” urlò Miriam, mentre correva verso un uomo dall’aspetto allampanato, gli strappò il peluche dalle mani e se lo strinse forte al petto, “mi sei mancato”.
    “Miriam, ma che stai facendo!?” la riproverò Antonella.
    “Ridaglielo!” le ordinò Mary.
    “Perché dovrei, è il mio Danny” rispose lei; avrebbe riconosciuto quel peluche anche in mezzo ad altri cento minions.

    Anto continuò per più di dieci minuti a sgridarla, cercando di convincerla a restituirlo, ma lei continuava a sostenere che quello fosse il suo peluche.

    “La scusi!” disse Mary rivolgendosi a quell’uomo che le guardava scioccato e divertito al tempo stesso, “ora glielo restituisce” continuò a dirgli.
    L’uomo scoppiò a ridere; la descrizione che gli avevano fatto i ragazzi era perfetta, non gli avevano fatto descrizioni dettagliate o fatto vedere foto, ma gli avevano descritto nei minimi dettagli il modo in cui si sarebbero comportate.

    “Appena lo vede Miriam verrà subito da te” gli aveva detto Masaki, “e Antonella la seguirà per rimproverarla, perché sicuramente lei te lo strapperà dalle mani” proseguì Jun, “e per ultima arriverà Mary, a scusarsi come sempre per le brutte figure che le fanno fare quelle due” concluse Sho.

    Anto e Mary lo guardarono un pò confuse.

    “Voi dovreste essere Miriam, Antonella e Mary giusto?” disse e mentre pronunciava i loro nomi le indicava. “Piacere di conoscervi, io sono Ryuu Okazaki, l’assistente di Aiba-san”.
    Tutte e tre lo guardarono scioccate, “Ryuu-chan!” esclamarono in coro, l’avevano nominato così tante volte nei loro discorsi arashici, che ormai gli veniva spontaneo usare l’onorificenza “chan” proprio come facevano gli Arashi.

    “Oh, ehm ci scusi Okazaki-san” gli disse subito Mary, cercando di rimediare all’ennesima brutta figura, “comunque sì, siamo noi”.
    “Tranquilla, potete chiamarmi Ryuu” rispose sorridente, “prego, seguitemi” aggiunse facendogli segno.
    Le ragazze lo seguirono nel parcheggio; Miriam si sentiva un pò in ansia, sperava con tutta se stessa che le stesse portando dagli Arashi. Nella sua mente iniziarono a formarsi idee strane, immaginava che Masaki la stesse aspettando proprio in quel parcheggio per portarla a casa sua, a Chiba, prima però, sarebbero passati dal Keikarou per presentarla alla sua famiglia.
    Ma le sue fantasie scoppiarono come un palloncino, quando Antonella esclamò con voce scioccata “Oh mio Dio, un’Infiniti Q50”.
    Ryuu, era andato a prenderle con una berlina sportiva nera lucida, Antonella l’adorava, era super informata su ogni particolare; per tutto il tragitto da Narita a Tokyo non aveva fatto altro che parlare di quella macchina.
    “È un’auto di lusso del produttore giapponese Nissan Moto Co” stava dicendo quando Miriam la bloccò, non ne poteva più di sentir parlare di quella macchina che a lei sembrava identica a quel catorcio che guidava suo padre.
    “Ryuu-chan dove stiamo andando?” gli chiese speranzosa che le rispondesse da Masaki.
    “Al Tokyo Dome Hotel” le rispose lui e senza aggiungere altro continuò a guidare.
    Tutte e tre lo guardavano in silenzio, Ryuu nonostante sembrasse perennemente con la testa fra le nuvole, era un uomo dall’aspetto distinto, il suo viso era scarno, sul quale s’intravedeva una leggera barbetta, gli occhi erano circondati da occhiaie e i capelli neri erano leggermente mossi e arruffati, ma questo non gli dava per niente l’aria di essere trasandato, anzi, emanava una sorta di fascino e la serietà che metteva nel suo lavoro era disarmante. Infatti, durante il tragitto, gli arrivarono una marea di telefonate; le ragazze cercarono di ignorare le sue conversazioni, era da maleducati origliare, ma riuscirono a captare qualcosa; erano sorti alcuni problemi riguardanti una conferenza stampa che si sarebbe tenuta fra due giorni, proprio nell’hotel dove soggiornavano loro, ma Ryuu riuscì a risolverli senza problemi facendo un semplice giro di telefonate.

    “Siamo arrivati” annunciò, mentre parcheggiava.
    Le ragazze lo seguirono all’interno, si guardarono intorno sempre più scioccate, quell’hotel era enorme, altissimo. Era un grattacielo di 155 metri d’altezza, si trovava vicinissimo al Tokyo Dome. La hall era grandissima, niente a che vedere con quella del The Palace; era illuminata da enormi faretti che si riflettevano sul pavimento in marmo; vicino l’entrata c’era un gigantesco albero di Natale, addobbato con palline e lucine rosse, e tanti piccoli pacchetti sistemati alla base. Ryuu fece il ceck- in e dopo aver preso le chiavi elettroniche le guidò verso gli ascensori; questi erano velocissimi, arrivarono al 40° piano in meno di tre minuti.

    “Queste sono le vostre camere” gli disse consegnandogli le schede, “sono tre suite identiche e comunicanti” aggiunse, mentre entrava in quella di Miriam, che entrando seguita da Anto e Mary, rimase senza parole.
    Se possibile quella stanza era ancora più bella della suite Infinity, arredata in stile moderno e accogliente, composta da tre stanze; una camera da letto, una cucina-soggiorno e per finire il bagno.

    “C’è anche la jacuzzi” disse Antonella con sguardo sognante.
    “E la televisione in bagno” proseguì Miriam.
    “In quel letto potrebbero starci benissimo tre persone” intervenne Mary, “Ryuu è un problema se prendiamo solo una camera?” gli chiese visibilmente a disagio da tutto quel lusso.
    “Ormai le camere sono state prenotate, perciò dovete prenderle per forza” le spiegò, “comunque sedetevi, dobbiamo parlare di alcune cose” aggiunse, indicando il divano ad angolo.

    Le ragazze si sedettero senza dire una parola, Ryuu prese una cartelletta dalla sua borsa e la poggiò sul tavolino in vetro, “gli Arashi si scusano per non essere venuti a prendervi di persona in aeroporto, ma come potete immaginare, qui non siamo a Malta, devono fare continuamente attenzione per non creare problemi all’agenzia”.
    “Si, lo capiamo benissimo” gli rispose Mary “possono stare tranquilli, non creeremo nessun problema e non li cercheremo, mai”, e quell’ultima parola la disse con un tono diverso, come a volerla sottolineare.
    “A tal proposito” intervenne interrompendola, “gli Arashi ora sono nel bel mezzo del concerto, per questioni di comodità oggi e domani alloggeranno in questo hotel e vi sarei grato se evitaste di vederli. Per due giorni questo posto sarà asserragliato dai giornalisti, soprattutto dopodomani quando sarà finito il concerto”.
    “Eh~!” esclamò subito Miriam, “ma io voglio vedere Masaki, mi sono fatta dodici ore di volo e quattro ore d’attesa e ora non posso vederlo neanche per un secondo” continuò a lamentarsi.
    “Lo vedrai Miri-chan, e anche voi li vedrete” le rispose subito Ryuu, ma appena si rese conto di come l’aveva chiamata aggiunse, “oh, mi scusi Miriam, so che le dà fastidio se la chiamano così, ma Aiba-san per cinque mesi non ha fatto altro che parlarmi di lei usando quel nome, che mi è uscito spontaneo”.
    “Digli che mi chiamo Miriam” rispose con il broncio, mentre stringeva il suo peluche.
    “Mi scusi Ryuu-san” intervenne Antonella, “ha detto che li vedremo, non che a me e a Mary importi più di tanto vedere quei due, ma, mi chiedevo, come faremo a vedere Ohno, Masaki e Nino se non possono farsi vedere da nessuna parte insieme a noi e non possiamo neanche incontrarli in hotel?”
    “Con questi” disse aprendo la cartelletta che aveva poggiato sul tavolo, “questi sono i biglietti per il concerto e questi, sono i pass per il backstage. Dopo il concerto aspettate sedute al vostro posto che qualcuno dello staff venga a prendervi, non fate niente di vostra iniziativa, ricordate sempre che qui siete in Giappone. Ora devo andare” aggiunse guardando l’orologio “Miriam per favore puoi restituirmi il peluche? Aiba-san lo rivuole”.
    “Io lo uccido!” rispose, mentre gli consegnava quel pupazzo contro voglia.

    Ryuu le salutò e velocemente uscì dalla stanza, lasciando le ragazze più confuse di prima, fissavano quei biglietti incredule. Non riuscivano a credere a quello che stava succedendo. Finalmente si trovavano in Giappone insieme, sognavano di andarci da una vita e ora finalmente c’erano riuscite e questo era tutto merito degli Arashi. Come al solito le avevano sorprese.

    Con quei cinque era sempre così, erano imprevedibili, da loro non sapevano mai cosa aspettarsi, erano capaci di fare qualsiasi cosa e quando meno se l’aspettavano. E quel biglietto aereo era stato un fulmine a ciel sereno, e anche se Mary e Anto non volevano ammetterlo, gli aveva fatto estremamente piacere riceverlo. Ma gli Arashi non si erano limitati solo a farle andare in Giappone, gli avevano procurato anche i biglietti di quel concerto che sicuramente non sarebbero mai riuscite a vedere per colpa di quelle stupide regole della Johnny’s; quel vecchiaccio ne inventava una più del diavolo per cercare di tenere sotto la sua ala protettrice i suoi adorati Johnny’s.

    “Ragazze che ne dite se stiamo tutte in questa stanza?” propose Mary, “mi sento da sola in quella stanza gigante”.
    “Si anch’io” concordò Antonella.
    “Bene, allora stasera festino nella mia camera” rispose Miriam ridendo.

    Quella sera dopo aver festeggiato il loro arrivo a Tokyo, Mary e Anto si addormentarono nel giro di pochi minuti, erano letteralmente a pezzi. Miriam invece non riusciva a chiudere occhio, un pò per il fuso orario e un pò per l’agitazione per quello che sarebbe successo il giorno dopo. Ma a tenerla sveglia quella notte fu soprattutto la consapevolezza di essere così vicina agli Arashi e non poterli vedere. Le mancavano tutti, le erano mancati gli scherzi che faceva agli altri insieme a Nino, il comportamento da papà di Sho, che insieme a Mary passavano ogni secondo a preoccuparsi di tutti loro, tant’è, che negli ultimi giorni di quella vacanza li avevano soprannominati “mamma e papà” per i loro comportamenti da genitori. Le mancava la faccia perennemente assonnata del Riidaa e cosa strana, le mancava persino la precisione di Jun, insieme ad Antonella erano i precisini del gruppo, puntualizzavano qualsiasi cosa, facendo saltare i nervi a tutti.
    Ma più di tutti le mancava Masaki, le mancava il suono della sua voce, la sua risata, i suoi abbracci, le sue carezze e i suoi baci.
    Le mancava qualsiasi cosa di lui, anche quel suo modo strano che aveva di rubarle i vestiti; Miriam per lo più usava abbigliamento maschile e di una o due taglie in più della sua e quando Masaki l’aveva scoperto le aveva rubato tutte le maglie, perché si avvicinavano molto al suo stile.

    “Che facciamo oggi?” chiese Mary durante la colazione, “il concerto comincia alle sei, perciò abbiamo un bel pò di tempo libero”.
    “No, invece” rispose Antonella, “non voglio fare tutta quella fila, prima andiamo e prima entriamo”.
    “Ma ci annoieremo da morire” intervenne Miriam.

    Ma Antonella non volle sentire ragione, alle tre in punto le costrinse a mettersi in fila, “visto, che vi dicevo” disse indicando le persone davanti a loro “quante ce ne saranno, un centinaio?” chiese, ma senza aspettare la risposta riprese subito a parlare.
    Sembrava una macchinetta, non stava un attimo zitta, ad interrompere le sue chiacchiere, che duravano ormai da un’ora, fortunatamente fu un signore bassino e cicciottello, che le si avvicinò guardandola con uno sguardo indecifrabile, “Antonella, Miriam e Mary?” chiese.
    “Si!” rispose lei euforica, mentre Mary e Miriam la guardavano sconvolte, il fuso orario le aveva fatto uno strano effetto.
    “Seguitemi prego” aggiunse facendole uscire dalla fila, mentre tutte le fan le guardavano fulminandole con gli occhi. “Matsumoto-san mi ha pregato di farvi saltare la fila” gli spiegò, mentre le guidava all’interno di quell’enorme stadio, “questi sono i vostri posti, scelti accuratamente da lui, da qui infatti potete vedere tutto il palco senza problemi” aggiunse con tono compiaciuto.
    Per tutto il tempo quell’uomo non le lasciò un attimo da sole, non le perse mai di vista, andò persino a comprare qualcosa da mangiare, in attesa che aprissero i cancelli; sicuramente Jun e Sho l’avevano stressato fino all’esaurimento per convincerlo a stare dietro a loro tre.

    “Il palco si vede davvero bene da qua” disse Miriam, mentre mangiava un onigiri.
    “Si peccato che per vedere Ohno devo usare un binocolo” rispose Antonella.
    “Esagerata, non siamo poi così alte” intervenne Mary, “pensa a quelle che stanno lassù” disse indicando il punto più alto dello stadio.

    I posti che aveva scelto Jun per loro, erano sulla prima fila degli spalti, centrali, ed erano esattamente quelli che usava lui per vedere il palco dalle varie angolazioni in modo da farsi il quadro generale.
    Quel signore rimase a parlare con loro per tutto il tempo, scoprirono così che si chiamava Makoto. Lui era uno degli addetti alle luci, lavorava con gli Arashi ormai da sedici anni, li aveva praticamente visti crescere e diventare gli uomini che erano ora; li considerava come figli.

    “Ora vi devo salutare, fra qualche minuto questo posto diventerà l’infermo” disse ridendo, “è stato un piacere conoscervi, ci vediamo dopo”.
    “A dopo Makoto-san” risposero in coro.

    Proprio come gli aveva detto, lo stadio nel giro di pochi minuti iniziò a riempirsi; c’erano persone ovunque, le ragazze non avevano mai visto così tanta gente messa insieme, si sentivano in imbarazzo solo a guardarle. Alcune ragazze vicino a loro le fissavano facendole sentire fuori posto, a disagio. Parlavano fra di loro convinte che non capissero il giapponese, si stavano chiedendo il perché erano entrate prima di tutti gli altri. Una ragazzina piccolina e tarchiata ipotizzava che loro fossero pezzi grossi di chissà quale agenzia venute per esaminare gli Arashi.

    Anto, Mary e Miriam guardandosi scoppiarono a ridere, non riuscirono a trattenersi, pezzi grossi, loro, ma le avevano viste bene?

    Loro tre sembravano tutto tranne che pezzi grossi di un’importante agenzia, Antonella più che a un concerto degli Arashi sembrava a una partita di calcio Italia-Giappone, aveva una bandiera da un lato italiana e dall’altro giapponese e non faceva altro che sventolarla, Miriam si era portata dietro quasi tutti i goods che aveva e non sapeva cosa tenere per prima in mano. L’unica normale era Mary, ma si sa, lei rispetto alle sue amiche era la più razionale. Indossava solo un cappellino dell’Italia e la maglia di Love.


    Capitolo 31
    Le luci si spensero, le penlight lentamente iniziarono a brillare accendendosi a macchia d’olio, illuminando gli spalti del Tokyo Dome. Cinque striscioni vennero calati dall’alto verso il basso, “Arashi Akai Ito Live Tour 2015” c’era scritto a caratteri cubitali. Appena toccarono terra, cinque punti diversi del palco s’illuminarono dei loro colori, lo schermo centrale si accese mostrando quel video che segnava l’inizio del concerto.

    Gli Arashi erano distesi su un prato, al mignolo della mano sinistra era legato un nastrino rosso; si alzarono e dopo essersi scambiati sorrisi e occhiatine, iniziarono a correre uno dietro l’altro per poi separarsi e prendere direzioni diverse.
    Nino entrò di corsa in un piccolo appartamentino e uscendo sul terrazzo iniziò ad ammirare il gioco di colori che creava il Rainbow Bridge tutto illuminato.
    Ohno camminava a testa bassa mentre usciva da una sala prove, arrivato nel parcheggio vide quella macchina che l’aspettava come ogni sera al solito posto. Salì a bordo e guardando il guidatore, iniziò a sorridere.
    Un taxi arrivò a tutta velocità in un piccolo porticciolo, Jun dopo aver indossato gli occhiali da sole, scese dal taxi, per poi salire su una piccola barchetta turistica. Si accomodò sull’ultima fila e passandosi le mani nei cappelli, se li scompigliò; come a voler ricordare il gesto che faceva sempre Antonella.
    Sho camminava lentamente nel corridoio di un hotel, fra le mani stringeva un foulard arancione, che ricordava vagamente quello che Mary aveva prestato a Jun per il party fluo. Uscì da una porta finestra e di corsa salì le scale antincendio fino ad arrivare sul tetto e sporgendosi dal parapetto, osservò il panorama della città estendersi davanti ai suoi occhi.
    Masaki correva a perdi fiato fra le viuzze di un paesino lontano, si fermò solo quando arrivò davanti a una statua. Alzò gli occhi al cielo e sorrise. Intorno a lui il tempo sembrava scorrere più veloce, le nuvole prendevano strane forme, colorandosi delle sfumature del sole e nel cielo si alternavano i vari momenti della giornata.
    Tutti e cinque guardarono verso lo schermo “un sottile filo rosso ti tiene legato alla tua anima gemella per sempre” dissero in coro prima di riprendere a correre.

    Cinque fasci di luce presero il loro posto, rincorrendosi l’uno con l’altro, fino ad unirsi ed esplodendo cinque cubi di Rubik sospesi sul palco si accesero.
    Le urla delle fan erano fortissime, i cubi iniziarono a scendere, mentre i colori si mescolavano cercando la combinazione esatta. Toccarono terra, fermandosi nei cinque angoli del palco, e ogni cubo s’illuminò dei loro colori; la combinazione era stata trovata. Si aprirono, gli Arashi erano bellissimi nei loro vestiti cosparsi di paillettes.

    “AKAI ITO LIVE TOUR” urlò Jun prima che la musica partisse e cominciassero a cantare.

    La struttura del palco era immensa, spettacolare; contrariamente dal solito ognuno aveva il proprio palco, che collegato l’uno con l’altro da passerelle, sulle quali erano scritti i loro nomi, creavano un pentagono, con un vuoto al centro, ricordava vagamente il Playa Linda.

    Quei palchi erano in continuo movimento, tutti e cinque si sollevavano, quelli di destra e sinistra, ovvero quello di Jun e Masaki, erano mobili e passando sulle passerelle si univano con quello davanti, cioè il palco di Sho. Lo schermo centrale era enorme e anch’esso mobile, infatti sollevandosi scoprì un mini palco collegato alla passerella che univa i palchi di Ohno e Nino da una scaletta illuminata dai colori dell’arcobaleno; sotto quelli laterali invece era nascosta la band.
    Gli effetti speciali erano spettacolari, giochi d’acqua e di fuoco si alternavano e per ogni canzone Jun aveva creato una scenografia con effetti speciali diversi l’uno dall'altro, ma in qualche modo ricordavano tutti la vacanza a Malta; riuscendo a ricreare quell’atmosfera magica che circondava quel luogo.
    Il concerto proseguì nel solito modo; gli Arashi ballavano e cantavano come sempre, erano scatenatissimi, correvano da una parte all’altra, ridevano e scherzavano come matti, trasmettevano allegria solo a guardarli. Le ragazze rimasero impressionate, i loro concerti visti dal vivo erano ancora più belli, qualsiasi cosa le sorprendeva, anche la più piccola e banale. Rimasero affascinate da tutti i cambi di luci, dai movimenti dei palchi, da come coinvolgevano le fan in qualsiasi cosa facessero.
    Il primo solo fu quello di Nino, il testo di quella canzone era di una tristezza assurda, ma al tempo stesso bellissimo; parlava di due amici innamorati l’uno dell’altro, che per timore di non essere ricambiati non confessarono mai i loro sentimenti. La suonò al pianoforte, illuminato solo da un occhio di bue.
    Dopo il suo solo, quattro pedane si sollevarono, Jun e Sho indossavano dei cappellini da elfo, mentre Masaki e Ohno dei cerchietti con delle corna da renna. Le luci cambiarono di nuovo, sul palco iniziò a nevicare e Nino vestito da babbo natale salì sul palco di Sho, che si sollevò subito. Prese la chitarra e iniziò a suonare il suo solo di the Digitalian, ma con una melodia più lenta e natalizia, mentre i juniors ballavano vestiti da elfi, lanciando dei piccoli pacchetti alle fan.
    Alla fine del medley di natale, iniziò l’mc, come al solito Sho pregò tutte le fan di sedersi, “sapete quest’anno siamo andati in vacanza” disse facendo rimanere le fan sorprese.
    “Perché siete così sorprese?” chiese Nino, “anche noi dobbiamo riposarci ogni tanto” disse provocando una risata generale.

    Inaspettatamente iniziarono a parlare di quella vacanza, raccontando tutto quello che avevano visto e fatto. Nino raccontò a tutti lo scherzo con i ragni che aveva fatto a Jun, scatenando la loro risata. Jun per vendicarsi parlò di come Nino aveva rotto gli occhiali di Sho; per più di cinque minuti si presero in giro a vicenda, raccontando le cose più imbarazzanti e divertenti che avevano fatto a Malta, tralasciando ovviamente l’argomento ragazze. Antonella e Mary li ascoltavano attentamente, ogni cosa detta faceva ricordare i momenti passati insieme; e rievocare quei momenti davanti a 70 mila persone, provocò ad entrambe una fitta nello stomaco.
    Durante l’mc scoprirono che ritornati da Malta, Jun aveva rivoluzionato l’intero cd, in due mesi avevano dovuto incidere venti nuove canzoni, registrare un nuovo p.v. e prendere parte a tre diversi servizi fotografici. I loro soli erano stati cambiati, Ohno aveva dovuto rifare la maggior parte delle coreografie, mentre Sho dovette riscrivere tutte le parti rap. Da luglio a novembre non avevano avuto neanche un secondo libero, fra prove del tour, dorama, registrazioni dei programmi e partecipazioni varie in altri show televisivi, trovavano a malapena il tempo di riposarsi, ma tutta quella fatica non era stata inutile.
    Akai Ito si era piazzato alla vetta di tutte le classifiche musicali già il primo giorno dalla messa in vendita; per la prima volta Kitagawa li aveva lanciati su iTunes e altre piattaforme musicali, diventando così il cd più scaricato ed entrando ufficialmente nella Classifica Mondiale degli Album più scaricati.
    La tempesta stava lentamente invadendo il mondo.

    Finito l’mc ci fu il solo di Ohno; il suo palco si accese di blu, la melodia seguiva lo stile R&B. La coreografia era come al solito bellissima e Ohno riusciva a trasmettere benissimo l’emozioni di cui parlava quella canzone: paura, frustrazione, coraggio e infine felicità. Il testo infatti, sembrava il continuo della canzone di Nino, raccontava dell’emozioni che aveva provato il ragazzo confessando i suoi sentimenti e scoprendo così di essere ricambiato.

    “Wow, i soli del Riidaa sono sempre i più belli!” esclamò Antonella tutta soddisfatta, mentre rimetteva nella borsa il binocolo che si era portata per guardare meglio il suo adorato Ohno Satoshi.
    “Parli così perché Oh-chan è il tuo ichiban” le rispose Miriam, “anche il solo di Kazu è stato bellissimo, semplice come al solito, ma bellissimo”.
    “Parlo così perché è la verità” ribatté lei e insieme a Miriam iniziarono un intensa conversazione su quale fosse il solo più bello degli Arashi fra quelli che avevano visto fino a quel momento.
    Erano così prese da quella stupida conversazione, che non si resero conto che sullo schermo centrale era apparso un countdown cinematografico.

    3...2...1

    Una lavagnetta luminosa apparve sullo schermo, due mani gettarono delicatamente un pò di sabbia, le dita di un ragazzo si muovevano leggere creando un disegno; un ragazzo e una ragazza seduti di spalle su una spiaggia a guardare l’orizzonte estendersi davanti a loro. Il disegno fu cancellato e sostituito subito da un altro e poi un altro ancora, creando una storia.

    “Volete stare un pò zitte!” le sgridò Mary, infastidita da quell'inutile chiacchiericcio, “non riesco a seguire la storia se parlate”.
    “Quale storia?” le chiese Anto confusa.
    “Quella storia” le rispose Miriam girandole il viso.

    Antonella vide sullo schermo i disegni che continuavano a susseguirsi, raccontando quella storia che lei conosceva alla perfezione. Un ultimo disegno rimase sullo schermo, due anelli con un cuore al centro; inconsapevolmente si portò una mano al petto e strinse quell’anello, che da quando aveva visto quelle foto, non portava più al dito perché le faceva male vederlo.

    Sul palco si accesero due occhi di bue che iniziarono a girare per tutto il Dome come a volersi rincorrere fino a fermarsi sul palco a destra.
    Le luci si abbassarono e partì la musica, ritmata, dolce, una tipica ballata, “la tua voce, come una melodia risuona nelle mie orecchie. Sei musica per me” iniziò a cantare Jun mentre volava per tutto il Dome legato a un imbracatura.

    “Il solito esibizionista!” esclamò Antonella, ma un sorrisino le comparve sul viso.

    Jun era bellissimo, indossava un vestito blu notte, con una giacca lunga con un disegno particolare, che partiva dalla spalla destra e si estendeva su tutta la schiena creando una lavorazione molto simile al pizzo del vestito di Antonella per la serata di gala.
    Si fermò sul suo palco, “so che ci sei, che sei qui con me, voglio sentire di nuovo le tue mani sul mio viso”, continuò a cantare mentre l’ologramma di una donna apparve di fianco a lui simulando uno schiaffo; si portò la mano sulla guancia, l’ologramma iniziò a correre e mentre cercava di bloccarla abbracciandola svanì.
    Jun ballava sulle note di quella canzone e Antonella lo guardava attentamente, era concentrata su ogni singolo passaggio. La scenografia sul palco ricreava perfettamente la saletta di quel bar in cui aveva confessato di amarla.
    La musica si sfumò “ti sto ancora aspettando” disse sedendosi in equilibrio sul quel trapezio che lo sollevò, mentre una nuvola di fumo si formò sotto di lui e una pioggia di piume bianche invase gli spalti.

    Vedere tutto quello e sentire quella canzone stupenda, fecero capire ad Antonella che per tutti quei mesi si era sbagliata; Jun non l’aveva mai dimenticata e una piccola parte di lei l’aveva sempre saputo e continuava a stringere con tutte le sue forze quel ricordo e quella piccola speranza per evitare che andasse via. Quella speranza inconsapevolmente l’aveva aiutata a colmare quel vuoto lasciato da Jun. Era la prima volta che si sentiva così, che un ragazzo la facesse sentire così. Jun senza chiedere il permesso era entrato nella sua vita e aveva trovato quella piccola fessura, quel piccolo spazio nel suo cuore, ed era entrato spingendo con tutte le sue forze, abbattendo le mura che la circondavano. Grazie a lui Antonella aveva trovato il giusto equilibrio, la giusta forma alla sua vita, si sentiva come se tutto il caos che aveva dentro fosse sparito.
    Il solo che aveva fatto scrivere apposta per lei, era la conferma che le serviva per ammettere che lui era diventato un tassello importante della sua vita. E fu felice di sapere che, per la prima volta in vita sua, si era sbagliata, Jun l’amava e quel solo ne era la prova.

    Un finto falò venne ricreato sul palco di Sho, gli Arashi erano seduti intono al fuoco, Nino e Masaki suonavano le chitarre acustiche. Jun aveva fatto esattamente quello che gli aveva consigliato Antonella; dopo alcune canzoni del nuovo cd infatti, cantarono alcune canzoni più vecchie, che non erano mai state cantate dal vivo e arrangiate in versione acustica erano meravigliose. Mentre le cantavano, alle loro spalle vennero proiettate foto di Malta e altre foto inedite.
    Quelle canzoni e quell’atmosfera che avevano creato, riportarono le ragazze indietro nel tempo, a quella spiaggetta nascosta fra gli scogli. Nella loro mente i ricordi di quella serata erano vividi come se li stessero vivendo in quel momento. Tutto, qualsiasi cosa di quel concerto ricordava Malta.

    “Ve l’avevo detto che non si erano dimenticati di noi” disse Miriam mentre tutto lo stadio s’illuminava di rosso.
    “È il turno del tuo Sho-chan” disse Anto molto più allegra dopo aver visto il solo di Jun.
    “Non è il mio Sho-chan!” esclamo lei, “non lo è più” aggiunse abbassando lo sguardo.

    Vedere Sho su quel palco le aveva fatto uno strano effetto, quel desiderio inaspettato di stringersi fra le sue braccia era scoppiato come una bomba dentro di lei, ma la consapevolezza di non poterlo fare si faceva largo prepotentemente, distruggendolo e facendole sentire una fitta nel petto, si sentiva male.
    Teneva la testa bassa non voleva guardare il suo solo, sapeva che se l’avesse fatto si sarebbe sentita ancora peggio.

    Il suono di un violino riempì il Dome, la pedana su cui era Sho iniziò a salire; era diversa rispetto alle solite pedane circolari, era a forma di stella; mentre si alzava l'immagine di una scalinata comparve sullo schermo, sostituita subito dopo da un’altra foto.
    Antonella le diede una gomitata, lei alzò la testa e la riconobbe immediatamente, il panorama della città di Malta prendeva vita su quello schermo.
    La pedana si fermò, Sho era stupendo nel suo smoking, iniziò a rappare, ma su una melodia diversa dal solito, era lenta e dolce. Alcune foto si alternavano sugli schermi, quelle foto Mary le conosceva benissimo, erano le foto di quell’album che gli aveva regalato quella sera in cui si erano promessi di non dimenticarsi mai l’uno dell’altro, per ovvi motivi però erano state modificate, i loro visi infatti erano stati oscurati con lo stesso effetto ombra che aveva usato lei per modificare quella foto che aveva ancora come sfondo al cellulare e che nonostante affermasse di aver dimenticato Sho, non riusciva a cancellare.
    La musica cambiò diventando più veloce, ma il suono del violino rimase la caratteristica principale di quel ritmo così particolare. Anche Sho si cambiò, sganciò il papillon e si sbottonò la giacca e la camicia, lasciando vedere la t-shirt dello stesso colore del cielo, infilò il cappellino e iniziò a cantare l’inciso. “Always e se lo dico credimi! Always! Sarai mia per sempre!” e mentre cantava passava il dito sotto la scritta del cappello come a sottolinearlo.
    Quelle parole e quelle immagini la fecero ritornare a cinque mesi fa, al loro incontro, alla notte del gala, al primo bacio e alla sua dichiarazione su quella panchina nella piazza dell’isola di Gozo. I battiti del suo cuore aumentarono e un brivido le percorse la schiena. Era emozionata, felice, ma allo stesso tempo spaventata. Spaventata da quei sentimenti che crescevano dentro di lei, spaventata da quella sensazione che le aveva provocato la sua canzone.
    Per mesi si era costretta a reprimere quell’amore che le aveva donato e ora su quel palco Sho le stava cantando tutta la sua gratitudine, esprimendo con quelle parole tutti i suoi sentimenti. Mary si sentiva confusa, non sapeva come godersi quel momento senza soffrire, ma proprio in quel momento Sho guardò dritto di fronte a sé e lei si sentì i suoi occhi addosso, come se l’avessero trovata fra quelle 70 mila persone. I suoi occhi le diedero il coraggio di lasciare libere quell’emozioni che le scorrevano nelle vene, di godersi a pieno quel viaggio, quel concerto e soprattutto quella canzone che Sho le aveva dedicato.

    Nino salì sul suo palco, tutto lo stadio si illuminò di giallo, iniziò a ballare sulle note di How to Fly. Era bravissimo, dal vivo rendeva molto meglio rispetto a come si vedeva in televisione. Con il dito indicò le scalette e una ballerina lo raggiunse sul palco, ballarono l’inciso su una melodia che ricordava vagamente un flamenco, ma meno ritmata. Le luci rosse sostituirono quelle gialle, Spiral era stata adattata a un sound latino americano, Sho ballava con una ragazza dal fisico formoso e dai lunghi capelli, era bellissima. Ballavano seguendo lo stile di un chachacha, ma più lento e sensuale e Sho non sembrava così rigido come le ragazze avevano sempre immaginato, non era il massimo dell’elasticità certo, ma aveva un buon movimento de bacino. Tokei Jikake no Umbrella, sostituì la canzone che stava ballando Sho, prima della parte rap. Jun illuminato dal suo colore, ballò sulle note di quella melodia che era stata modifica e arrangiata seguendo lo stile e le note più classiche di un tango.

    Antonella guardava la ballerina, le sembrava di averla già vista da qualche parte, ma non riusciva a ricordare dove. Era concentratissima, tant’è che si fissò così tanto su di lei, ignorando completamente Jun. A distrarla dal suo “identikit della ballerina avvinghiata al suo Jun” fu il cambio di musica e il gioco di luci, Sho, Nino e Jun ballarono contemporaneamente un passo a due sulle note di Te Agero, mentre lo stadio s’illuminava a sezioni dei loro colori alternandosi seguendo il ritmo dei loro movimenti. La musica si sfumò con un’altra canzone e le luci si spensero, il palco di Masaki si accese, Miriam si sporse per guardare meglio. Lo stile della musica era cambiato, passando a un genere più soft e contemporaneo; Masaki ballava con una ragazza dai capelli biondi raccolti in un alto chignon. La coreografia che aveva creato il Riidaa per lui era bellissima, ogni movimento che facevano trasmetteva una sensazione di leggerezza, sottolineato anche dal vestito che indossava quella ragazza, che svolazzava tutte le volte che lui la sollevava, sembravano circondati dal vento.

    Miriam adorava quella canzone, Kono tenohiro ni e vederlo danzare su quelle note, la rese ancora più bella. Masaki abbracciò la ragazza e alzò lo sguardo verso il palco di Ohno, che subito s’illuminò e contemporaneamente l’inciso di Carry on riempì il Dome. La coreografia era di una bellezza indescrivibile, piena di passi, che si alternavano tra sequenze più rapide e intense, a movimenti più lenti.

    “Guarda come sgambetta il mio Oh-chan” disse Anto, dando delle leggere gomitate a Miriam, ma lei non l’ascoltava e non guardava nemmeno Ohno, dopo il passo a due di Masaki, il suo sguardo si era perso nel vuoto. Nel momento in cui il suo palco si era spento l’aveva intravisto scendere mentre si massaggiava la spalla e lei sapeva benissimo il perché.
    A quella spalla si era fatto male in quell’incidente in motorino e a distanza di mesi gli faceva ancora male.

    “Che ti prende?” le chiese Mary notando la sua faccia appesa.
    “Masaki sta male” rispose triste, “ha male alla spalla, ed è per questo che è sceso dal palco”.
    “Ma no tranquilla, vedrai che ora risale” le disse cercando di rassicurarla.

    Ma contrariamente da quello che aveva detto Mary, Masaki non salì sul palco per l’ultima parte della sessione di ballo e infatti Jun, Nino e Sho lo sostituirono, ballando quella coreografia che avrebbe dovuto ballare lui insieme a Ohno, Sirius.

    Il Dome piombò nel buio totale, neanche le penlight che di solito brillavano sugli spalti erano accese, Miriam tratteneva il fiato, la sua testa si affollò di tremila domande e pensieri, e la preoccupazione per Masaki crebbe ancor di più.

    “Non è successo niente” le dissero le sue amiche cercando di tranquillizzarla, ma lei neanche le sentiva, in quel momento voleva solo andare da lui, per accertarsi con i suoi occhi che stesse realmente bene, ma non poteva farlo. Non poteva vederlo, non poteva abbracciarlo, non poteva fare niente; poteva solo avere paura e tutto quel buio e quel silenzio non facevano altro che aumentare i suoi timori.
    Tremava, era letteralmente terrorizzata.

    In sottofondo si sentì il rumore di una tempesta e i passi di qualcuno correre sotto la pioggia, un occhio di bue si accese illuminando il palco di sinistra, un amaca e qualche albero erano stati sistemati come scenografia.

    “È il giardino tropicale” sussurrò Miriam e in quel momento un senso di pace le invase il corpo, scacciando via quella paura, che fino a qualche secondo fa la stava lacerando.
    Una frase comparve sullo schermo centrale, "TU CI CREDI NEL DESTINO?"
    La voce di Masaki ruppe il silenzio, “no, non ci credo. Non c’ho mai creduto, fino ad oggi” disse mentre saliva sul palco, si sdraiò sull’amaca e partì la musica.
    Era diversa rispetto ai suoi soliti soli, la melodia era dolce, intensa, semplice. Un perfetto mix fra le due canzoni che aveva suonato Miriam quella sera di cinque mesi fa, nel giorno del suo compleanno. Anche l’abbigliamento era semplice, niente lustrini, niente colori sgargianti e niente abbinamenti strani. Masaki indossava una felpa bianca, una salopette di jeans blu scuro allacciata solo dal lato sinistro e in testa portava quel cappellino da skater che Anto e Mary riconobbero subito.

    “È il tuo cappello” le dissero contemporaneamente, ma le loro voci suonavano lontane nelle orecchie di Miriam.
    Quella melodia l’aveva completamente rapita, ascoltava attentamente le parole di quella canzone che parlava di loro. Non riusciva a staccare gli occhi da Masaki, intorno a lui gli effetti speciali ricreavano un cielo trapunto di stelle e sullo schermo comparve una spiaggia di notte, "E IN FINE MI PIACI TU", diceva quella scritta che si espandeva su tutti e tre gli schermi. A metà canzone gli effetti cambiarono, il palco si colorò d’arancio sfumato con il giallo, sembrava che tutto il Dome si stesse illuminando con i raggi del sole; la scritta cambiò, "SONO DAVVERO GRATO AL DESTINO PER AVERCI FATTO INCONTRARE. NON VOGLIO SEPARARMI DA TE".
    La musica man mano che andava avanti si faceva sempre più alta, la voce di Masaki arrivò a toccare note che finora non aveva mai raggiunto, facendola sembrare più graffiata, più intensa.
    Il cuore di Miriam batteva velocissimo, le brillavano gli occhi, Masaki in quei 4.15 minuti era riuscito a racchiudere tutte l’emozioni che Miriam gli aveva fatto provare. Il ritornello risuonava nella sua testa, “voglio che tu sappia che i miei sentimenti non cambieranno mai. Queste parole sono reali, sono la mia anima. Perché farei sanguinare il mio cuore per dimostrarti che non lascerò mai andare tutto ciò”.
    Sugli schermi le parole di Miriam si alternavano a ritmo di musica; Masaki non aveva mai dimenticate quelle parole che l’avevano incoraggiato nei momenti di difficoltà, dandogli la forza di continuare ad andare avanti, di superare quei momenti in cui sentiva la sua mancanza così forte da non riuscire a mangiare, a dormire, da non riuscire a fare niente.
    La musica finì e il Dome s’illuminò con i colori del tramonto, un prato comparve sullo schermo; una frase recitò Masaki prima che le luci si spegnessero facendo ripiombare lo stadio nel buio e nel silenzio totale.
    Miriam non riuscì a dire niente, quello era il solo più bello che gli avesse mai sentito cantare e ora aveva capito il motivo di quel titolo che sembrava non avere alcun collegamento con il testo della canzone, 空 (sora) cielo.

    Perché per loro il cielo aveva avuto sempre un significato particolare e perché era esattamente come aveva detto lui prima di scendere dal palco “anche se saremo distanti continueremo a guardare sempre lo stesso cielo, quando sei triste, quando pensi che tutto stia andando per il verso sbagliato, alza lo sguardo verso il cielo e ricorda che l’abbiamo visto sfumarsi con i colori del tramonto, che l’abbiamo visto riempirsi di stelle e schiarirsi col sorgere del sole. Ricorda che anch’io guarderò il tuo stesso cielo e non sarai mai solo. Io sarò sempre al tuo fianco, ad influenzare la tua vita, perché ormai siamo diventati un unico sistema”.

    In quei mesi entrambi avevano costantemente guardato quel cielo, che li faceva sentire più vicini, accorciando quella distanza che li separava e in esso avevano trovato la forza di andare avanti, perché quel cielo li faceva sentire a casa; e casa, era esattamente il luogo in cui si trovava l’altro.

    “Mary prendi i fazzoletti” le disse Antonella, “Miriam ha aperto i rubinetti”.
    “Non sono io” rispose lei offesa, “non piango sempre”.
    Tutte e tre si voltarono verso le ragazze che erano sedute di fianco a loro, quella ragazzina piangeva come una fontana, era disperata, “Aiba-chan si è innamorato” diceva fra le lacrime, mentre le sue amiche cercavano di farla smettere.
    Miriam la guardò, quella ragazzina le faceva una tenerezza assurda, “lo penso anch’io” le disse senza riflettere, “e noi fan non possiamo far altro che essere contente per lui. Finalmente ha trovato la persona che si prenderà cura di lui in qualsiasi momento, anche quando sarà vecchio e senza denti; quando si addormenterà nel bel mezzo dei suoi discorsi e quando la farà cadere dal letto, perché inconsapevolmente durante la notte si muove così tanto da prendersi tutto lo spazio. Perché lei lo amerà per sempre, accettando i suoi pregi e i suoi difetti” e in italiano aggiunse “perché io lo amerò per sempre”.
    Contemporaneamente Anto e Mary la guardarono e sorrisero.
    La ragazzina voleva risponderle, dirle qualcosa, ma le parole si bloccarono prima di raggiungere la bocca. In un certo senso le cose che le aveva detto Miriam sembravano allusive, come se lei parlasse con consapevolezza. Come se la ragazza della canzone di Masaki fosse lei e la cosa le diede fastidio, ma quando la guardò Miriam le sorrideva e quel sorriso era caloroso e lei non poté far altro che ricambiarlo, perché quel sorriso che era identico a quello del suo ichiban.

    Il concerto durò per due ore e mezza e per tutto il tempo gli Arashi avevano cantato e ballato con la stessa energia e lo stesso entusiasmo, che avevano all’inizio. Cinque stelle si alzarono contemporaneamente, era arrivato il momento dei saluti finali. A turno salutarono e ringraziarono tutte le fan per il supporto che gli avevano dato anche per quell’anno, per aver comprato il cd e per essere andate ai loro concerti. L’ultima canzone era bellissima, come d’altronde tutto l’album; quell’ultima canzone era un incoraggiamento a inseguire sempre i propri sogni, affrontando le proprie paure e superando tutti quegli ostacoli che s’incontrano sul proprio cammino senza mai perdere la speranza, affrontando qualsiasi difficoltà a testa alta e senza mai perdere la fiducia nelle proprie capacità.

    Perché dopo ogni tempesta arriva sempre il sereno e quell’arcobaleno che si forma quando il sole attraversa le goccioline d’acqua rimaste nell’atmosfera, ti darà il coraggio di vivere la tua vita nel migliori dei modi.

    Le pedane si abbassarono, gli Arashi ringraziarono per l’ultima volta e scesero dal palco. Il Dome si riempì delle urla delle fan, “ARASHI! ARASHI!”.
    Quattro punti diversi degli spalti s’illuminarono, Nino, Masaki, Sho e Ohno erano inaspettatamente saliti al secondo piano. Le fan erano letteralmente in delirio, urlavano così tanto da coprire le loro voci; era la prima volta che gli Arashi si avvicinavano così tanto al pubblico.

    “ARE YOU READY TOKYO!” urlò Jun dal mini palco; le fan risposero con un altro urlo.
    Si sistemò le cuffie che gli aveva regalato Antonella e iniziò a mixare. L’intero Dome si trasformò in una discoteca, illuminata da luci al neon e psicodeliche facendo diventare tutto fluorescente. Esattamente come per la gara di dj, Jun sul palco era sparito, le uniche parti visibili erano le mani dipinte di giallo, la camicia bianca, il foulard arancione sistemato a mo di cravatta e quel disegno stilizzato sulle cuffie, facendolo risultare più realistico. All’inizio mixò alcune delle canzoni più vecchie e famose, come Luckyman, Kitto Daijoubu, Carnival night ed Energy Song, poi passò a quelle più recenti. Mentre mixava, gli altri quattro cantavano correndo da una parte all’altra e nuove urla si scatenarono al loro passaggio. Jun mixò l’inciso di Rise and Shine con quello di Road to Glory e contemporaneamente quattro imbracature vennero calate sugli spalti, i ragazzi l’indossarono e mentre Jun unì l’ultima canzone, Fly, si sollevarono in volo, raggiungendo quella sezione degli spalti che normalmente non avrebbero potuto raggiungere.

    Antonella, Mary e Miriam li guadarono a bocca aperta; sembravano angeli, erano vestiti tutti di bianco e volavano intorno allo stadio, salutando tutte le fan, come a volerle ringraziare una per una. Prima che finisse la canzone raggiunsero i loro palchi, ringraziarono di nuovo e sparirono.

    “ARASHI! ARASHI!” urlarono di nuovo le fan dando il via al secondo encore.

    Gli Arashi salirono di nuovo e iniziarono a cantare, ma più che a cantare pensavano a scherzare e a farsi dispetti a vicenda. Tutti e cinque si erano portati sul palco una pistola per il paint ball e rincorrendosi iniziarono a spararsi macchie di colore addosso.

    “Minna-san è arrivato il momento della Fight Song!” esclamò Jun, mentre ognuno raggiungeva il proprio palco.
    “Questa volta l’abbiamo fatta un pò diversa” proseguì Sho. La sua voce era strana, stava andando in panico.
    “Esatto” continuò Ohno, “questa volta sarete voi a cantarla”.
    La musica riempì il Dome, sullo schermo partì un video; Anto e Mary si voltarono contemporaneamente verso Miriam, “Tu lo sapevi, vero? Perché non ce l’hai detto?” le chiesero in coro.
    “Voi mi avete detto di non parlare più di loro, ed è quello che ho fatto” le rispose lei con tono ovvio.
    “Ma questo è diverso” le disse Antonella, “dovevi dircelo”.

    Come voleva la tradizione, durante la Fight Song, c’era una penitenza da fare, ma questa volta c’era anche qualcosa di diverso. Esattamente come aveva detto Ohno a cantare non furono gli Arashi, ma i fan e non solo quelli giapponesi, ma anche quelli italiani, francesi, russi, inglesi, australiani, americani. C’erano fan da qualsiasi parte del mondo, e quel video che stavano proiettando sullo schermo era l’insieme di tutte le foto dei ragazzi e delle ragazze che avevano partecipato, mandando la loro registrazione vocale, che unita insieme a tutte le altre avevano creato quella bellissima canzone che risuonava all’interno dello stadio, caratterizzata da tutte quelle voci così diverse l’una dall’altra.
    E se l’ascoltavi attentamente riuscivi quasi a sentire la diversità di tutti quegli accenti stranieri.

    Durante il ritornello alcuni tecnici aiutarono gli Arashi a indossare imbracature e corde elastiche e cinque trapezi vennero calati dall’alto. Le ragazze stavano letteralmente morendo dalle risate, la faccia di Sho era uno spettacolo.
    “Jun se scopro chi ti ha fatto venire quest’idea, la uccido” gli disse nel panico, mentre quei trapezi continuavano a salire sempre più in alto. Era terrorizzato, aveva sempre avuto paura dell’altezza, per tutti quegli anni si era fatto coraggio assecondando tutte le idee folli di Jun, ma questa gli sembrava un tantino esagerata. “Oddio! Oddio” continuava a ripetere.
    Arrivarono in cima alla fine della seconda strofa e senza pensarci un minuto di troppo, Jun, Nino, Ohno e Masaki si lanciarono nel vuoto, rimbalzando a testa in giù. Sho chiuse gli occhi, respirò a pieni polmoni e si lanciò. L’adrenalina gli attraversò il corpo e mentre molleggiava a mezz’aria trovò il coraggio di aprire gli occhi, in quel momento le luci illuminarono i posti dov’erano sedute le ragazze, Sho guardò Mary, questa volta i suoi occhi l’avevano trovata per davvero.

    Anche il secondo encore terminò, le luci si spensero per un attimo per poi riaccendersi subito dopo. Le ragazze si guardarono intorno, non sapevano cosa fare, Ryuu gli aveva detto di rimanere lì, ma avrebbero dato ancora di più nell’occhio se sarebbero rimaste ai loro posti mentre tutti gli altri uscivano. Decisero di far finta di prepararsi e proprio mentre si stavano avvolgendo nelle loro sciarpe, le luci si abbassarono. Un occhio di bue illuminò quella parte di palco che fino a quel momento era rimasta al buio e che tutti credevano fosse vuota. Una pedana rettangolare collegata a dei cavi si sollevò. Tutti ritornarono nel giro di pochi minuti ai loro posti, erano sorpresi. Qualche informazione sui concerti era trapelata e tutti quanti sapevano che il concerto sarebbe finito dopo il secondo encore, ma quella sera non fu così, gli Arashi avevano due importanti annunci da fare.

    “Minna-san!” li chiamò Jun, attirando la loro attenzione, “scusate se vi tratteniamo un pò di più, ma questa sera abbiamo deciso di farvi ascoltare in anteprima, il nostro nuovo singolo che uscirà ufficialmente il 14 febbraio. Ascoltate per favore Infinity and Beyond”.
    Il cuore delle ragazze saltò un battito sentendo quel nome. Inevitabilmente a tutte e tre si formò un nodo in gola appena la musica riempì lo stadio. Quella melodia sembrava una ninna nanna. Era intensa, dolce, ma al tempo stesso d’impatto.

    Tutti nascono con un filo rosso legato al dito che lo unisce alla sua anima gemella.
    Pensavo fosse solo una leggenda fin quando non ho incontrato te.
    È bastato un sguardo per innamorarmi.
    Sei entrata nella mia vita come un uragano e l’hai stravolta, l’hai presa nelle tue mani e l’hai resa migliore.
    Insieme abbiamo riso, pianto.
    Con te ho scoperto cosa significa amare ed essere amato.

    Dimmi che né il tempo né la distanza potranno mai dividerci.
    Dimmi che continuerai ad influenzare la mia vita in ogni suo attimo.
    Dimmi che sarai sempre al mio fianco, che continuerai a tenere la mia mano e non la lascerai mai.
    Il nostro amore volerà alto nel cielo, OLTRE L’INFINITO.

    Siamo due pezzi dello stesso puzzle che combaciano alla perfezione.
    Sei riuscita a guardare oltre le apparenze, oltre quella maschera che ho dovuto indossare.
    Sei riuscita a buttar giù le mie barriere.
    Con te posso essere me stesso.
    Sei parte della mia vita, sei parte di quel tutto che caratterizza le mie giornate.
    Sei il centro del mio mondo, la gravità che mi tiene attaccato alla terra.

    Dimmi che né il tempo né la distanza potranno mai dividerci.
    Dimmi che continuerai ad influenzare la mia vita in ogni suo attimo.
    Dimmi che sarai sempre al mio fianco, che continuerai a tenere la mia mano e non la lascerai mai.
    Il nostro amore volerà alto nel cielo, OLTRE L’INFINITO.

    Avrei voluto che quel momento non fosse mai finito, che il tempo si fosse fermato a quel giorno quando tutto è iniziato.
    In quell’ascensore dove le nostre vite si sono incrociate.
    Oltre quella porta dove il mio sguardo si è perso nell’infinito dei tuoi occhi.
    In quel luogo dove ho scoperto la tua tristezza, il tuo dolore e l’ho fatto mio.

    Ho giurato di proteggerti e di renderti felice, perché sei speciale.
    Perché con te ho scoperto la bellezza nascosta dietro a un piccolo gesto.
    Perché sei capace di rendere le cose più insignificanti speciali.
    Perché sai capire il motivo dietro il mio silenzio, sai aiutarmi nei momenti di difficoltà e sai farmi ridere in quelli tristi.
    Perché con te tutto ha preso senso.

    Dimmi che né il tempo né la distanza potranno mai dividerci.
    Dimmi che continuerai ad influenzare la mia vita in ogni suo attimo.
    Dimmi che sarai sempre al mio fianco, che continuerai a tenere la mia mano e non la lascerai mai.
    Il nostro amore volerà alto nel cielo, OLTRE L’INFINITO.
    Perché siamo legati da quel sottile filo rosso.
    Perché siamo sognatori che renderanno possibile l’impossibile.



    Lacrime calde scorrevano sulle guance delle ragazze, le parole di quella canzone erano bellissime. La cantarono mentre quel palco sorretto dai cavi li faceva girare per tutto il Dome, per poi ritornare esattamente al centro nel momento in cui la canzone finì.

    “Minna!” esclamò Sho attirando l’attenzione di tutti.
    “Abbiamo un altro importante annuncio da fare” disse Masaki.
    “E questa volta sarà il Riidaa a farlo” proseguì Nino.
    “GANBATE RIIDAA” intervennero gli altri tre per prenderlo in giro.
    “Si, ehm” iniziò lui in imbarazzo, non era mai stato bravo a parlare, e i suoi amici lo sapevano benissimo, ma nonostante questo lo costringevano sempre a fare gli annunci più importanti. “Sedici anni fa Johnny-san ha fatto un salto nel vuoto, formando questo gruppo di ragazzini chiamato Arashi” disse con un leggero velo d’imbarazzo sul viso, mentre la melodia di 5x10 riempì il Dome. “Nessuno di noi cinque sapeva esattamente cosa aspettarsi da quella conferenza stampa e nessuno ci aveva detto che ci saremmo ritrovati catapultati in un mondo nuovo dove vige la legge del più forte. Certo il Jimusho ci ha insegnato come muoverci in quest’ambiente, come comportarci e come rispondere, ma la teoria è molto differente dalla pratica. Per molto tempo non sapevamo neanche noi cosa stessimo facendo, ma questo non ci ha impedito di svolgere il nostro lavoro nel migliore dei modi, anche se in passato abbiamo commesso degli errori, prendendo alcune situazioni alla leggera, ma eravamo giovani e quando si è giovani, le cose si fanno senza riflettere”.

    Tutto il pubblico l’ascoltava in silenzio, non capitava spesso di sentire il Riidaa parlare così tanto.
    Ohno fece una piccola pausa per bere un pò d’acqua e riprendere fiato, l’ansia di fare quel discorso gli aveva reso la gola secca.
    “Insieme siamo cresciuti sostenendoci l’uno con l’altro e condividendo gli stessi sogni” continuò riprendendo il discorso da dove l’aveva lasciato. “Nel 2007 abbiamo fatto il nostro primo tour in Asia e ci siamo esibiti per la prima volta nei cinque Dome più importanti del Paese. Nel 2008 siamo riusciti a tenere il nostro primo concerto al Kokuritsu, diventando così i primi ad esibirsi nello Stadio Olimpico per sei anni di fila. Lentamente siamo riusciti a far diventare il nostro sogno realtà, mantenendo fede a quella promessa che ci eravamo fatti tanto tempo fa. Ma tutto questo è stato possibile soprattutto grazie al sostegno di tutti voi e alla fiducia che avete riposto nei nostri confronti. Oggi stando in piedi su questo palco, di fronte a voi, posso affermare in tutta onestà che siamo veramente onorati ad avere delle fan come voi. Grazie al vostro supporto Akai Ito è entrato ufficialmente nelle classifiche mondiali, con più di 900.000 copie vendute, solo nella prima settimana. Grazie a voi siamo riusciti a superare i confini del Giappone e a far arrivare la nostra musica anche nel resto del mondo. I nostri cd, i nostri concerti sono una forma di ringraziamento nei vostri confronti, nei confronti di Johnny-san che ci ha unito, nei confronti della nostra terra che ci ha visto nascere e crescere, che ci ha formato, insegnandoci le regole fondamentali per vivere in una società civile, che si basa sul rispetto reciproco e sulla gratitudine nei confronti del prossimo”.
    Il discorso di Ohno fu interrotto da un forte e lunghissimo applauso.
    Lui li ringraziò facendo un leggero inchino con la testa e riprese, “il video che avete visto durante Fight Song, non è stato un video fatto a caso. Quel video e quella canzone cantata da tutti i nostri fan sono un ringraziamento che vogliamo fare noi a tutti coloro che per sedici anni ci hanno supportato in silenzio, seguendoci e sostenendoci dall’altra parte del mondo. Ed è per questo, che è stato deciso, che nel luglio del 2016 intraprenderemo il nostro primo tour mondiale di otto tappe, arrivando a toccare le città più importanti. Passeremo da Sydney, New York, Mosca, Berlino, Londra, Parigi, Barcellona e Torino. Per ringraziarli al meglio, per averci continuato a seguire nonostante la distanza”.

    Le ragazze non riuscivano a credere alle loro orecchie; il loro desiderio si era avverato, finalmente gli Arashi si sarebbero esibiti in Italia, finalmente tutto il mondo li avrebbe conosciuti facendosi travolgere dalla tempesta arashica.

    Le fan giapponesi però non sembravano essere così entusiaste, le loro facce erano basite. Per loro era stato sempre un problema condividere i propri Idol con il resto del mondo, soprattutto gli Arashi, ma a far cambiare l’espressione del loro viso furono le ultime parole di Ohno.

    “Affrontando quest’avventura avremmo bisogno ancora di più del vostro supporto, perché voi siete la nostra famiglia, siete il nostro primo amore. E a voi dedichiamo questa canzone”.

    Gli Arashi cantarono a cappella l’intro e il ritornello di Kansha kangeki ame Arashi, mentre la pedana cominciava a scendere e toccando terra le luci si spensero, questa volta il concerto era finito veramente.
    Le fan uscirono dallo stadio con le lacrime agli occhi, ma quelle erano lacrime di felicità, perché i loro beniamini erano riusciti a realizzare il loro sogno, ovvero quello di essere conosciti a livello internazionale e loro avrebbero fatto di tutto per sostenerli nel migliore dei modi, cercando di fargli arrivare il loro calore anche da lontano.

    “Questo concerto ha superato tutte le mie aspettative” disse Antonella, mentre camminavano nei corridoi del backstage.
    Dopo che tutte le fan se n’erano andate, il signor Makoto era andate a prenderle per portarle finalmente dagli Arashi.
    “Anche le mie” le rispose Mary, “Sho è stato meraviglioso, nulla da togliere a gli altri, ma Sho rimane il migliore”.
    “Si è stato bravo anche lui” ribatté Antonella, “ma il migliore rimane Jun, quel palco era spettacolare, per non parlare degli effetti speciali e delle luci”.

    Miriam le guardò e sorrise, fino a tre ore fa non volevano neanche vederli e ora discutevano animatamente su chi dei due fosse il migliore, e quella discussione non aveva alcun senso, non sarebbero mai riuscite a trovare un punto d’incontro.

    “Aspettateli qua” disse aprendo la porta di una stanza.
    Le ragazze entrarono e scoppiarono a ridere, quella stanza era il loro camerino, e loro lo capirono immediatamente dal disordine che governava in quella camera. Li aspettarono per circa venti minuti, tutte e tre si stavano facendo prendere dall’ansia, non sapevano come comportarsi, non sapevano cosa dirgli, non sapevano come muoversi, non sapevano niente. Si sentivano impedite, il loro cervello era andato in stand-by. A resettarlo fu il suono della
    loro risata farsi sempre più vicino.
    I ragazzi entrarono nel camerino, Sho si stava sfilando quella maglietta gialla con quell’enorme smile, che aveva indossato per l’ultima canzone, ma appena vide Mary si bloccò.

    “Scusa” gli disse buttandosi fra le sue braccia, “perdonami per non averti creduto, scusami. Sono stata una stupida a non fidarmi di te, grazie per il solo, per l’ultima canzone, per tutto”.
    Mary gli disse quelle parole tutte d’un fiato. Sho la strinse forte, “mi sei mancata” fu l’unica cosa che riuscì a dirle, perché nella sua gola si era formato un enorme e gigantesco nodo.
    “La storia ricomincia” disse Nino sarcastico buttandosi sul divano dopo aver salutato Antonella prima che Jun l’afferrasse dal braccio per stringerla forte fra le sue braccia, impedendo a tutti gli altri di salutarla.
    “Cos’è questa storia che non volevi vedermi?” le chiese senza mai staccarsi da lei, “Ryuu-chan mi ha detto tutto”.
    “È per colpa di quelle foto” gli confessò, “abbiamo visto le foto e quegli articoli che vi riguardavano, e io… mi dispiace”.
    “Baka!” esclamò Jun sorridendo, “non potrei mai tradirti”.
    “Lo so, ma l’agenzia non ha smentito niente e questa cosa mi ha fatto andare in confusione”.
    “Non potevano fare smentite” le disse Ohno avvicinandosi, aveva sentito per sbaglio la loro conversazione, “Jun me la fai salutare?”.
    “Se proprio devo” gli rispose lui sarcastico.
    Ohno l’abbraccio, “mi sei mancata” le disse scompigliandole i capelli.
    “Anche tu. In che senso non potevano smentire?” gli chiese incuriosita da quella risposta.
    “Quelle ragazze erano le nostre ballerine” le spiegò, “le foto che hanno fatto ci ritraevano mentre uscivamo dalla sala prove e per evitare che trapelasse qualcosa sul concerto hanno deciso di lasciar perdere altrimenti avrebbero dovuto spiegare troppe cose”.

    Antonella ascoltando quella spiegazione si sentì una perfetta stupida. Per tutti quei mesi era stata male inutilmente pur di non accettare quella verità, che lei rifiutava a tutti i costi.

    “Miri-chan sono tutto sudato!” esclamò Nino, ma a Miriam non importava che lui fosse sudato, bagnato e puzzolente; gli era mancato così tanto che si era stretta a lui in un abbraccio stritola ossa. “Okay, mi sei mancata anche tu” continuava a dirle cercando di liberarsi dalla sua morsa, inutilmente. Fortunatamente per Nino l’arrivo di Masaki fece allentare la presa a Miriam e lui si liberò da quella stretta.

    Entrambi si guardavano da lontano, le loro gambe si mossero prima che il cervello potesse inviargli gli stimoli giusti, si strinsero l’uno nelle braccia dell’altro, colmando quel vuoto che si era formato dentro di loro, dall’ultimo giorno a Malta.
    “Mi dispiace per non aver mai risposto ai tuoi messaggi” le disse.
    La sua voce rimbombò nelle orecchie di Miriam, “non importa” gli rispose stringendosi sempre di più nel suo abbraccio.
    Per lei la cosa più importante era stare insieme a lui e non le importava niente di quei messaggi a cui non aveva mai risposto.

    Tutti e otto uscirono dal backstage, gli Arashi avevano travestito le ragazze da membri dello staff, erano irriconoscibili. Attraversarono il parcheggio indisturbati, nessuno le riconobbe. Salirono sul pullmino che li portò in hotel nonostante fosse vicinissimo. Quella sera passarono la notte tutti insieme nella stessa camera, grazie a quel travestimento neanche in hotel le riconobbero. Per tutta la sera parlarono di quel concerto, dei soli che gli avevano dedicato e di quella bellissima canzone che avevano cantato alla fine.
    Con quella canzone le avevano scioccate, lasciandole senza parole. Mentre la cantavano, riuscivano solo a piangere per la felicità. Non avrebbero mai immaginato che la loro vita avesse preso questa piega. Il cammino che avevano deciso di intraprendere non era certo dei più semplici, era strapieno di insidie e ostacoli che li attendevano minacciosi dietro l’angolo; ma sapere di avere al proprio fianco la persona che amavano e che le avrebbe sostenute in qualsiasi momento, fece diventare quel terreno meno insidioso.
    L’amore che provavano l’uno per l’altro era troppo forte per fermarsi di fronte alla prima difficoltà, anche se questa si chiamava Johnny Kitagawa.
    Dopo la conferenza stampa che aveva annunciato ufficialmente il loro tour mondiale, i ragazzi le presentarono all’interno dell’agenzia. Tutti erano curiosi di conoscere le ragazze che erano riuscite a rubare il cuore di tre membri degli Arashi. fra i membri del Jimusho infatti, erano partite le prime scommesse su chi fossero queste fatidiche ragazze che avevano conosciuto in vacanza. L’ipotesi più gettonata era quella che sosteneva che loro fossero attrici straniere, ma quando le portarono in agenzia rimasero tutti sorpresi nello scoprire che loro erano delle tre semplice ragazze, che l’unica cosa che forse poteva essere considerata speciale era il fatto che tutte e tre erano fan degli Arashi. Furono accettate da tutti quelli del Jimusho senza problemi e questa cosa li convinse a presentarle anche al presidente. All’inizio non fu per niente facile, non riusciva proprio ad accettarle, ma alla fine dovette ricredersi perché proprio come successe a Ohno quel pomeriggio del 15 giugno, quelle strane e normali ragazze avevano iniziato a fargli simpatia.


    Edited by green <3 - 6/1/2020, 15:05
     
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    Tre anni dopo
    “MISAKI-CHAN! SBRIGATI, ALTRIMENTI FAREMO TARDI” urlò Masaki per le scale.
    “Papà, posso portare Danny?” gli chiese con quella sua vocina rauca.
    “Va bene, ma scendi ora. I nonni stanno per arrivare”.
    Misaki prese il suo Danny e lentamente, facendo attenzione a non cadere, scese le scale.
    “Ecco la mia principessa!” esclamò appena la vide.
    Lei lasciò il peluche e si buttò fra le sue braccia, e prendendola al volo, la strinse forte a se.
    “E per me niente abbracci?” chiese Miriam alle sue spalle.
    Masaki le si avvicinò, l’abbracciò e le diede prima un bacio sulle tempie e poi su quel pancione, che negli ultimi mesi era cresciuto a vista d’occhio.

    “Credo sia meglio andare” le disse, “il generale si arrabbierà se lo facciamo aspettare, e sinceramente farlo arrabbiare è l’ultima cosa che voglio fare”.
    “Baka” gli rispose ridendo.
    “Papà, giù, giù!” intervenne Misaki cercando di attirare la sua attenzione, lui la fece scendere e lei si avvicinò alle scale per prendere il suo inseparabile peluche; barcollando raggiunse i suoi genitori, che l’aspettavano vicino la porta. Anche lei come Miriam adorava i peluche, ne aveva tantissimi, la maggior parte ereditati da sua madre; ma il suo preferito era quel minions gigante che in braccio a lei sembrava ancor più grande.

    Masaki guidava in silenzio verso l’aeroporto di Narita, pensava a com’era cambiata la sua vita negli ultimi anni. Si era sposato con quella pazza scatenata che gli aveva rubato il cuore, che aveva dato alla sua vita nuovi colori, con i quali aveva creato quelle sfumature che l’avevano resa perfetta. Insieme ne avevano passate tante, forse anche troppe, ma nessuno dei due si pentiva di quell’amore a cui erano stati destinati.

    Quella sicuramente non era la vita facile e normale che Miriam aveva sempre sognato, perché la loro era tutt’altro che una vita facile e normale. Masaki era sempre occupato, gli impegni con gli Arashi lo costringevano a passare tutta la giornata fuori casa e la loro agenda si era fatta più fitta d’impegni, soprattutto dopo l’嵐 in The World, quel tour mondiale che li aveva portati sul tetto del Mondo facendoli diventare di fatto il primo gruppo Idol conosciuto a livello internazionale, aprendo così la strada ai loro kohai. Ma nonostante questo a lei piaceva la sua vita; aveva sposato l’uomo che amava, che desiderava più di qualsiasi altra cosa e le bastava solo questo per essere felice. A rendere la loro vita ancora più complicata era stato l’arrivo inaspettato di quella piccola peste seduta nel seggiolino dietro di loro. Misaki era la copia precisa di suo padre, aveva preso tutto da lui; non solo le somigliava di viso, ma aveva preso anche il suo carattere solare e sempre allegro e quel tono di voce leggermente graffiato; persino la sua risata era uguale. Quella piccola pulce stravedeva per il padre, non faceva niente senza di lui, ogni sera aspettava pazientemente che lui tornasse per raccontarle quella storia che ormai conosceva a memoria, ma di cui non era mai riuscita ad ascoltare la fine, perché Masaki si bloccava sempre allo stesso punto, “zio Kazu e zio Satoshi ci hanno portato a Marsily” diceva prima di crollare addormentato fra quelle braccine sottili che lo stringevano. Miriam e Masaki certamente non rispecchiavano i canoni del perfetto genitore e la loro sbadataggine non li aiutava per niente, ma ce la mettevano tutta, impegnandosi sempre di più e migliorando giorno dopo giorno. Anche il cambio pannolino, che all'inizio aveva creato un pò di problemi, ora non era più così tragico.
    Nei primi mesi infatti si riduceva tutto a quella famosa frase che faceva saltare i nervi a tutti e due “tocca a te, prima l'ho cambiata io” e ogni volta che uno dei due la diceva finivano sempre col discutere, e alla fine incapaci di mettersi d’accordo se la giocavano a jankenpoi; tutte le loro decisioni ormai le prendevano così.

    “Masaki hai dimenticato di nuovo gli occhiali e il cappello” gli disse distogliendolo dai suoi pensieri.
    “Oh, ehm… dietro dovrebbe esserci quello che mi hanno regalato Mary e Sho per il compleanno” le rispose mentre parcheggiava. Appena spense la macchina, Miriam uscì per prendere quel cappellino grigio che Masaki aveva lasciato ancora nella busta e con l’etichetta attaccata.

    “Potevo prenderlo io” le disse mentre risaliva in macchina.
    “Così avresti scatenato l’inferno nel parcheggio dell’aeroporto”.
    “Non posso farci niente se sono l’Idol più famoso del Giappone” le rispose compiaciuto.
    “Beh mi dispiace per la popolazione giapponese, ma ora sei il mio Idol” gli disse infilandogli il cappello in testa, “anzi, il nostro” aggiunse dopo avergli preso la mano e poggiata sul pancione.
    “Sta scalciando!” esclamò euforico.
    “Non sta un attimo fermo, avrà preso dal padre?” gli chiese, ma Masaki non rispose, era completamente rapito da quello strano movimento che percepiva sotto la sua mano. Poche volte era riuscito a sentirlo, ma ogni volta gli faceva sempre lo stesso effetto.
    “Dai andiamo, non vuoi che il generale si arrabbi, vero?!”
    “Miriam non scherzare, tuo padre mi terrorizza”.
    “Gli hai portato via la sua unica e adorata figlia”.
    “Beh, non potevo continuare a vivere senza la suddetta figlia”.
    “La figlia è molto felice per questo” gli disse dopo avergli dato un bacio, “andiamo ora”.

    Entrarono nell’aeroporto, era pieno di gente, Masaki camminava con la testa bassa cercando di non farsi riconoscere.
    “Dobbiamo andare all’uscita 21” disse voltandosi verso di lui, “Masaki, l’ansia di rivedere il generale ti ha mandato il cervello in panne, che stai facendo?!” gli chiese notando che cercava di nascondersi dietro Misaki.
    “Sh~! Non è il momento di scherzare Miriam. Credo che quelle ragazzine mi abbiano riconosciuto, ci stanno seguendo da quando siamo entrati”.
    “Okay, sta calmo e cammina come se niente fosse, se fai cosi è peggio”.

    Fortunatamente riuscirono a raggiungere l’uscita 21, dove avveniva lo sbarco degli aerei provenienti dall'Italia, senza creare alcun problema nell'aeroporto.

    “È in ritardo” continuava a brontolare Marcello, mentre guardava un cartellone pubblicitario che ritraeva gli Arashi e in particolare guardava uno di loro con sguardo truce.
    “Avranno avuto dei problemi, lo sai te l’abbiamo spiegato un sacco di volte. Masaki deve fare attenzione a non farsi riconoscere” gli ripeté Pina per l’ennesima volta, “qui le fan sono più accanite, lo sai quanto è stato difficile per tutte e tre farsi accettare dalle loro fan”.
    “Si, ma tutto questo non sarebbe mai successo se Miriam avesse sposato una persona normale e italiana” ribatté lui, ma fu interrotto da una vocina alle sue spalle, “Ojii-chan!”.
    Masaki la mise giù e lei corse subito fra le braccia di suo nonno, “sei cresciuta” le disse stringendola; nonostante Marcello non fosse mai riuscito ad accettare del tutto Masaki, adorava quella piccola pulce.
    “Miriam, Masaki mi siete mancati!” esclamò sua madre abbracciandoli.
    “Anche lei, signora Russo” le rispose Masaki ricambiando l’abbraccio.
    “Masaki quante volte devo dirti di non chiamarmi signora” gli disse con tono severo “sei sciupato” aggiunse dopo averlo squadrato dalla testa ai piedi.
    “Oh ehm… fra le prove del concerto, la registrazione del nuovo dorama e tutto il resto, ho poco tempo per mangiare” ammise in imbarazzo.
    “Vedo che le cose sono rimaste sempre le stesse” s’intromise Marcello, “continui ancora con quelle cose da ragazzini” lo rimproverò come sempre. “Miriam e Misaki hanno diritto ad avere una vita felice con un marito e un padre presente” gli ripeté per la millesima volta.

    Masaki abbassò subito lo sguardo, non era mai riuscito a tenere testa a suo suocero, a sostenere il suo sguardo e a rispondergli per le rime.

    “Papà ti prego non ricominciare” intervenne Miriam mentre stringeva la mano di Masaki cercando di rassicurarlo e tranquillizzarlo; sapeva benissimo l’effetto che gli facevano quelle parole. “A noi piace la nostra vita così com’è”.
    “Come può piacerti questa vita Miriam, sii realista per una volta, non potete neanche uscire un attimo che una schiera di ragazzine urlanti vi corre dietro” disse indicando quel gruppetto di ragazzine alle loro spalle, che si era fatto sempre più folto.
    Masaki le guardò con la coda dell’occhio, con tanti giorni, proprio in quel giorno dovevano decidere di seguirlo, “scusi” disse sempre più mortificato.
    “Masaki, non devi scusarti, non hai fatto niente di male” lo rassicurò Pina, “e tu vedi di darti una controllata” aggiunse voltandosi verso suo marito, “Miriam ha fatto la sua scelta e noi non possiamo far altro che sostenerla ogni giorno come abbiamo fatto per 28 anni”.
    Marcello non rispose, prese la valigia e si avvio verso l’uscita insieme a Misaki.
    “Masaki io sono felice” gli disse Miriam rispondendo a quella domanda silenziosa, che si chiedeva ogni volta che suo suocero lo rimproverava per il suo lavoro.

    Lui le sorrise, Miriam riusciva sempre a capire il suo stato d’animo e anche con una semplice parola era in grado di tirargli su il morale.
    Nonostante le rassicurazioni di Miriam però quella sensazione d’ansia e timore nei confronti di suo suocero non si era placata; per tutto il tragitto da Narita a Chiba infatti, Marcello non gli aveva staccato gli occhi di dosso e quel suo sguardo sembrava che lo stesse perforando; fra quei due non correva buon sangue.
    Il Re degli ottusi, come lo definiva sua figlia, a fatica era riuscito ad accettarlo quando Miriam gliel’aveva presentato. Dopo i concerti agli Arashi veniva concessa una settimana di ferie per riprendersi dalle fatiche del tour e del countdown di fine anno, e Miriam e Masaki avevano deciso di trascorrerla in Italia. Miriam aveva preso la decisione di presentarlo ai suoi genitori e quella purtroppo si era rivelata una buona idea solo per metà. Durante il volo gli parlò a raffica di loro, Masaki l’ascoltava attentamente cercando di ricordare più informazioni possibili. Dalla sua descrizione, la madre gli aveva fatto una buona impressione, sembrava una persona capace di metterti subito a tuo agio, allegra e spontanea, le stava simpatica senza neanche conoscerla. Il padre invece, beh già da quella descrizione l’aveva terrorizzato, “sembra burbero e spaventoso, ma sotto sotto è un tenerone” gli aveva detto, ma il suo cervello si era bloccato a burbero e spaventoso, e la sua paura aumentò appena lo vide, quell’uomo era il doppio di lui e l’aveva fulminato con gli occhi appena l’aveva visto uscire mano nella mano con sua figlia. Proprio come aveva immaginato, la madre di Miriam era uno spasso, alcune volte si faceva prendere un pò troppo la mano, ma sentì di volerle bene nel momento stesso in cui l’aveva vista. Pina l’aveva accolto a braccia aperte, trattandolo come un figlio fin da subito, in fondo lei già lo conosceva; Miriam gliel’aveva fatto vedere così tante volte in televisione e per tutti quei mesi non aveva fatto altro che parlare di lui, che ormai lo sentiva parte della famiglia. Il padre invece non fu cosi affettuoso come sua moglie e il fatto che Masaki fosse giapponese era solo un piccolo dettaglio; certo la cosa gli creava un pò di problemi e sicuramente avrebbe preferito che Miriam portasse a casa un ragazzo italiano, ma lo sapeva benissimo anche lui, non si può decidere di chi innamorarsi.
    Il motivo della sua intolleranza verso Masaki però, era un altro, ed era anche abbastanza semplice; Masaki era famoso e viveva in Giappone e questo poteva significare solo una cosa: Miriam avrebbe vissuto dall’altra parte del mondo una vita infelice al fianco di uno squattrinato che passava il tempo sgambettando su un palco ad incitare folle di ragazzine urlanti.
    Per un’intera settimana Masaki cercò in tutti i modi di farsi accettare da lui, inutilmente. Kitagawa, che l’aveva sempre intimorito, in confronto a Marcello era un agnellino.
    Quell’uomo era una roccia, qualsiasi cosa lui facesse non riusciva a togliersi quel timbro con il quale l’aveva bollato e che purtroppo continuava a portare ancora addosso, "non idoneo".

    “Allora quanto manca?” chiese Pina mentre le accarezzava il pancione.
    “Il termine scade il 15 settembre”.
    “Non inizia il loro tour il 15?” chiese preoccupata.
    “Non è un tour mamma, è il concerto estivo, dura quattro giorni e lo fanno a Tokyo, perciò non deve viaggiare”.
    “Si, non si preoccupi sign... Pina, questa volta ci sarò” le disse.
    “Che nome avete scelto?” gli chiese Marcello, “spero qualcosa d’italiano”.
    “Ehm Akira” rispose lui, mentre gli faceva segno di seguirlo all’interno del Keikarou, per quel giorno i genitori di Masaki avevano deciso di tenere il ristorante chiuso.
    “L’ha scelto Misaki” aggiunse subito Miriam notando la sua espressione contrariata.

    I signori Aiba li aspettavano come sempre seduti intorno a quel tavolo riservato per gli Arashi, perché leggermente nascosto al resto della sala.

    “Tadaima!” sentirono esclamare dall’entrata.
    “Okaeri Misaki-chan” dissero raggiungendoli, “Benvenuti!” aggiunsero in un italiano perfetto;
    Miriam aveva dato lezioni d’italiano a tutta la famiglia Aiba, così da poter parlare senza problemi con i suoi genitori, e infatti iniziarono subito a conversare, raccontandosi tutte le novità che erano successe dall’ultima volta che si erano incontrati.

    “Masaki ha chiamato Ryuu-chan” gli disse sua madre dopo qualche minuto, “richiamalo, sembrava una cosa abbastanza urgente”.
    “Tutte oggi” pensò dopo aver incrociato lo sguardo di suo suocero, prima di uscire per chiamare il suo assistente.
    “Vieni immediatamente in agenzia!” gli ordinò Ryuu senza dargli neanche il tempo di parlare, “SUBITO!”
    Masaki guardò lo schermo del telefono, era nel panico, non sapeva cosa fare, ovviamente doveva andare in agenzia e anche il prima possibile, ma quello era il primo giorno libero che era riuscito a prendere dopo mesi e lo aveva preso apposta per l’arrivo dei genitori di Miriam. Si scompigliò i capelli e si accovacciò. Era nel caos assoluto, non riusciva a inventare una scusa valida per uscire da quella casa senza far arrabbiare suo suocero.

    “È successo qualcosa?” gli chiese Miriam avvicinandosi.
    “Dovrei andare in agenzia e dovrei anche sbrigarmi”.
    “E… che stai aspettando?” gli chiese sorridente, “Vai!”
    “E i tuoi genitori?”
    “Capiranno” lo rassicurò “però cerca di ritornare per cena, ci sono anche gli altri”.
    Lui le sorrise e la baciò, “tornerò il prima possibile”.

    Miriam lo guardò salire in macchina e partire; in silenzio rientrò in casa e sedendosi vicino a Misaki che colorava, ripensò a tutto quel che era successo in quei tre anni; si era sposata e aveva messo su famiglia, ed era successo tutto così velocemente, che ancora oggi non riusciva a crederci.

    “Miriam tutto okay?” le chiese suo padre avvicinandosi. “È successo qualcosa? Dov’è quel ragazzo?”
    “Si chiama Masaki papà e non quel ragazzo” gli ripeté per l’ennesima volta; suo padre aveva questo strano vizio di chiamarlo con tremila nomi diversi, ma mai con il suo. “Comunque no, non è successo niente; è dovuto andare in agenzia”.
    “Non cambierà mai” rispose, “non pensi che sia un pò troppo cresciuto per queste cose? Per quanto tempo pensa di sgambettare in giro per il mondo? Non credi che sia arrivato il momento di smettere? In questo momento dovrebbe pensare solo alla sua famiglia, è sposato, ha una figlia di due anni e un altro in arrivo. È tempo di pensare a cose più serie e non ha queste cose da ragazzini”.
    “Lui pensa alla sua famiglia, non ci fa mancare niente e con Misaki è bravissimo. È il miglior padre di sempre. E non m’importa per quanto tempo continuerà con gli Arashi, per me può farlo per tutta la vita” gli rispose. “Ma si può sapere perché lo odi così tanto?”.
    “Io non lo odio Miriam, ma questo non significa che mi piace”.
    “Bene, allora perché non ti piace?” gli chiese interrompendolo.
    “Mi sembra ovvio” le rispose “mi aspettavo una vita diversa per mia figlia, una vita tranquilla e felice vicino alla sua famiglia”.
    “Papà ascoltami e per favore credimi” intervenne senza farlo finire di parlare, “non esiste una parola che possa esprime quanto io sia felice. Ho sempre sognato un matrimonio come il vostro, ho sempre desiderato incontrare una persona che mi amasse come tu ami la mamma, che mi accettasse per quella che sono senza cercare di cambiarmi, che prendesse il pacchetto completo, accentando sia i miei pregi, che i miei mille difetti. Tutte queste cose le ho trovate in Masaki. Io lo amo più della mia stessa vita, lui è tutto per me e decidere di sposarlo è stata la scelta migliore che potessi fare, anche se questa mi ha portata lontano da voi. Da quando l’ho conosciuto lui non ha fatto altro che prendersi cura di me e lo fa anche ora. Lui è colui che riesce a farmi ridere anche senza fare niente di buffo; che ogni sera quando ritorna a casa la prima cosa che fa e venire da me a baciarmi, facendomi sentire la persona più importante del mondo. Lui asseconda i miei capricci, mi porta in giro anche se è stanco e farebbe qualsiasi cosa pur di vedermi sorridere”.

    Marcello non rispose, la guardò e le sorrise, anche se non lo dava a vedere era orgoglioso di sua figlia, della donna che era diventata. Negli ultimi tre anni sembrava essere cresciuta più velocemente, diventando una brava mamma e un’ottima moglie. E anche se era difficile ammetterlo, tutto questo era anche merito di Masaki. Lui l’aveva letteralmente aiutata a crescere, diventando la sua roccia, sostenendola in qualsiasi occasione. Marcello le diede una pacca sulla spalla e in silenzio raggiunse sua moglie e i suoi consuoceri in cucina per aiutarli a preparare la cena.

    “Ehi cucciola svegliati” gli sussurrò dolcemente Masaki nell’orecchio.
    Miriam lentamente aprì gli occhi, si sentiva le braccia intorpidite, si era addormentata a braccia incrociate sul tavolo, “tutto okay in agenzia? Che è successo?” le chiese con voce assonnata.
    “Te lo dico dopo, ora vieni, è pronto da mangiare” le disse aiutandola ad alzarsi.

    Quel ristorante che fino a poco prima era calmo e tranquillo, ora si era riempito di voci e rumori e la cucina del Keikarou si era affollata di gente, c’erano tutti quanti. Non capitava spesso di vederli insieme, per colpa di tutti i loro impegni, raramente riuscivano ad incontrarsi al di fuori del lavoro e a trovare un giorno in cui tutti fossero liberi, ma quel giorno avevano fatto tutto il possibile per riunirsi.
    Ohno e Nino avevano persino anticipato il loro ritorno dall’America, dopo il tour mondiale le cose erano cambiate anche per loro. Nino si era affermato ancora di più nel campo della recitazione, Ohno invece era riuscito a portare la sua arte oltre oceano e per la prima volta allestì mostre all’estero.

    “Dov’è Misaki?” gli chiese preoccupata.
    “È di là” le disse indicando la saletta vicino la cucina, che lo staff del Keikarou utilizzava per riposarsi nei momenti di calma, “si è addormentata mentre guardava Zoe dormire” le rispose Masaki.

    Zoe era la figlia di Sho e Mary, la loro vita. Mary era rimasta incinta sei mesi dopo il matrimonio. Dopo l’Akai Ito Sho aveva mantenuto la sua promessa di andare in Italia, e ancora oggi, nessuno era mai riuscito a capire come avesse fatto a farsi dare un paio di settimane di ferie nonostante fossero nel pieno dei preparativi per il tour mondiale. Il giorno che era arrivato in Italia aveva letteralmente sorpreso Miriam, spuntando dal nulla nel negozio dove lavorava.

    “Sho, che cavolo ci fai qua?” gli chiese incredula, “dov’è Masaki, quando siete venuti?”
    “Veramente ci sono solo io” le rispose ridendo, “ma mi ha detto di dirti che Danny sta bene. A che ora stacchi?”
    “Fra mezz’ora, perché? Mary lo sa che sei qui?”.
    “Bene, allora ti aspetto” le disse ignorando la domanda.

    Sho aspettò pazientemente seduto al tavolo del bar di fronte al negozio; per tutto il tempo si torturò le mani e le dita, le sue gambe non facevano altro che tremare e stava sudando freddo, era ansioso come non mai.

    “A domani!” li salutò lei uscendo. “Spiegami” gli disse sedendosi di fronte a lui.
    “Voglio fare una sorpresa a Mary” le confessò un pò in imbarazzo, “ma non so come fare”.

    Miriam lo guardò e scoppiò a ridere, aveva pensato chissà cosa guardando le condizioni in cui era. “Stasera dobbiamo uscire insieme” gli disse, quando finalmente riuscì a smettere di ridere, “perciò, vieni a casa mia, ho un piano”.

    Sho la seguì, camminava in silenzio stringendosi nel giubbino e respirando a pieni polmoni quell’aria intrisa dell’odore acre del mare, con la speranza che lo facesse rilassare. Si sentiva stranamente nervoso, non vedeva Mary da quando era ritornata dal Giappone e nonostante si sentissero ogni giorno su Skype, le mancava tantissimo.
    Arrivati a casa, Miriam iniziò a preparare qualcosa da mangiare, la serata fra amiche sarebbe sicuramente saltata. Sho, si guardava intorno, casa di Miriam non si poteva definire esattamente come una casa normale. Viveva in un microscopico appartamentino sopra quello dei suoi genitori, da quando aveva ricominciato a studiare aveva deciso anche di trasferirsi in quel buco e onestamente il motivo del suo trasferimento non l’aveva capito nessuno. Nonostante fosse piccolo era carino, arredato in modo semplice e funzionale e proprio come aveva detto Antonella, durante la serata di gala, era strapieno di roba su di loro, c’erano i loro goods praticamente ovunque; guardandoli si sentì onorato e a disagio.

    “Sho-chan, toglimi una curiosità” gli disse mentre agitava davanti a se quel coltello con il quale due secondi prima stava tagliando un pomodoro, “come hai fatto a trovarmi?”
    “Antonella mi ha detto dove lavori” le spiegò allontanandosi da lei il più possibile, sapeva quant’era sbadata e quel coltello in mano a lei sembrava ancor più pericoloso, “quanto manca alla laurea?” le chiese notando i libri sparpagliati sul tavolo.
    “Metà febbraio” rispose distrattamente. “Come stanno andando i preparativi del tour?” chiese per cambiare argomento, parlare della laurea le faceva venire l’ansia.
    “Bene, ma quei due sono pericolosi insieme” le disse ridendo.

    Antonella, dopo l’Akai Ito si era trasferita in Giappone, a casa di Jun.

    Mary arrivò in perfetto orario come al solito e quando suonò al campanello Miriam ordinò a Sho di andare ad aprire.

    Saliva le scale canticchiando, “Miriam quanto ci vuole?” le chiese alzando lo sguardo convinta di trovare l’amica ad aspettarla come sempre davanti la porta, ma contrariamente dal solito, quel giorno al suo posto c’era Sho ad aspettarla. Appena lo vide si bloccò all’istante.
    “Sera!” le disse sorridente, ora che la vedeva tutto il nervosismo che aveva provato in quelle ore sparì.
    “Sho?”
    “Si, sono io” le rispose abbracciandola, “mi sei mancata piccola”.
    “Anche tu, quando sei arrivato?”
    “Pomeriggio” le spiegò guardandola, non era cambiata per niente dall’ultima volta, era sempre bellissima.

    Quella sera andarono a cena insieme e il giorno dopo partirono per quel viaggio che Sho aveva organizzato all’insaputa di tutti; neanche i suoi compagni, che stavano praticamente con lui 24 ore su 24, lo sapevano. Per quelle due settimane di ferie, aveva organizzato un tour di dieci giorni fra le maggiori città italiane, andarono: a Roma, a Firenze, a Venezia e a Torino. Sho era curioso di vedere lo stadio che aveva scelto Jun per il concerto.

    Jun l’aveva scelto sostanzialmente per tre motivi:
    1. Perché era l’unico stadio in tutta l’Italia a non avere recinzioni e barriera architettoniche;
    2. Perché gli piaceva com’era strutturato, gli spalti erano abbastanza vicini al campo, da quelli in alto si poteva godere di un’ottima visuale e guardando la cerimonia d’inaugurazione si era letteralmente fissato sulle luci e gli effetti speciali che avevano creato, che paragonati ai loro erano miseri; e sull’acustica, secondo lui la musica risuonava bene e le sue intuizioni non erano mai sbagliate;
    3. E per ultimo, ma non meno importante, loro sarebbero stati i primi ad esibirsi allo Juventus Stadium.

    Mary proprio come gli aveva promesso, gli fece da cicerone mostrandogli tutti i posti più belli. Lo portò al Colosseo, alla Fontana di Trevi e a Piazza di Spagna. Fecero una lunga passeggiata su Ponte Vecchio a Firenze e fra la Galleria degli Uffizi, dopo aver visto il Duomo di Santa Maria del Fiore e il David di Michelangelo. A Venezia lo portò a Piazza San Marco, sul Ponte dei Sospiri e su quello di Rialto, dove gli raccontò le leggende che circondavano quel posto. Quando andarono a Torino, dopo la visita allo stadio, andarono alla Mole Antonelliana per visitare il Museo del Cinema.

    “Dai tranquillo, non è così alta” gli disse mentre aspettavano in fila per l’ascensore, Mary aveva deciso di fargli vedere tutta Torino dall’alto.
    “A me sembra che quel coso salga parecchio” le rispose nel panico, “guarda come tremano quei fili” aggiunse cercando di convincerla a non salire.
    “Non vorrai dirmi che dopo che hai volato per l’intero Dome legato a un’imbracatura, che ti sei buttato da un trapezio per il banking jumping e che hai cantato sospeso in aria a chissà quanti metri d’altezza su una pedana che dava l’impressione di non essere per niente stabile, ora hai paura di un filo che trema”.
    “Colpito e affondato” le rispose rassegnato.

    Dopo circa un’ora e mezza di fila riuscirono finalmente a prendere l’ascensore, per tutta la salita Sho teneva gli occhi chiusi, stringeva la mano di Mary così forte che gli sembrava che le ossa stessero scricchiolando. Trovò il coraggio di aprire gli occhi solo quando arrivarono in cima.
    “Menomale che non era così alta” le disse facendole il verso.
    “Baka!” gli rispose ridendo.

    Sho l’abbracciò e insieme guardarono quel meraviglioso panorama; si vedeva tutta Torino, Sho ne rimase impressionato. Mentre guardavano la città dall’alto Mary gli raccontava tutto quello che sapeva. Gli disse di come erano strutturate le vie, sempre una parallela all’altra; gli mostrò la chiesetta di Superga e la Gran Madre. Nonostante fosse una fredda mattina di fine gennaio, il cielo era limpido, infatti riuscirono a vedere le Alpi e il Monviso ricoperti di neve che sembrava brillare grazie ai leggeri raggi del sole.

    “Dobbiamo farlo vedere anche agli altri” le disse mentre scendevano.
    Era rimasto letteralmente colpito da quella città, gli piaceva tutto, non riusciva a trovare nessun difetto.
    Quei dieci giorno volarono e quando ritornarono in Calabria lei gli mostrò i luoghi della sua infanzia e gli fece conoscere la sua famiglia. Nonostante i problemi di lingua lo accolsero tutti benissimo e in quei giorni gli insegnarono anche un pò d’italiano. Sho legò subito con tutti, il che fu abbastanza scontata come cosa.
    Sho ha quel tipo di carattere che è difficile che qualcuno lo prenda in antipatia, riesce a farsi volere bene fin da subito.
    Legò soprattutto con il padre di Mary, Giuseppe, entrambi erano appassionati di calcio e passavano ore intere davanti alla televisione, a guardare una partita dietro l’altra e mentre le guardavano suo suocero gli raccontava la storia calcistica di tutte le squadre italiane, costringendo Mary a tradurgli tutte quelle storie che a lei non interessavano per niente. Ogni mattina si svegliava accanto a lei, guardandola dormire per un attimo, per poi svegliarla con un bacio. Negli ultimi giorni della sua vacanza in Italia non si separò da lei neanche un attimo, non la lasciava mai sola. I suoi genitori erano davvero felici nel vedere la loro figlia realizzata, nel vederla sorridere al fianco di quello strano ragazzo di cui erano abituati a sentire la sua voce.

    Da quando Mary era ritornata dal Giappone, non faceva altro che ascoltare quella canzone, Always, ad alto volume che ormai anche i muri ne conoscevano il testo.

    In quegli ultimi giorni, si rese conto di un qualcosa che non si sarebbe mai aspettato, stando con Mary e con la sua famiglia si rese conto di non sentire per niente la mancanza di casa sua, perché fra quelle quattro mura che racchiudevano tutto il passato di Mary, tutti i suoi ricordi da bambina, lui si sentiva perfettamente a casa, era felice. Proprio in quei giorni però, capì quanto tutto questo gli sarebbe mancato una volta ritornato in Giappone; gli sarebbe mancato tutto, quella casa, quel giardino che la circondava, lo scorcio sul mare che si vedeva dal soggiorno, quella lingua così diversa dalla sua, che ormai si era abituato a sentire. Gli sarebbe mancata la madre di Mary, con i suoi modi gentili e premurosi, che ogni mattina, quando Mary non c’era, lo svegliava e gli preparava la colazione. Gli sarebbe mancata la simpatia della sorellina minore e le battutine sarcastiche del fratellino, la compagnia del padre, che ogni giorno lo portava in un posto diverso in quel piccolo paesino, presentandolo ai suoi amici con orgoglio. Ma soprattutto si rese conto di quanto Mary le sarebbe mancata e in quel momento prese quella decisione che avrebbe cambiato per sempre la sua vita.

    Desiderava stare con Mary più di qualsiasi altra cosa e sarebbe stato disposto a tutto pur di realizzare quel desiderio. Prima di ripartire organizzò un cena in un ristorante in collina, dal quale si vedeva il mare; il panorama era spettacolare. Per tutta la durata della cena Sho parlò poco e niente, si sentiva nervoso, e Mary capì subito che c’era qualcosa che non andava,
    “Sho, è successo qualcosa?” gli chiese prendendogli la mano, poggiata sul tavolo.
    “Mary, ci ho pensato tanto e ho capito una cosa importante” le disse guardando il panorama. Lei rimase in attesa, ma Sho non parlò.
    "Mi stai facendo preoccupare!” gli disse.
    Lui liberò la mano e fece il giro del tavolo, “Mary, qualcosa dentro di me è cambiato” le disse guardandola negli occhi “da quel giorno a Malta mi hai sconvolto la vita. Ogni volta che sto con te, sto bene. Mi rendi felice, tranquillo. Hai colmato quel vuoto che pensavo che non si colmasse, perché tu hai visto il vero me, non l’Idol, ma Sho in tutte le sue sfaccettature e le hai accettate. Io non posso ritornare a casa senza te. Perché se non sei al mio fianco, io non vivo. Per tutto questo e perché tu sei la persona più bella al mondo. Vuoi rendermi l’uomo più felice del mondo sposandomi?”
    Mary lo guardò sbalordita, non riusciva a parlare, non si sarebbe mai aspettata una cosa del genere e così all’improvviso. Si alzò e l’abbracciò; quella era la risposta definitiva.
    “Allora mi sposi?”
    “Certo che ti sposo!” rispose con le lacrime agli occhi per la felicità.
    Lui sciolse l’abbraccio e prese dalla tasca della giacca una scatolina; l’aprì, all’interno c’era un bellissimo anello in oro bianco con un diamantino al centro, “ti amo, e voglio averti al mio fianco per tutta la vita” le disse mentre le metteva l’anello al dito.
    “Ti amo anch’io”.

    Le loro famiglia presero benissimo la notizia, nonostante fosse improvvisa, ma avevano capito quanto fosse forte il loro sentimento e non poterono far altro che essere felici per loro, augurandogli tutto il bene possibile.

    Mary organizzò tutto il matrimonio da sola, purtroppo gli impegni lavorativi di Sho non gli permisero di aiutarla, ma lei non si perse d’animo ed esattamente un anno dopo, durante una bellissima giornata primaverile di fine di aprile, Sho e Mary si scambiarono le promesse e gli anelli, disegnati da Ohno come regalo di nozze, davanti parenti ed amici. La navata della chiesa era addobbata con alti vasi trasparenti con all’interno calle immerse nell’acqua e candele galleggianti accese. Sho era bellissimo nel suo completo blu notte, era tutto un fascio di nervi, ma quando la vide si tranquillizzò subito. Mary avanzava al braccio del padre; indossava un abito in crêpe, dallo stile svasato e con la parte interna in colore nude, con corpetto in pizzo, scollatura a barca e maniche a tre quarti, decorato con applicazioni di pizzo chantilly.
    Si avvicinò per sollevarle il corto velo e le diede un bacio sulla fronte. La cerimonia fu semplice e veloce; il ricevimento fu un insieme di culture enogastronomiche italo-giapponesi. Gli invitati si divertirono molto per quel mix culturale.
    Ritornati dal viaggio di nozze in Tailandia; cominciarono la loro nuova vita in Giappone. Mary si adattò perfettamente a quella nuova vita, era riuscita a trovare lavoro nel suo campo ed era molto soddisfatta. Sho era affettuoso nei suoi confronti. La vita lavorativa e matrimoniale procedeva bene, ma qualcosa stava per sconvolgere quella calma apparente.
    Era un giorno come tutti gli altri, Sho si era svegliato presto per andare a lavoro e proprio come tutti i giorni tornò a casa per l’ora di cena.

    “Tadaima!” esclamò.
    “Okaeri!”
    “Sto morendo di fame, che c’è da mangiare?” chiese entrando in cucina, ma lei non rispose, Sho si sedette intorno al tavolo e un oggetto attirò la sua attenzione, sul suo piatto c’era poggiato un bigliettino. Lo prese, “aprimi!” c’era scritto sulla parte frontale; l’aprì, all’interno c’era disegnato un ciuccio con due fiocchetti una rosa e l’altro azzurro. Scattò in piedi come una molla e andò da Mary abbracciandola forte per quanto potesse, Mary ricambiò quell’abbraccio stringendosi sempre di più a lui.

    “Quando l’hai scoperto?”
    “Oggi” gli rispose mentre Sho la strinse ancora di più a se, era felicissimo. Stava per diventare padre.

    Durante i mesi della gravidanza era affettuoso, attento e premuroso, la coccolava, e ogni volta che usciva o rientrava da casa dava un bacio prima a Mary e poi alla pancia, che cresceva a vista d’occhio. Dopo 9 mesi, esattamente il 7 giugno nacque la piccola Zoe; era bellissima, ed era un perfetto mix fra Sho e Mary, aveva preso il taglio degli occhi di Sho, ma il colore di Mary, i capelli scuri come quelli del padre, ma leggermente ondulati come quelli della madre; era una gioia solo a vederla. Sho se ne innamorò subito, appena la vide in sala parto. Quella piccola creatura aveva letteralmente sconvolto le loro vite, completandole. Sho era un marito e un padre perfetto, si alzava per cambiarla e darle il latte tutte le notti, era attento e premuroso in tutto, forse anche troppo, ma Mary non glielo faceva pesare; ogni volta che li vedeva giocare insieme, era contenta.

    Nonostante le differenza culturali erano riusciti a far combaciare perfettamente le loro vite. Mary era la persona che Sho aveva sempre desiderato avere al suo fianco; era in grado di tiragli sempre su il morale nei momenti di difficoltà, ad incoraggiarlo e a sostenerlo nel suo lavoro, come nessuno aveva mai fatto.

    Lei era il suo passato, il suo presente e il suo futuro, era tutto per lui.


    “SPOSTATEVI!” gli urlò Jun venendo dalla cucina con un enorme piatto pieno di cose da mangiare.
    Miriam e Masaki si poggiarono immediatamente con le spalle al muro per farlo passare.
    “Come sta Akira?” chiese Anto uscendo anche lei dalla cucina, “digli di sbrigarsi a nascere, negli Arashi c’è un posto anche per lui” aggiunse sorridente. “Jun per favore aiutami, è pesantissimo” disse, quel vassoio in mano a lei sembrava molto precario, dava l’impressione di rovesciarsi da un momento all’altro.
    “Eccomi principessa” le disse correndo in suo soccorso.

    Miriam e Masaki scoppiarono a ridere, quello era veramente un evento più unico che raro, a quella cena che rimandavano di volta in volta erano riusciti a venire anche Anto e Jun. Da quando erano ritornati dal viaggio di nozze li vedevano solo quando lavoravano, erano sempre pieni d’impegni, non avevano neanche il tempo per riposarsi. Miriam li guardò, era davvero felice, per loro non era stato facile come per lei e Mary.
    Alcuni mesi dopo l’Akai Ito e l’annuncio del tour Mondiale, gli Arashi, visto il successo che le ragazze avevano riscontrato all’interno del Jimusho, si erano fatti coraggio e avevano deciso di presentarle al vecchio. Quella non era esattamente la prima volta che gliele presentavano, l’avevano fatto anche il giorno dopo la conferenza, ma lui sembrava essersi interessato solo ad una di loro, ignorando completamente le altre due. Decisero così di provarci di nuovo e questa volta ce l’avrebbero messa tutta pur di riuscire a fargli accettare anche le altre due ragazze.

    “Sho, per la cena è tutto pronto vero? Lo sai che il vecchio odia aspettare” gli disse Jun.
    “Sì, Mary ha tutto sotto controllo; speriamo solo che vada tutto bene” gli rispose, visibilmente preoccupato.
    “Tranquilli” intervenne Ohno, “il vecchio adora la buona cucina e sono sicuro che Mary riuscirà a conquistarlo. Ad Anto già l’adora, da quando lavora con noi è diventata la sua pupilla e guai a chi gliela tocca” disse, e indicando Masaki aggiunse sottovoce “l’unico problema potrebbe essere Miri-chan”.
    “Guarda che ti ho sentito” gli rispose dandogli uno schiaffo in testa, “Miriam non è un problema, il vecchio accetterà anche lei”.
    Uscirono dalla sala prove e scherzando andarono nei parcheggi.
    “Ganbate!” gli dissero Ohno e Nino salendo in macchina.

    Quella sera Jun, Sho e Masaki avevano un’importantissima cena con Johnny-Supremo, a casa di Sho.
    Erano tutti e cinque nervosi, non riuscivano a stare fermi.

    Uscite dalla cucina immediatamente, mi state innervosendo” li sgridò Mary; uno dietro l’altro uscirono senza ribattere, l’ultima cosa che volevano era farla arrabbiare.

    Mary per l’occasione aveva preparato un cena a base di pesce; era tutto il giorno che cucinava e sperava che i suoi piatti fossero in grado di soddisfare le richieste e gli standard di Kitagawa. Infatti il menù l’aveva deciso lui, “vengo solo se cucina qualcosa d’italiano, e soprattutto di pesce” aveva detto, quando Sho, Jun e Masaki gli avevano proposto la cena.
    Il presidente arrivò in perfetto orario, non solo odiava aspettare, ma non gli piaceva neanche farsi attendere.

    "Bene, ci siamo” disse Sho, e prima di aprire la porta fece un respiro profondo, cercando di calmarsi. “Konbanwa Johnny-san, prego si accomodi” gli disse invitandolo ad entrare.
    Lui entrò guardandosi intorno, era la prima volta che andava a casa di un suo “dipendente”.

    “You, bella casa” gli disse; la casa di Sho era un appartamento su due piani arredato in stile moderno, con un piccolo giardino sul retro. Lo seguì nella sala da pranzo, “Anto, carissima” le disse appena la vide.
    “Johnny-san buonasera” gli rispose con un largo sorriso, “si ricorda delle mie amiche vero?” aggiunse indicando Mary e Miriam.
    “Oh sì, sì, come no” disse distrattamente, non se le ricordava per niente.
    “Johnny-san, credo che sia ora di sederci, altrimenti la cena che ha preparato Mary si raffredda” gli disse Jun, sottolineando il nome di Mary.

    Si sedettero intorno al tavolo, il vecchio continuava a parlare solo ed esclusivamente con Anto, ignorando tutti gli altri. Antonella era diventata veramente la sua pupilla, dopo che Jun gli aveva confessato che la maggior parte delle idee per il concerto erano venute da lei, rimase al quanto stupido, e senza pensarci una volta di troppo, le offrì un posto all’interno dell’agenzia, affidandole il compito di promuovere gli Arashi all’estero, e insieme a Jun si sarebbe dovuta occupare dell’organizzazione del Tour Mondiale.

    “Allora Johnny-san, com’era la cena?” gli chiese Anto appena finirono di mangiare.
    “Deliziosa” rispose lui, “come la tua dolce metà” aggiunse rivolgendosi a Sho.

    Sho lo guardò incredulo, non si sarebbe mai aspettato quelle parole così all’improvviso, “questo vuol dire che approva la nostra relazione?” gli chiese. Kitagawa li guardò sorridente e lui capì immediatamente, “ce l’abbiamo fatta!” disse a Mary, stringendole la mano.
    Lei sorrise a quelle parole, era raggiante, era riuscita a conquistare Johnny Supremo, e non era stato neanche tanto difficile.
    La descrizione che le avevano fatto, facendolo passare come crudele e senza cuore, era totalmente sbagliata, al contrario le era sembrato abbastanza gentile ed educato, certo era spaventoso in alcune cose, come il modo in cui ti guardava facendoti sentire perennemente a disagio e sulle spine, ma per il resto sembrava una brava persona. D’altronde i suoi modi severi l’avevano portato a far diventare la Johnny’s l’agenzia più importante di tutto il Giappone e i suoi Idol erano i più famosi, conosciuti praticamente ovunque, perciò non era proprio da biasimare il suo carattere, se non fosse stato per il suo temperamento chissà ora dove sarebbero tutti loro.
    Proprio come aveva previsto Ohno, però l’unico problema fu Miriam, lei non aveva niente di speciale, non sapeva cucinare e non aveva idee geniali come Antonella. L’unica cosa che aveva era la sua sbadataggine e quel suo modo di fare così diretto e spontaneo, e fu proprio questo che attirò la sua attenzione.
    “You!” la chiamò facendola sobbalzare e distogliendola dai suoi pensieri.
    “Perché non chiama la gente con il proprio nome?” gli disse spazientita, il nervosismo le giocava brutti scherzi, “mi chiamo Miriam e non You”.
    Tutti quanti la guardarono sbalorditi, e anche Kitagawa, nessuno si era mai permesso di parlagli in quel modo.
    “Ehm, mi-mi scusi” disse in imbarazzo. Lui la fissava, e avere il suo sguardo puntato addosso la fece sentire ancor di più in imbarazzo, “scusate un attimo” disse alzandosi, “ho-ho bisogno d’aria”.
    Tutti continuarono a guardarla in silenzio e in ansia, aspettavano il momento in cui il presidente sarebbe scattato e le avrebbe fatto una bella lavata di testa.
    Miriam quella sera era più strana del solito, il suo sguardo era preoccupato, la sua espressione pensierosa, più di una volta Masaki le aveva dovuto dare gomitate sotto il tavolo, quando nessuno li vedeva perché lei s’isolava chiudendosi nel suo mondo fatto di castelli di carta a pensare chissà a cosa. Era chiaro a tutti che nelle ultime settimane stesse nascondendo qualcosa, ma il problema stava nel capire cosa. L’unica cosa che riuscirono a capire fu che quel segreto che proteggeva con tutte le sue forze era importante e, contrariamente dal solito neanche Nino lo sapeva e, solitamente lui era sempre il primo a sapere quello che le succedeva, era praticamente il consigliere personale di Miriam.

    Camminava a passo spedito e in silenzio verso il balcone, si stava maledicendo da sola, aveva rovinato tutto con una sola frase. Durante il tragitto però inciampò nel tappeto e cadde sulle ginocchia. Si alzò, il suo viso era diventato rosso come un pomodoro, raggiunse velocemente la porta-finestra, forse anche un pò troppo, tant’è che non si rese conto che era chiusa e andò a sbatterci con la testa. Sempre più in imbarazzo uscì, “che figura” pensò chiudendo dentro quelle risate che la facevano sentire una stupida.
    Kitagawa non era riuscito a resistere, era scoppiato in una risata contagiosa, “anche a casa è così?” chiese rivolgendosi a Masaki.
    “Ehm sì” rispose in imbarazzo, “la scusi per come gli ha risposto, ma vede, alcune volte non riesce a controllare le sue parole, e dice tutto quello che pensa”.
    “Ora capisco perché sei più allegro del solito” gli disse ignorando le sue scuse, “era un secolo che non ridevo così tanto” continuò a dirgli asciugandosi le lacrime. “Tienitela stretta Aiba-chan, e anche voi, non è facile trovare la persona giusta di questi tempi, e poi non siete più dei ragazzini, dovete pensare a farvi una famiglia altrimenti ve ne pentire”.

    Masaki non riuscì a credere alle sue orecchie, si alzò per andare a darle la notizia e proprio come lei, inciampò nel tappeto “Sho-chan leva sto maledetto tappeto” gli disse massaggiandosi le ginocchia.

    Il giorno dopo Johnny organizzò una conferenza stampa, in cui annunciò ufficialmente i membri dello staff, tra cui Antonella in veste di manager, e Mary e Miriam, come traduttrici, ovviamente quella era una copertura ideata da Kitagawa per non destare sospetti. Prima o poi i paparazzi sarebbero riusciti a beccare quei tre con le loro rispettive ragazze e, quella sarebbe stata la coperture adatta; quel vecchio le pensava tutte, era stupefacente.
    Dopo quell’annuncio, le cose per le ragazze non poterono che migliorare. Insieme agli Arashi, furono invitate in alcuni programmi televisivi, tutti erano curiosi di sapere come le avevano conosciute; non capitava tutti i giorni che tre ragazze, e per giunta italiane, venissero assunte da Kitagawa in persona e affiancate agli Arashi. Le fan le accolsero bene, tutte e tre erano riuscite ad entrare nelle loro grazie; la maggior parte di loro aveva iniziato a creare anche i primi shipping, con alcuni membri degli Arashi, loro li chiamavano Makurai, Mary e Sho, e Airu, Miriam e Masaki. E quando ci fu l’annuncio che stavano realmente insieme, le fan non poterono far altro che essere contente, in fondo le loro fantasie avevano un fondo di verità.
    Per Anto e Jun purtroppo le cose non andarono nello stesso modo, Jun fra tutti e cinque, era quello più popolare fra le fan, e quando ci fu l’annunciò del suo fidanzamento con Antonella, alcune delle sue fan più accanite non la presero bene. Il suo blog fu invaso di messaggi e continue richieste di lasciarla. Lei un paio di volte ricevette alcune minacce, anche se non in maniera grave, e nonostante Jun avesse chiesto più volte di rispettare la sua scelta, le cose non cambiarono, e questo purtroppo causò una forte tensione fra i due, sia a casa, che a lavoro; non facevano altro che litigare anche sulle cose più stupide. Una sera litigarono così tanto che lei decise di andare a dormire a casa di Ohno, fra quei due si era creato un forte legame, alimentato soprattutto dal fatto che Jun continuava a fare l’emerito deficiente, trovando il pelo nell’uovo in qualsiasi cosa lei facesse. E quella sera come tutte le sere ormai, litigarono per una forchetta messa fuori posto, i motivi delle loro liti erano sempre stupidi. Litigavano per ore e poi lei andava sempre dal Riidaa per sfogarsi, perché lui in quel momento era l’unico che riusciva a capirla. Quella tensione venne eliminata grazie al matrimonio di Sho e Mary. Quel giorno infatti successe un evento che Anto e Jun non avrebbero mai immaginato, soprattutto Anto.

    “Sto per lanciarlo?!” urlò Mary.
    “Fammi mettere più in là, non vorrei proprio prenderlo!” pensò Anto, ma per fatalità quel bouquet che Mary aveva lanciato con la speranza che fosse proprio lei a prendere, le cadde fra le mani.
    “Jun!” lo chiamò Ohno.
    “Dimmi Riidaa!”
    “Mi sa, che il prossimo sarai tu!” gli disse indicando Anto con in mano il bouquet.

    Appena i loro occhi s’incrociarono, lei istintivamente lo fece cadere a terra. Jun la guardò con il suo solito sguardo e andò verso di lei, prese il bouquet e le diede un bacio, “no, no, no, Antonella Perri, questo non si fa!” le disse serio, “o per meglio dire Antonella Matsumoto. Mi sa che ti servirà per fare pratica”.
    “Puoi ripetere?” gli chiese leggermente confusa.
    “Hai capito bene. Non m’interessa quello che dicono le fan. Io ho scelto te ed è con te che voglio passare il resto della mia vita. Ti amo!” continuò a dirle, baciandole il collo.
    “Se questa era una proposta, non è per niente romantica” gli sussurrò nell’orecchio abbracciandolo.
    “Hai ragione!” le rispose ridendo e facendole l’occhiolino. La prese per mano e la invitò a ballare; gli sposi avevano aperto le danze.

    Ritornati in Giappone, la situazione con le fan migliorò; Anto non ricevette più minacce, e a Jun non arrivarono più richieste di lasciarla. Ripresero la loro vita come se niente fosse successo, in fondo non avevano tempo per pensare a quegli stupidi capricci, erano troppo impegnati per concentrarsi su altre cose, ma questo non impedì a Jun di organizzare una cenetta romantica in un bel ristorante con vista panoramica della città.
    Lui l’aspettava seduto al tavolo, era emozionato, controllava che tutto intorno a se fosse perfetto.

    “Scusa per il ritardo” gli disse sedendosi, “abbiamo avuto un problema con una radio Italiana; non riuscivamo a inviargli la vostra canzone” gli spiegò mortificata.
    “Tranquilla” le disse sorridente, “ma ora basta parlare di lavoro, stasera pensiamo ad altro”.

    Durante la cena parlarono del più e del meno, passando da un discorso all’altro senza neanche rendersene conto. Jun le stava raccontando qualcosa su sua sorella, quando lei lo bloccò, “lo facevo anch’io” gli disse ridendo, “mi legavo il lenzuolo intorno al petto, mi mettevo davanti allo specchio e facevo finta di sposarmi”.
    “E ora, vorresti sposarti con me” gli chiese in imbarazzo.

    Antonella non riuscì a rispondere, lo guardò incredula, lui ricambiava il suo sguardo sorridente, con quella atmosfera si sarebbe aspettato una risposta positiva, ma invece dopo qualche minuto di silenzio gli disse “Jun io ti amo moltissimo, ma per ora voglio concentrarmi sul lavoro e impegnarmi al massimo per non deluderti, per non deludere Johnny-san e soprattutto me stessa. Scusami, ma per il momento non posso accettare”.

    Jun cercò di nascondere la sua delusione per essere stato rifiutato, ma l’amava e capiva benissimo le sue ragioni. Passarono diversi mesi da quel giorno, Antonella era riuscita ad affermarsi nel suo lavoro, il Tour Mondiale era andato benissimo, gli Arashi erano riusciti ad affermarsi nelle discografia mondiale, ormai li conoscevano da per tutto. E anche l’uscita del nuovo cd annesso al tour che susseguì l’嵐 in The World, di cui lei si occupò della promozione, fu un successo.

    Era una fredda giornata invernale, Jun guidava canticchiando, stavano tornando a casa, erano stati a pranzo dalla sua famiglia.
    “Ti va di andare a fare una passeggiata al parco?” gli chiese.
    “Certo, principessa”.

    Parcheggiarono vicino l’entrata, per fortuna quel giorno non c’era molta gente, il freddo li aveva barricati tutti in casa, infatti evitarono anche di camuffarsi con cappelli e occhiali. Camminavano abbracciati nel Showa Kinen Park, decorato da tante lucine di natale sugli alberi, godendosi un pò di tranquillità; non gli capitava spesso di poter passeggiare indisturbati.

    “Guarda com’è bello il tramonto” le disse fermandosi e voltandosi verso di lei, “e che bei giochi di luce, che si creano con gli spruzzi della fontana”.
    “Si, toglie proprio il fiato. Immaginatelo quanto ci sarà la fioritura dei ciliegi”.
    “Già, ma io immagino qualcosa di ancora più bello” le disse serio, “t’immagino percorrere questo sentiero contornato da questi fiori coloratissimi in abito bianco, ed io qui, di fronte a questa splendida fontana ad aspettarti”.
    Ad Anto le si bloccò il cuore per un istante, Jun si stava inginocchiando di fronte a lei, “Anto, tu sei la mia metà, la persona che mi sopporta e che mi sostiene” continuò a dirle senza mai distogliere lo sguardo. “Quella che stringo a letto ogni notte e quella con cui mi sveglio al mattino col sorriso. Voglio che questo non finisca. Voglio che tu sia mia e per sempre”. E mostrandole l’anello che aveva scelto per lei; un diamantino a forma di cuore per richiamare la fascetta che portavano dalla vacanza a Malta le chiese, “vuoi concedermi la tua mano?”.
    Anto tremando si inginocchiò, “Jun ti amo e voglio che tu sia mio” gli disse guardandolo negli occhi.

    Avevano deciso di sposarsi per fine Marzo, nel periodo della fioritura dei ciliegi, e da quel momento, erano iniziati i preparativi del matrimonio, cercando di farli combaciare con i rispettivi impegni lavorativi. Nell’organizzazione avevano coinvolto tutti, soprattutto Ohno, che dovette fare gli inviti, i libretti per la cerimonia e le loro fedi. Inoltre, dovette cantare con molto piacere e con una certa preoccupazione l’Ave Maria all’entrata della sposa, accompagnato da Sho al piano, Nino e Masaki alla chitarra e da un quartetto d’archi.

    “Siete pronti per la sfilata?” chiese Nino aprendo la porta del camerino.
    “Allora ragazzi che ne pensate?” chiese Ohno uscendo e, rubando il posto ad Antonella salì sulla pedana circolare, mettendosi in posa di fronte allo specchio.
    “Toshi sembri un piumone” gli rispose Nino ridendo.
    “Che scemi che siete” disse Sho con le lacrime agli occhi, “Satoshi sei raccapricciante con questo vestito addosso”.
    “Sho-chan, sei cattivo” gli disse con finto tono offeso e scendendo dalla pedana, ritornò nel camerino incrociandosi con Antonella, “Riidaa oggi è la mia giornata” gli disse, “comunque ti sta bene” aggiunse facendogli l’occhiolino.
    “Ragazzi allora, che ne dite di questo modello?” chiese mettendosi di fronte allo specchio.
    “No, questo assolutamente no!” le risposero i ragazzi.
    “Se decidi per questo, immagino già la faccia sconvolta di Jun” le disse Ohno ritornando dai camerini.
    “Perché?” gli chiese lei confusa, non ci vedeva niente di così sconvolgente in quel vestito.
    “È troppo scollato dietro e non lascia nulla all’immaginazione” le spiegò.

    Anto un pò delusa ritornò in camerino, quel vestito un pò le piaceva. Riuscì per un paio di volte, ma ogni volta il vestito che aveva indosso veniva bocciato.
    “No, con questo sembri un centrino!” le disse Miriam.
    “Questo, invece sembra la tenda che ha mia madre in cucina” le disse Masaki.
    “Dai ragazzi non la scoraggiate!” li rimproverò Mary, notando l’espressione preoccupata di Antonella, “il prossimo sarà quello giusto” le disse cercando di rassicurarla.

    Lei entrò per l’ennesima volta nel camerino, pronta per indossare un altro vestito. La commessa l’aiutò ad indossarlo, glielo strinse da dietro in modo che la fasciasse alla perfezione, “ti sta benissimo” le disse sorridente voltandola verso lo specchio, “che dici, glielo facciamo vedere anche a loro?” le chiese gentilmente, ma lei non rispose, era rapita da quella figura che vedeva allo specchio.
    Indossava un abito svasato in crêpe, con corpetto con scollatura avvolgente a maniche lunghe trasparenti in tulle effetto nudo, impreziosite da applicazioni in pizzo e gonna liscia in voile, era bellissimo. “Andiamo” le disse aiutandola ad uscire.
    Salì sulla pedana, la ragazza le sistemò il velo e la fece voltare verso lo specchio.
    I suoi amici la guardavano estasiati, non riuscivano a parlare, “su questo cosa dite?” chiese rompendo il silenzio.
    “Que-questo è perfetto!” le rispose Ohno, “sei bellissima, e Jun impazzirà quando ti vedrà”. Lei sorrise a quelle parole, nonostante tutto lui rimaneva il suo ichiban.
    “Tu come te lo senti addosso?” le chiese Mary.
    “Bene! Mi piace tantissimo!” rispose emozionata, continuando a guardarsi allo specchio.
    “Perciò è questo il vestito giusto?” le chiese Miriam imitando il loro costumista.

    Antonella rispose con un ampio sorriso, finalmente aveva trovato quello giusto; tutti l’abbracciarono, e alcune lacrime le scivolarono sul viso, era soddisfatta di quella scelta, e in quel momento tutta la paura che aveva provato nei mesi precedenti sparì. Sentiva di aver fatto la scelta giusta accettando la sua proposta; in fin dei conti il suo posto era quello di stare al suo fianco, perché solo lui riusciva ad amarla e a farla sentire importante come nessuno aveva mai fatto.

    “Finalmente, non ne potevo più di vedere abiti da sposa!” esclamò Nino.
    “Baka!” lo rimproverarono Ohno e Sho.
    Lei li guardò e scoppio a ridere, chi l’avrebbe mai detto che quei quattro sarebbero diventati i suoi migliori amici.

    Si sposarono al Showa Kinen Park il 31 marzo secondo rito cattolico.

    “Vi dichiaro marito e moglie” annunciò il prete, “e ora puoi baciare la sposa” aggiunse dando una pacca sulla spalla allo sposo.
    Lui si avvicinò e la baciò, in quel momento una folata di vento attraversò gli alberi di ciliegio creando una pioggia di petali, gli invitati li guardarono applaudendo. Mary e Miriam scoppiarono in lacrime per la felicità, erano felicissime per la loro amica. Antonella aveva realizzato i suoi sogni, era riuscita ad avere un ottimo lavoro, e anche se era pesante non si lamentava; ogni giorno si impegnava dando sempre il massimo e aveva sposato l’uomo che amava, che la capiva e la sosteneva in qualsiasi momento. Il viaggio a Malta aveva cambiato la vita ad entrambi. Jun aveva trovato la persona giusta al momento giusto; grazie ad Antonella riuscì a superare il suo blocco creativo e dopo l’Akai Ito non ebbe più problemi. Grazie a lei si sentiva tranquillo, sapeva di poter sempre contare sul suo aiuto, perché a legarli e a tenerli uniti, c’era quel sottile filo rosso legato al mignolo della mano sinistra, che nessuno sarebbe stato in grado di sciogliere.

    “Si può sapere che state aspettando voi due?” gli chiese Nino, “venite a sedervi, altrimenti cominciamo senza di voi”.
    Miriam e Masaki li raggiunsero a quel tavolo dove a fatica riuscivano a starci tutti quanti. Ridevano e scherzano come sempre, Miriam li guardava sorridente, vederli seduti tutti insieme intorno al tavolo le diede un senso di gioia, si sentiva felice, a casa; finalmente tutta la famiglia si era riunita.
    Un nodo le si formò in gola ripensando a tutto quello che era successo in quei tre anni, da quel viaggio a Malta che aveva segnato e stravolto le loro vite, Ohno, Nino, Sho, Jun, Masaki, Anto e Mary erano diventati parte fondamentale della sua vita. Insieme ne avevano passate tante, tutti loro l’avevano aiutata nei suoi momenti di difficoltà, l’avevano aiutata a risollevare quei momenti della sua vita in cui aveva visto le cose sgretolarsi fra le sue mani. Avevano riso, pianto, litigato fino ad arrivare ad odiarsi, ma alla fine erano riusciti sempre a perdonarsi, facendo pace e rafforzando ancora di più il loro rapporto. Da quando si erano conosciuti, erano successe loro le cose più strane e fuori da ogni logica, ma erano riusciti sempre a superare qualsiasi tipo d’ostacolo. Sostenendosi e supportandosi sempre l’uno con l’altro, condividendo i momenti tristi e quelli felici, gli attimi di gioia e quelli in cui si sentivano in difficoltà. Giurandosi di esserci sempre e in qualsiasi momento l’uno per l’altro, di potersi fidare ciecamente della persona che avevano al proprio fianco, di rispettarsi e aiutarsi sempre. Proprio come si fa in una famiglia, e loro avevano formato quella grande e strana famiglia in cui ogni membro era importante e indispensabile, in cui ogni membro non veniva mai lasciato indietro, in cui ogni membro avrebbe continuato ad influenzare per sempre la vita dell’altro, qualsiasi cosa sarebbe successa... In cui tutti si sentivano inevitabilmente legati l’uno all’altro da un sottile filo rosso.
     
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    EPILOGO
    “Ragazzi non può salire in questo stato sul palco” disse Ohno ai suoi compagni.
    “Non ha scelta” gli rispose Jun, “dobbiamo fare ancora il secondo encore e l’annuncio”.
    “Lo so, ma guardatelo” ribatté indicandolo, “sembra un automa. Jun, si ragionevole per una volta, non può farlo”.
    “Ha ragione” s’intromise Nino, “mi prenderò io la responsabilità di tutto, ma in queste condizioni non può proprio salire”.

    Masaki dopo la fine del primo encore aveva ricevuto una telefonata che l’aveva mandato nel panico totale. Non riusciva a fare niente, era seduto a fissare il vuoto, tremava e teneva quel telefono poggiato sull’orecchio, nonostante la chiamata fosse finita da un pezzo. “Per favore vieni” gli aveva detto quella voce strozzata dal dolore, ma lui non poteva farlo, non poteva lasciare il concerto prima della fine; se l’avesse fatto, sarebbero finiti tutti nei guai per colpa sua.
    Per la seconda volta si ritrovò a scegliere fra gli Arashi e la sua famiglia.

    “Kazu fai quello che vuoi, ma fallo in fretta” gli disse Sho, “non possiamo ritardare ancora per molto”.
    Nino gli si avvicinò, gli prese il telefono dalle mani e compose velocemente un numero. Rimase in attesa per qualche secondo, “buonasera, mi serve urgentemente un taxi” disse mentre Masaki lo guardava incredulo, “Tokyo Dome. Fate in fretta per favore”.
    “Che stai facendo?” gli chiese, dopo aver riagganciato.
    “Fra meno di dieci minuti è qui fuori”.
    “MA TI SEI BEVUTO IL CERVELLO” gli urlò, “siamo nel pieno del concerto, non posso andarmene”.
    “E noi non possiamo avere un cadavere sul palco” ribatté, “perciò raccogli le tue cose e vattene. Possiamo cavarcela benissimo da soli”.
    Masaki li guardò mentre ritornavano sul palco, “grazie” fu l’unica cosa che riuscì a dire prima di mettersi a correre il più veloce possibile verso l’uscita.
    “Chiba” disse entrando nel taxi come una furia.

    Guardava l’orologio di continuo, gli tremavano le mani e stare seduto gli sembrava la cosa più difficile da fare.

    “Non può andare più veloce?” gli chiese sempre più impaziente, ma per quanto il taxista ci provasse, per Masaki non era mai abbastanza.
    Evitando il traffico cittadino riuscirono ad arrivare in circa venti minuti, invece dei soliti trenta; ma proprio in quell’ultimo tratto sembrava essere scoppiato l’inferno, c’erano macchine praticamente ovunque.

    “Scendo qua” gli disse lasciandogli i soldi sul sedile.
    Per circa 400 metri corse senza mai fermarsi verso l’ospedale, non poteva non esserci neanche questa volta; si era già perso la nascita di Misaki e non poteva permettere che succedesse la stessa cosa con Akira.
    “Ostetricia” chiese all’infermiera dietro il banco accettazione.
    “Terzo piano a sinistra!” gli rispose sorridente, “congratulazioni Aiba-chan!” aggiunse, senza ricevere alcuna risposta, perché si era messo a correre prima che lei potesse dirgli altro.
    Salì di corsa le scale, era troppo in ansia per aspettare l’ascensore. “MAMMA!” urlò appena la vide, “dov’è Miriam?” chiese, mentre cercava di riprendere fiato, “non sono arrivato tardi, vero?”.
    “Masaki siediti” gli disse prendendolo dal braccio e guidandolo verso le poltroncine.
    “Che succede? Dov’è Miriam?” continuò a chiederle sempre più preoccupato.
    “Tranquillo, lei sta bene, ma Akira...”
    “Akira cosa?” le chiese interrompendola, “che succede?”
    “Sta calmo, okay?” gli disse cercando di rassicurarlo in tutti i modi, “sta bene anche lui, ma si è incastrato con il cordone ombelicale e non riescono a farlo nascere, perciò hanno deciso di farle il cesareo”.
    Masaki la guardava senza capire, “voglio andare da lei”.
    “Non puoi, in questo momento c’è sua madre con lei e fra poco la porteranno in sala operatoria. Ora devi stare solo tranquillo, andrà tutto bene” lo rassicurò, “fra qualche minuto arriverà anche tuo padre con Marcello e Misaki” continuò a dirgli, sperando di calmarlo.

    Ma Masaki si era perso a metà del discorso, non stava ascoltando nulla di tutto il discorso. Era terrorizzato, aveva paura di perderla e non aveva la forza per sopportare un altro addio, a fatica aveva superato la morte di Lily.
    Fissava il muro con sguardo vuoto. La sua mente lo riportò indietro di due anni, alla laurea di Miriam; quel giorno aveva deciso di farle una sorpresa.

    “Che freddo!” disse, stringendosi sempre più nel giubbino; stava tremando come una foglia, non si sarebbe mai aspettato tutto quel freddo. Si mise il cappuccio in testa, tirò le maniche sulle mani e sedendosi su un muretto proprio di fronte l’entrata dell’università attese pazientemente che lei uscisse. Si stava annoiando da morire, il tempo sembrava non passare mai, si muoveva lentissimo; gli sembrava di essere seduto da tre ore, ma quando guardò l’orologio erano passati solo dieci minuti. Per tutto il tempo non fece altro che guardare quelle lancette muoversi a una lentezza innaturale, “ma quanto ci vuole” continuò a pensare sempre più impaziente, non ne poteva più d’aspettare, voleva vedere Miriam il prima possibile. Anche se era passato meno di un mese dall’ultima volta che si erano visti, le mancava da morire. “Basta, io entro” si disse, quando anche quell’ultimo briciolo di pazienza l’aveva abbandonato. Saltò giù dal muretto e si avviò verso la scalinata, ma proprio in quel momento la vide uscire insieme alla sua famiglia e ai suoi amici. Non riuscì più a camminare, si bloccò con il piede sinistro sul primo scalino. La fissava a bocca aperta, era diversa, dall’ultima volta. Il vestito che indossava era nascosto da un cappottino rosso, che le arrivava fino ai fianchi, lasciando vedere la gonna di quel vestitino bianco in pizzo che lui riconobbe subito, era quello che le aveva regalato per la serata di gala. I capelli le erano cresciuti ancora di più da dicembre, infatti ora le arrivavano sulle spalle; li teneva sciolti e leggermente boccolati. Alcuni coriandoli, che le aveva lanciato Anto, le erano rimasti incastrati fra le ciocche dei capelli; per toglierseli, levò delicatamente la coroncina d’alloro, che per tradizione portavano tutti i laureandi, e scompigliandoseli leggermente, vennero giù come una pioggerellina colorata. Masaki la guardava, era bellissima, il suo viso era illuminato dal quel sorriso che adorava, da quel sorriso che grazie a lui aveva ritrovato e i suoi occhi brillavano come non mai. Continuò a guardarla da lontano per tutto il tempo, incapace di muoversi, di chiamarla, di fare qualsiasi cosa; provava una sensazione strana, mai provata prima; si sentiva il corpo pesante, come se tutto quel freddo l’avesse bloccato in una lastra di ghiaccio.
    Miriam stava ridendo con i suoi amici, quando il suo viso cambiò espressione facendosi serio, i suoi occhi iniziarono a riempirsi di lacrime, che lei cercava di trattenere, e i battiti del suo cuore accelerarono; il suo corpo stava iniziando a reagire d’istino percependo quella presenza familiare dietro le sue spalle. Si guardò intorno, cercando quel qualcuno che la faceva sentire così strana, guardò ovunque, ma mai verso Masaki. Quando finalmente si voltò, lo vide alla base delle scale, diede la coroncina e la tesi a Mary e di corsa scese quelle scale che la separavano da lui. Masaki la prese al volo stringendola, “Omedetou cucciola”.
    “Mi sei mancato” gli disse stringendolo sempre più, “perché non mi hai detto che saresti venuto?”.
    “Perché volevo farti una sorpresa”.
    “E direi che ti è riuscita benissimo” gli disse sorridente; era strafelice.
    “Aiba-chan, che cavolo ci fai qui?” gli chiese Antonella incredula, si erano salutati meno di 24h fa a Tokyo e ora se l’era trovato davanti.

    Masaki all’ultimo minuto aveva deciso di partire per l’Italia; avevano viaggiato entrambi sullo stesso aereo, ma l’avevano scoperto solo in quel momento.
    “Da quanto tempo” rispose sarcastico, “non potevo mancare per il giorno più speciale della sua vita e poi non sapendo che regalarle, ho pensato di regalarmi” aggiunse con tono imbarazzato.
    “È il regalo più bello che potessi farmi” disse baciandolo, “però ti manca il fiocchetto” gli fece notare, prendendolo in giro.
    “E invece no” rispose lui tirando fuori dalla tasca una coccarda verde, “ora sono perfetto come regalo” aggiunse ridendo, appiccicandosela sulla fronte.
    “Che bel pacchetto!” esclamò Mary dopo averli raggiunti, “certo che voi Arashi siete fissati con le sorprese. Ma perché non vi organizzate e venite tutti e cinque insieme, invece di venire uno al mese” gli disse sarcastica.
    “Mi sei mancata anche tu” le rispose ridendo.
    “Dai vieni, ti voglio presentare agli altri” intervenne Miriam trascinandolo su per le scale.

    Miriam quel giorno decise di presentarlo ufficialmente a tutti i sui amici e al resto della famiglia, nonni, zii, cugini e parenti vari; finora infatti, l’aveva presentato solo ai suoi genitori, scatenando però la curiosità di tutti gli altri. Erano tutti curiosi di conoscere questo famoso Masaki che nominava in continuazione, di cui non faceva altro che parlare, vantando tutti i suoi pregi. “Lui è come il sole” diceva, quando tutti le chiedevano che tipo fosse, ma nessuno era mai riuscito a capire il significato di quelle parole, fino a quel momento. Conoscendolo infatti, quella frase prese finalmente significato. Masaki con il suo carattere allegro, con quel sorriso perennemente stampato sul volto, con la sua simpatia e con il suo modo di fare, era esattamente come il sole. Era caloroso, ti trasmetteva una sensazione di piacevole tranquillità, ma anche d’energia; era in grado di farti spuntare il sorriso appena metteva piede in un stanza, di farti ridere anche senza fare niente; ti faceva sentire bene solo a guardalo. Parenti e amici si affezionarono a lui nel giro di pochi minuti, soprattutto i cuginetti più piccoli, che non fecero altro, che trascinarlo da una parte all’altra, costringendolo a giocare con loro e lui non diceva mai di no, anche se era stanchissimo, per gli effetti del jetleg. Contrariamente da tutti gli altri però, il padre di Miriam continuava con il suo atteggiamento freddo e distaccato; per tutto il tempo non fece altro che ignorarlo o fargli pesare qualsiasi cosa facesse, guardandolo in cagnesco. Non riusciva proprio ad accettarlo.
    Il non rapporto con il suocero peggiorò quando Miriam, un mese dopo la laurea, riuscì a convincere i suoi genitori a lasciarla andare in Giappone, così da poter perfezionare la lingua. Insieme a Masaki avevano deciso di vivere insieme e che lei avrebbe lavorato nel ristorante dei suoi genitori. La convivenza iniziò benissimo, non fecero fatica ad abituarsi allo stile di vita altrui, anche perché sulla maggior parte delle cose erano uguali. Ma dopo neanche un mese, le cose iniziarono a cambiare. Masaki faceva sempre tardi per colpa del lavoro e, nonostante Miriam lo aspettasse ogni sera pazientemente, fra di loro calò il silenzio. Lei ogni volta che provava a parlargli, veniva liquidata con un “sono stanco, parliamo dopo” e quel dopo non arrivava mai, perché lui era sempre stanco e, la prima cosa che faceva quando tornava a casa non era più baciarla, ma andare direttamente in camera sua e buttarsi sul letto, ignorandola completamente. Fra di loro non c’era più niente, non parlavano, non ridevano, non si guardavano neanche in faccia; erano come due perfetti estranei che condividevano la stessa casa. A fatica erano riusciti ad ottenere la tanto desiderata “benedizione” di Kitagawa e ora tutto stava crollando a pezzi, sgretolandosi come un castello di sabbia. Quella non era per niente la convivenza che Miriam aveva immaginato e l’ennesimo silenzio di Masaki le fece capire quanto quella situazione l’aveva stancata. Aveva bisogno di riflettere con calma su tutta quella storia e soprattutto su quello che le stava succedendo. Decise così di mettere un pò di distanza fra di loro. E quel giorno dopo che lui uscì di casa ignorandola come al solito, uscì anche lei.

    “Tadaima!” esclamò Masaki entrando in quella casa che contrariamente dal solito, quella sera era invasa dal buio e dal silenzio.
    Si guardò intorno, tutto era esattamente come l’aveva lasciato quella mattina; la felpa che aveva dimenticato di prendere prima di uscire era poggiata sul bracciolo del divano, proprio dove l’aveva lasciata e gli appunti che gli aveva dato Sho per la puntata di Arashi ni Shiyagare, che avrebbero dovuto registrare fra due giorni, erano sparpagliati sul tavolino davanti al divano. Masaki li guardò stranito, solitamente Miriam li raccoglieva e li metteva vicino a tutte le sue cose per evitare che li dimenticasse, ora invece erano lì, esattamente come li aveva lasciati. Andò in cucina, sul lavello c’erano le tazze che avevano usato per fare colazione e nient’altro, chiaro segnale che Miriam non aveva pranzato a casa. Si avvicinò al calendario, il 15 maggio era segnato in rosso, il che poteva significare solo una cosa, quello era il giorno libero di Miriam. Iniziò a cercarla in tutte le stanze, ma non la trovò, salì le scale di corsa e si precipitò nella stanza convinto di trovarla, ma lei non era neanche lì. Si avvicinò al letto, un post-it verde poggiato sul suo cuscino, attirò la sua attenzione.

    “Sono a casa dei tuoi genitori.
    Starò da loro per un po’. Ho bisogno di riflettere.
    Di stare da sola.
    Miriam.”



    Masaki fissava quel biglietto che sembrava dire molte più cose di quelle che c’erano scritte. Per la prima volta Miriam si era firmata con il suo nome e non con la solita M². Quel “pò” che aveva scritto era allusivo, poteva significare qualsiasi cosa, poteva significare tanto o poco tempo, e poteva significare anche “stamattina è stata l’ultima volta che mi hai visto” e rileggendolo la sensazione che Miriam se ne fosse andata per sempre stava iniziando a farsi strada dentro di lui prendendo a gomitate i suoi sentimenti e, quell’ultima frase sembrava messa lì solo per nascondere quello che pensava realmente, ovvero “di stare lontana da te”.

    Miriam aveva bisogno di riflettere, ma Masaki non riusciva a capire su cosa. Fra di loro non c’erano problemi, andava tutto alla perfezione come sempre, che motivo aveva per riflettere.
    Si alzò di scatto dal letto e si avvicinò alla vetrata; guardando il panorama, gli ritornarono alla mente i primi giorni di convivenza. Si ricordò della faccia stupita di Miriam la prima volta che l’aveva visto e di come ogni sera gli chiedeva di lasciare le tende aperte perché le piaceva addormentarsi guardando le luci della città. Si ricordò di come l’aiutava a studiare gli appunti sulle puntate dei programmi che gli passavano gli altri, perché lui invece di ascoltare durante le riunioni pensava a scriverle continuamente email. Di come gli faceva compagnia mentre imparava i testi del nuovo singolo, di come lo spronava ogni volta che lui diceva che non aveva più voglia di studiare e soprattutto si ricordò di quel sorriso con cui l’accoglieva ogni volta che tornava a casa. Abbassò lo sguardo sul post-it per rileggere quelle poche parole e un cerchietto di carta raggrinzita, che prima non aveva notato, attirò la sua attenzione, Miriam aveva pianto. Lo sfiorò delicatamente, e in quel momento si rese conto di come le cose erano cambiate, di come niente fosse perfetto, di come fino a quel momento avesse visto cose che in realtà non c’erano. Si rese conto dei comportamenti che aveva avuto, di come lei lo cercava con qualsiasi scusa e di come lui la rifiutava, ignorando qualsiasi cosa che gli dicesse e ignorando anche lei. E solo in quel momento infatti si rese conto di come Miriam era cambiata nell’ultimo mese, era dimagrita e stava continuamente male. Istintivamente si fiondò verso l’entrata e mentre si metteva le scarpe, notò che quelle di Miriam non c’erano.
    “Sono un’idiota” si disse, i primi giorni vedere le sue scarpe all’entrata lo facevano sorridere e ora gli erano diventate completamente indifferenti, senza rendersene conto Miriam gli era diventata indifferente. Guidò fino a casa dei suoi continuando a stringere quel bigliettino fra le mani, non poteva permettere che tutto finisse con un post-it e con un addio silenzioso. Doveva parlarle, chiederle scusa, doveva convincerla a dargli un'altra possibilità e ritornare con lui, in quella casa che senza di lei ora, sembrava così vuota e silenziosa.

    “MIRIAM!” la chiamò entrando, ma nessuno le rispose. Andò dritto verso l’unica stanza con la luce accesa, la trovò seduta sul divano con sua madre, che le accarezzava la pancia sorridendo. “MIRIAM!” la richiamò a voce così alta da farle sobbalzare.

    Lei alzò lo sguardò su di lui, guardandolo con uno sguardo diverso, che Masaki non riuscì a decifrare; era un misto fra paura, terrore e preoccupazione.
    “Vi lascio soli” disse sua madre alzandosi, e avvicinandosi al figlio gli sussurrò “falla parlare, non partire in quarta come il tuo solito”.

    Masaki si sedette sul divano di fianco a lei e Miriam abbassò subito lo sguardo, “che succede? Perché sei andata via?” le chiese prendendole il viso tra le mani per farglielo alzare, voleva guardarla in faccia.
    “Scusami, ma ho bisogno di riflettere”.
    “Su cosa? Vuoi ritornare in Italia” sbottò nel panico, “okay, ho sbagliato. Sono stato uno stronzo. Scusami, ma devo abituarmi a tutto questo, è la prima volta per me”.
    “Masaki calmati” gli disse interrompendolo, “non è questo, non voglio ritornare in Italia. Convivere non è facile per nessuno e questo lo so perfettamente e non ho nessuna intenzione di scappare alla prima difficoltà”.
    “E allora su cosa devi riflettere?”
    Lei si portò le mani sulla pancia e abbassò lo sguardo, “sono incinta” gli disse dopo qualche minuto di silenzio.
    “Co-cosa?” gli chiese più confuso di prima.
    “Sono incinta di circa sei settimane” gli ripeté.

    Masaki la guardò incredulo, l’espressione del suo viso era incomprensibile, non disse niente, uscì e salì in macchina. Guidò senza una meta. Era confuso, spaventato, ma allo stesso tempo felice, emozionato; sentiva di provare tremila emozioni diverse tutte nelle stesso momento. Non sapeva cosa fare, cosa dire, come comportarsi, non sapeva niente; era nel caos assoluto. Senza rendersene conto si ritrovò davanti casa di Nino. Bussò ripetutamente alla porta, fin quando lui non l’aprì.
    “Che cazzo ci fai qui a quest’ora?” gli chiese infastidito.
    “Miriam è incinta”.
    “Scusa, puoi ripetere” gli chiese incredulo, sicuramente il sonno gli aveva fatto capire male.
    “Miriam è incinta”.
    Nino l’afferrò dal braccio e lo tirò dentro, spingendolo sino al divano e dopo averlo fatto sedere gli mise una birra in mano. Masaki non face niente, sembrava una statua di cera, guardava davanti a se come se avesse un fantasma davanti. Dopo dieci minuti sentirono suonare al campanello, senza che lui se ne fosse accorto Nino aveva chiamato i suoi amici.
    “Cos’è successo?” chiese subito Sho appena lo vide.
    “Miriam è incinta” gli rispose Nino al posto suo.
    Tutti e tre strabuzzarono gli occhi sentendo quella frase, l’avevano vista due giorni prima per la registrazione dello speciale del Vs in cui Kitagawa aveva praticamente obbligato le ragazze a partecipare come plus one nella squadra degli Arashi; ed era normale, okay forse normale non era proprio il termine adatto per descrivere Miriam, ma il suo comportamento era normale come sempre e loro non si erano resi conto di niente, aveva anche fatto il Cliff climb insieme a Masaki ed era stata velocissima.
    “Si, ma qual è il problema?” chiese Ohno riportando tutti alla realtà, “voglio dire, il vecchio ha accettato le vostre relazioni, e prima o poi era scontato che uno di voi tre diventasse padre. E poi se dobbiamo dirla tutta non deve neanche preoccuparsi delle fan, stravedono per gli Airu, sono bastate due apparizioni con noi per far creare lo shipping su di loro”.
    “Su questo hai ragione” gli rispose Sho, “allora che motivo ha per comportarsi così?”

    Nessuno di loro sapeva rispondergli, perché nessuno di loro sentiva l’insicurezza e la paura impadronirsi del proprio corpo e tutte le teorie che loro ipotizzavano non c'entravano niente sul perché lui fosse in stato catatonico. Le fan e Kitagawa erano l’ultimo dei suoi pensieri, quello che spaventava Masaki era la responsabilità di diventare padre e l’insicurezza nelle proprie capacità. Lui non era in grado di prendersi cura di un'altra persona, figuriamoci di un bambino.

    “Masa che succede?” gli chiese Jun avvicinandosi.
    “Miriam è incinta”.
    “Si questo l’abbiamo capito” intervenne Ohno, “quello che non abbiamo capito, è perché sei così sconvolto”.
    “Miriam è incinta” continuò a ripetere come se quella fosse l’unica cosa che sapesse dire.
    “Se lo ripete di nuovo gli do un pugno” disse Nino spazientito.
    “Io non so fare il padre” ammise in imbarazzo abbassando la testa.
    “Masaki nessuno sa fare il genitore” lo rassicurò Sho, “imparerai e sarai il miglior padre di sempre”.
    “Si, infatti” intervenne Jun, “con un padre come te sai che ridere” aggiunse per tirarlo su di morale.
    Masaki alzò finalmente lo sguardo, tutti e quattro lo guardavano sorridenti; i loro sorrisi lo tranquillizzarono come sempre.
    “E così diventeremo zii” disse Ohno allegro.
    “Chi l’avrebbe detto che il primo sarebbe stato lui” aggiunse Nino ridendo, “ora però va da Miri-chan e non fare più l’idiota” gli ordinò tirandolo dal braccio e spingendolo verso la porta. “E ora che ve ne andiate anche voi” disse a Sho e Jun, “tu invece puoi restare” aggiunse bloccando Ohno dal braccio.

    Tutti e tre uscirono da casa di Nino, Jun tranquillizzò per l’ultima volta Masaki prima di salire in macchina e partire alla velocità della luce, Antonella lo stava aspettando a casa.
    “Sho-chan che ci fai ancora qua, fra meno di due ore tu e Mary dovete partire” gli ricordò. Mary era venuta in Giappone appositamente per la cena ufficiale con Kitagawa per poi ripartire dopo cinque giorni, e Sho con la scusa dell’organizzazione del matrimonio, aveva deciso di accompagnarla.
    “Lo so, ma questa era una situazione d’emergenza. Non potevo non venire” gli rispose sorridendo, “Otou-san Omedetou!” esclamò, mentre correva verso la macchina, “fai gli auguri a Miri-chan da parte mia”.
    “GRAZIE!” gli urlò.

    Salì in macchina, mise le chiavi nella toppa e accese il motore, ma non partì subito, “Masaki sei davvero un’idiota” si disse guardandosi nello specchietto retrovisore. Quando Miriam gli aveva detto la notizia, era scappato senza darle neanche una spiegazione; ma proprio come lei anche lui doveva riflettere, e gli unici che erano in grado di pensare al suo posto, erano i suoi migliori amici.
    Quando finalmente si decise a partire, non ritornò subito a casa dei suoi, passò prima dal konbini, voleva comprarle qualcosa.
    Parcheggiò nel vialetto sul retro e in silenzio entrò, “tadaima” disse in un sussurro quasi impercettibile, mentre entrava sua madre gli si parò davanti, era furiosa. “Scusa avevo bisogno di tempo per realizzare” le disse prima che lei potesse dirgli qualcosa.
    “Che hai in mano?” gli chiese indicando la busta.
    “Ehm… ho comprato questo per Miriam” rispose mostrandoglielo, “pensi che le piacerà?”
    “Masaki-chan, a lei piace qualsiasi cosa, basta che sia tu a dargliela” lo rassicuro; quel ragazzo era più insicuro di quel che sembrava. “È davvero una brava ragazza, tienitela stretta” gli disse sorridente, “ora và da lei e nella tua vecchia stanza”.

    Masaki salì le scale di corsa, lentamente e senza far rumore entrò e si sdraiò di fianco a lei, “Miriam!” la chiamò dolcemente.
    “Masaki sei tornato” gli disse abbracciandolo. La sua voce era roca e i suoi occhi erano contornati di rosso; Miriam aveva pianto e tanto anche.
    “Scusami per essere scappato, ma avevo paura” ammise abbassando lo sguardo, lei gli accarezzò dolcemente il viso in silenzio, voleva sentirlo parlare ancora, la sua voce gli era mancata più di qualsiasi altra cosa in quelle settimane di silenzio.
    “E così fra poco saremo in tre” disse accennando un sorriso.
    Lei gli prese la mano e la poggiò sul ventre; Masaki le accarezzò la pancia, mentre quel sorriso non faceva che allargarsi. Provava una strana sensazione, continuava ad avere paura, ma si sentiva anche felice e stranamente impaziente di vedere quell’esserino che cresceva dentro la sua Miriam.

    “Ti ho comprato una cosa” disse dopo qualche minuto di silenzio. Prese la busta che aveva lasciato vicino al letto e gliela consegnò. Miriam capovolgendola tirò fuori una copertina verde mela con tre panda disegnati sopra, Mamma, Papà e Figlio; la guardava con occhi lucidi.
    “Ehm non so cosa si regala in queste occasioni” disse cercando di giustificarsi, pensava di aver fatto una cazzata colossale regalandole quella copertina da neonato.
    “È bellissima!” esclamò lei, buttandosi fra le sue braccia.
    “Miriam attenta” le disse afferrandola per non farla cadere.
    “Tranquillo Otou-san!”
    “Baka!” le rispose abbracciandola più forte che poteva. Dopo qualche minuto sciolse l’abbracciò e s’inginocchiò di fronte a lei “Miriam Russo mi vuoi sposare?” le chiese emozionato.
    “Si Aiba Masaki” rispose scoppiando a piangere anche lei.

    Il cuore di Masaki iniziò a battere velocissimo, si sentiva la persona più felice del mondo, con mani tremanti prese l’anellino dalla tasca della felpa e glielo mise al dito, “ehm… anche questo l’ho comprato al konbini, ma domani andiamo a prendere quello vero”.
    “Masaki non voglio un altro anello, questo è perfetto” gli disse guardando quell’anello a fascetta d’acciaio che le aveva appena messo al dito.
    “È per questo che ti amo!” esclamò abbracciandola, “tu rendi tutto speciale.
    “Ti amo anch’io Masaki”.

    Il giorno dopo comunicarono la notizia a Kitagawa e contrariamente da quello che immaginavano la prese bene, anzi più che bene. “Diventerò nonno!” gli disse congratulandosi con loro euforico.
    Masaki non l’aveva mai visto così felice, faceva quasi impressione a guardarlo, felice era ancora più spaventoso.
    L’entusiasmo di Kitagawa convinse entrambi ad accettare di partecipare a quella conferenza stampa che lui stava organizzando senza neanche aspettare la loro risposta. “Dobbiamo essere veloci!” gli disse, camminando in cerchio nel suo ufficio. Miriam lo guardava, non capiva la necessità di sbandierare ai quattro venti la sua vita privata, ma proprio come gli aveva spiegato il presidente “i giornalisti se scopriranno questa storia, faranno di tutto per mettervi in cattiva luce, perché questo è il loro lavoro. Il mio lavoro invece, oltre a formare Idol di prima classe, è quello di evitare scaldali che possano mettere a rischio le loro carriere. Perciò faremo questa conferenza e voi sarete presenti”. E lei non poté far altro che accettare; mettere a rischio la carriera degli Arashi era l’ultima cosa che voleva fare. A quella conferenza Kitagawa aveva invitato le più importanti testate giornalistiche, per la maggior parte del tempo parlò soprattutto lui, passando poche volte la parola a Miriam e a Masaki. E dopo aver parlato per mezz’ora di cose che non c’entravano niente con il motivo principale per cui tutti erano lì, annunciò il loro fidanzamento ufficiale, tralasciando però quel piccolo dettaglio che per lui era insignificante, ovvero che lei fosse incinta; e per sviare ancora di più i giornalisti su quel dettaglio, comunicò anche il fidanzamento di Sho e Mary e quello di Jun e Antonella.

    “Bene la parte difficile l’abbiamo superata” gli disse dopo la conferenza.

    Ma per loro la parte più difficile non era ancora arrivata, dovevano dirlo ai genitori di Miriam e, Masaki era terrorizzato all’idea di come avrebbe reagito suo suocero.
    “Mi ucciderà” le disse mentre atterravano a Lamezia, “già mi odia, con una notizia del genere mi spellerà vivo”.
    “E poi il vecchio spellerà lui” gli rispose facendolo morire dalle risate, “Il mio compito è quello di proteggere i miei Idol” ripeté facendogli il verso “con tutti i mezzi possibili”.
    Atterrarono in perfetto orario, i genitori di Miriam erano andati a prenderli all’aeroporto, e quel giorno successe qualcosa che lasciò entrambi di struccò, Marcello per la prima volta salutò Masaki.
    Quello è un buon segno si ripeteva Masaki, durante tutto il tragitto da Lamezia a Campora, ma quando arrivarono a casa le cose ritornarono esattamente com’erano prima.

    “Dobbiamo dirvi una cosa” disse Miriam appena finirono di mangiare.
    Secondo lei il momento migliore per dare le notizie shock era dopo mangiato, “con la pancia piena non si arrabbierà” gli aveva detto a Masaki per tranquillizzarlo, ma lui continuava ad essere agitato.
    “Torni a casa?” le chiese suo padre con tono speranzoso.
    “No, ma questa casa centra qualcosa” gli rispose.
    I sui genitori la guardarono senza capire; Miriam strinse la mano di Masaki, che sentendo quel contatto trovò finalmente il coraggio di alzare gli occhi e parlare, il grande annuncio spettava a lui. Come tutte le volte, si giocarono anche questa decisione a Jankan e Masaki perse miseramente per ben tre volte.
    “Ci sposiamo” disse nel suo italiano precario.
    “E sono incinta!” aggiunse Miriam sorridente, la scommessa per quell’annuncio l’aveva persa lei per fortuna, se Masaki doveva comunicare anche questo sicuramente sarebbe morto.

    Pina abbracciandoli scoppiò in lacrime dalla felicità, aveva sognato quel momento da sempre, Marcello invece, li guardava sconvolto, apriva e chiudeva la bocca senza emettere alcun suono.
    “Dai papà, non guardarci così” gli disse Miriam liberandosi dall’abbraccio stritola ossa di sua madre, “dovresti essere contento, non facevi altro che dirmi “sposati e fammi un nipotino”. E poi guarda il lato positivo”.
    “E quale sarebbe?” le chiese interrompendola.
    “Ci sposiamo qui, a Campora” gli rispose Masaki cercando di arruffianarselo un pò, ma quella si rivelò una pessima scelta.
    “E tu questo me lo chiami lato positivo” sbottò arrabbiato, “e hai davvero intenzione di sposarti con questo qui?”
    “Questo qui, come lo chiami tu, ha un nome” gli rispose più arrabbiata di lui, “si chiama Masaki ed è il padre di tuo nipote, perciò non m’interessa se ti piace oppure no, io mi sposo con lui in qualsiasi caso. Ed è troppo chiederti di accompagnare la tua unica figlia all’altare?” gli chiese lasciando spiazzato.
    “Quando sarebbe sto matrimonio?” ribatté incrociando le braccia.
    “Il 2 luglio, due settimane prima del loro tour Mondiale”.
    “Avete pensato proprio a tutto”.
    “Questo è un sì?”
    “Non potrei mai lasciare andare la mia unica figlia da sola all’altare” le rispose con occhi lucidi, “e poi se non vengo io, chi eviterà di farti cadere se inciampi nel vestito” aggiunse per sdrammatizzare.
    Lei si alzò e l’abbracciò; Miriam aveva uno splendido rapporto con suo padre e non era stato facile separarsi da lui.

    Il 2 luglio arrivò alla velocità della luce. Proprio come avevano detto, si sposarono a Campora, nella chiesetta vicino la casa di Miriam. Quel pomeriggio il cielo era limpidissimo e stava iniziando a sfumarsi di rosso e arancio e nell’aria c’era un piacevole venticello. Come prevedeva la tradizione gli sposi furono separati il giorno prima e, Masaki fu costretto a dormire in hotel. Dalla sua camera si vedeva il mare, era calmissimo, sembrava quasi una tavola piatta, immobile.

    “Sta fermo” gli ripeté suo padre per la millesima volta, mentre gli sistemava la cravatta, ma lui proprio non ci riusciva, erano nervoso e agitato, e le sue mani non facevano altro che sudare.
    “Dobbiamo andare” li avvertì sua madre entrando nella sua camera.
    Masaki prese un respiro profondo ed uscì da quella stanza che gli sembrava stesse diventando sempre più piccola, claustrofobica.

    Insieme a sua madre attraversò la navata centrale fino all’altare, dove attese impaziente l’arrivo di Miriam. La chiesa era addobbata con rose rosse a contrasto con il tulle bianco che decorava i banchi e quel tappeto che percorreva tutta la navata era di un intenso rosso accesso.
    Masaki stringeva fra le mani il bouquet di rose rosse e calle bianche; era emozionato e agitato, neanche i suoi amici erano riusciti a farlo calmare, qualsiasi cosa gli dicessero, lo rendeva ancora più ansioso. Distolse lo sguardo dai fiori e guardando dritto di fronte a se la vide. La melodia del suo solo, Sora, arrangiata al pianoforte riempì la chiesa appena lei entrò. Miriam era stupenda nel suo vestito bianco. L’abito in stile principessa, con gonna ampia a pieghe e tasche laterali e corpetto a mono spalla, decorato con piccoli Swarovski, le nascondeva la pancia che stava iniziando a crescere. I capelli lunghi leggermente boccolati alle punte le ricadevano morbidi sulla schiena; non portava il velo, ma al suo posto aveva sistemato un nastrino ricoperto di brillantini.
    Attraversò la navata insieme a suo padre senza mai staccare gli occhi dal suo sposo.
    Masaki indossava un abito nero, nel taschino laterale della giacca a coda di rondine, aveva sistemato un fazzolettino bianco in seta, piegato a triangolo. I pantaloni con bande di raso laterali gli calzavano alla perfezione, abbinati a un gilet nero con camicia bianca e cravatta nera legata a nodo con uno Swarovski al centro. Ai polsini aveva sistemato i gemelli che gli aveva regalato suo fratello, Yusuke, non che testimone di nozze.

    Prese la mano di Miriam, con mani tremanti le consegnò il bouquet e la baciò; insieme stringendosi mano nella mano si voltarono verso l’altare. La cerimonia seguì lo stile classico dei matrimoni italiani, si sposarono con rito cattolico, ma l’unica cosa che cambiarono furono le promesse; avevano deciso di personalizzarle, rendendole uniche, proprio come loro.

    “Io Masaki, prendo te Miriam come mia sposa e prometto di amarti e rispettarti in tutti i giorni della mia vita. Di non lasciarti mai da sola e di sostenerti nei momenti difficili. Perché ti ho amata da quando i tuoi occhi si sono incrociati con i miei su quel terrazzo a Malta, facendomi capire che io e te eravamo destinati a stare insieme fin dal principio. Perché ti amo e perché sei capace di rendere le mie giornate migliori. Perché ti amerò per tutta la mia vita. Con te scoprirò la felicità di diventare padre. Mi hai reso l’uomo più felice del mondo facendomi l’onore di diventare mia moglie. Perciò ricevi quest’anello in segno del mio amore e della mia fedeltà. Ti prometto di rispettarti e di proteggerti per sempre, di non separarmi mai da te, neanche nei momenti di difficoltà, perché solo se saremo insieme, saremo in grado di superarli. Ti amo!”

    “Io Miriam, prendo te Masaki come mio sposo, per amarti e rispettarti in tutti i giorni della mia vita. Ti sposo perché nulla è riuscito a separarci. Perché sei ciò che voglio; perché hai trasformato le mie lacrime in sorrisi e perché mi hai reso donna, facendomi diventare madre. Ti sposo perché sei il mio migliore amico, il mio complice, il mio amante e il mio compagno d’avventura. Ti sposo perché non riesco ad immaginare la mia vita senza di te. E con questo anello ti prometto il mio amore per tutto il resto della mia vita. Ti amo!”

    Il 28 dicembre durante l’ultima tappa del concerto a Tokyo nacque Aiba Misaki, il nome era l’unione dei nomi di Miriam e Masaki; scritto con i kanji di 見, (mi) bellezza, e 先 (saki) sbocciare, bellezza che sboccia.


    “Aiba!” lo chiamò un infermiera uscendo dalla sala operatoria.
    Masaki scattò subito in piedi.
    L’infermiera spingeva una culletta termica verso di lui, all’interno c’era un piccolo fagottino, “lui è Akira” gli disse.
    Masaki lo guardava, le lacrime gli rigarono il viso.
    “Congratulazioni” continuò a dirgli sorridente, ma lui non rispose, era completamente rapito da quel piccolino che muoveva le manine verso di lui e lo guardava incuriosito, aveva gli stessi occhi di Miriam, grandi, occidentali, ma leggermente a mandorla. “Ora dobbiamo andare” gli disse interrompendo quel bellissimo momento.
    “Ehm… cosa?” chiese confuso.
    “Lo portiamo in neonatologia, lo dobbiamo tenere un pò sotto osservazione” gli spiegò pazientemente, “questo piccolino ci ha fatto preoccupare, non voleva proprio nascere. Comunque più tardi lo porteremo nella stanza di sua moglie”.
    “Quando posso vedere Miriam?” le chiese impaziente.
    “Fra qualche minuto uscirà dalla sala operatorio. Ora dì ciao al tuo papà, dobbiamo proprio andare. Auguri di nuovo”.

    Masaki la guardò allontanarsi con suo figlio, quel piccoletto già gli mancava. “PAPÀ!” sentì urlare alle sue spalle. “Misaki, che ci fai qua, con chi sei venuta?”
    “Con i nonni” rispose lei indicandoli

    In quel momento guardando nella direzione che gli aveva indicato, si rese conto che c’erano tutti: i suoi genitori, quelli di Miriam, i suoi amici, Anto, Mary e la piccola Zoe, tutte le persone più importanti della sua vita.
    “Omedetou Aiba-chan!” gli dissero in coro.
    “Quando siete arrivati?”
    “Circa mezz’ora fa” gli rispose Nino, “ma tu eri catatonico per rendertene conto”.

    Masaki non solo era catatonico, ma non si ricordava niente di tutto quello che era successo dopo il primo encore.

    “Il concerto!” esclamò, quando finalmente iniziò a rendersi conto di quello che era successo in quel lasso di tempo, “l’annuncio!”
    “L’abbiamo fatto noi” gli rispose Sho.

    Quell’annunciò che Masaki aspettava con ansia di fare, non era altro che l’ufficializzazione degli Arashi come gruppo organizzativo delle olimpiadi di Tokyo 2020. Loro infatti furono scelti non solo come organizzatori della cerimonia d’apertura, ma gli fu affidata anche la canzone colonna sonora dei giochi olimpici e quella canzone avrebbero dovuto cantarla aprendo il concerto d’inaugurazione, in diretta mondiale.

    “Scusate se me ne sono andato” disse mortificato.
    “Tranquillo Masa, era per un buon motivo” gli rispose Jun, “e poi le fan erano in delirio quando hanno saputo la notizia” aggiunse e, prendendo il tablet dallo zaino gli mostrò quel video che aveva registrato poco dopo che lui se n’era andato.

    Ohno stava spiegando il motivo per cui lui non c’era.
    “Che ne dite di fare i nostri migliori auguri ad Aiba-chan e Miri-chan?” chiese alle fan euforiche, che risposero con un urlo spacca timpani. “Bene allora al mio tre!” le avvertì, “uno… due… tre!”
    “OMEDETOU AIRU!” urlarono tutte in coro perfettamente sincronizzate.
    “Arigatou minna!” gli disse abbassando lo sguardo; non capiva perché, ma si sentiva stranamente in imbarazzo.
    “Papà!” lo chiamò Misaki attirando la sua attenzione.
    “Si, dimmi” le disse accovacciandosi.
    “Dov’è mamma?”
    “Ora arriva” le disse tranquillizzandola. Ma Misaki lo guardò con quel suo sguardo furbetto che voleva dire, non mi prendi in giro. “Ti è piaciuto il concerto?” le chiese cercando di cambiare argomento.
    Misaki era andata al concerto insieme a suo nonno, “Si!” rispose allegra e soddisfatta di suo padre, “anche nonno Mello ha detto che è stato bello”.
    “Misaki avevamo detto che questo doveva rimanere un segreto” le disse imbarazzato mentre tutti lo guardavano con un sorrisino sulle labbra. “Okay lo ammetto, il concerto mi è piaciuto!” esclamò, sua nipote l’aveva messo con le spalle al muro con una facilità impressionante.

    Per tutto il pomeriggio non aveva fatto altro che piangere come una disperata per farsi portare a quel concerto, e nella sua mente contorta di bambina aveva messo su quel capriccio solo perché voleva fargli vedere il talento che aveva suo padre e, che suo nonno continua a disprezzare. Misaki nonostante avesse solo due anni era molto perspicace per la sua età, era furba e intelligente.

    “Ma questo non vuol dire che approvo il tuo lavoro” continuò a dirgli “penso ancora che sia una cosa da ragazzini.
    “Papà anche qui lo devi rimproverare!” disse una voce dietro di loro.
    Masaki riconobbe immediatamente il suono di quella voce, “cucciola come stai?” le chiese correndo insieme a Misaki verso quel letto spinto da un infermiera.
    “Sto bene” gli disse scompigliandogli i capelli, “sei tutto sudato”.
    “Scusa, ma sono venuto dritto qui senza neanche cambiarmi”.
    “Scusami non volevo chiamarti nel bel mezzo del concerto, ma aveva paura” ammise, “a proposito hai visto Akira, com’è?”
    “Miriam non ti devi scusare, tu puoi e devi chiamarmi sempre quando hai bisogno di me e io farò tutto il possibile per esserci, perché ho promesso di non lasciarti mai da sola quando ci siamo sposati” le disse, mentre un nodo gli si formava in gola, “e Akira è bellissimo, somiglia te”.
    “Non piangere” gli disse asciugandogli le lacrime, “così fai piangere anche me”.

    Masaki senza neanche rendersene conto era scoppiato a piangere, era stato così in ansia per lei e per Akira e ora che li aveva visti entrambi non riuscì più a trattenersi.

    Misaki guardava i suoi genitori, entrambi piangevano e ridevano contemporaneamente e lei non sapeva a chi dei due doveva asciugare il viso.

    I loro amici e i loro genitori li guardarono da lontano sorridenti. Miriam e Masaki avevano realizzato quel sogno che custodivano segretamente in un angolino remoto del loro cuore; entrambi sognavano di crearsi una famiglia tutta loro e finalmente c’erano riusciti.
    Misaki e Akira avevano dato colore alla loro vita già piena di sfumature; l’avevano resa perfetta sotto ogni punto di vista e anche se a volte non era facile gestirli, perché entrambi esattamente come il padre erano incapaci di stare fermi, loro non si scoraggiavano. Con i loro figli fecero un ottimo lavoro, nonostante la loro vita così particolare, contrariamente da come si poteva immaginare, Misaki e Akira non crebbero in quel mondo patinato che circondava le persone famose, non crebbero nel lusso e nella consapevolezza di poter avere tutto con un solo schiocco delle dita. Loro crebbero con gli stessi valori con cui erano cresciuti Miriam e Masaki, rispetto per le persone non solo più grandi di te, ma anche per quelle più piccole; fiducia verso il prossimo e verso il futuro, perché non sai mai chi potresti incontrare sul tuo cammino; amore verso la famiglia, perché ci sarà sempre nella tua vita, perché è il primo legame importante e solido che hai nella tua vita da quando nasci.
    Gli insegnarono che non si ottiene niente senza sacrificio, che avere un padre famoso non significava avere tutto, ma significava lottare ancora di più sfruttando al meglio le proprie capacità; perché così nessuno in futuro potrà dirti che non vali niente, che quello che hai avuto e solo grazie agli altri. Gli insegnarono a sostenersi a vicenda, a contare sempre l’uno sull’altro, perché fra di loro c’era un legame forte e indistruttibile, che avrebbe superato qualsiasi ostacolo.
    Miriam e Masaki non dimenticarono mai quel viaggio a Malta in cui i loro destini si erano incrociati. Non dimenticarono mai la leggenda di Marsilya e del suo giovane innamorato, perché grazie ad essa avevano capito di essere destinati a stare insieme e proprio grazie ad essa avevano trovato la loro felicità, il loro punto fermo, oltre l’infinito di quel cielo che loro continuavano a guardare e che li faceva sentire a casa quando erano separati.

    Perché esattamente, come quell’equazione stampata sulla maglietta di Miriam, loro erano come due sistemi che interagendo tra di loro per un certo periodo di tempo e poi separati, non potevano più essere considerati come due sistemi distinti, ma in qualche modo erano diventati un unico sistema.
     
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